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L’ultimo gelsomino azzurro

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Consegna prevista Giugno 2025
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Zlatko è un talentuoso musicista che non riesce a riscuotere il successo meritato, ha un difficilissimo trascorso alle spalle ed è ottenebrato dai fantasmi del passato. Gioia, una sua nuova allieva, nonostante il perenne sorriso trascorre la vita segnata dal tossico rapporto col padre ed una terribile realtà alla quale non fa parola a nessuno. Inoltre, c’è anche Ludovica, l’arrogante e altezzosa fidanzata di Zlatko a complicare le cose.

Perché ho scritto questo libro?

Mi sono sempre domandata perché mai, al mondo, si parli poco o nulla della violenza che gli uomini – un tempo bambini – siano costretti a subire tra le mura familiari e, successivamente, in quello che dovrebbe essere il loro nido d’amore. I miei personaggi, un giovane uomo e una giovane donna, vivono le loro disavventure con atteggiamenti diversi e contrastanti, così come tutte le persone del globo. Riuscirà il lettore ad immedesimarsi e, soprattutto, non giudicare?
 

Chi pre-ordina la versione ebook avrà subito in omaggio un ebook che comprende i primi due volumi della nostra saga best seller “The Drunk Fury”.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Capitolo 1

Regola base riassuntiva: chi mette piede qui dentro per imparare a suonare uno strumento, dà solo pareri che non richiede nessuno, esattamente come me. Le mie lezioni non sono oro colato, quindi nessuno è obbligato a venire qui, ma fino a prova contraria l’insegnante sono io e si fa come dico io.

Una regola che avrebbe tanto desiderato appendere sulla parete color tortora, a caratteri cubitali e da esibire come un mantra per evitare di incrociare gentaccia che gli avrebbe fatto saltare i nervi e inacidire la bile nel giro di una chiave di lettura. Cinque pomeriggi su sette, andava spesso a finire al solito modo. Istruzioni antipatiche da offrire a dei pivelli arroganti, convinti di poter inforcare un manico di chitarra elettrica con l’abilità di una rockstar o di un metallaro nel giro di pochi minuti, oppure da insopportabili ammassi di insicurezza che impugnavano lo strumento da imparare come se avessero un ordigno esplosivo tra le mani. Ancora, allievi saccenti che avevano la prosopopea di saperne molto più di lui, provocandone l’ira definendo il loro maestro come un inutile perditempo e incapace di saper valutare un preziosissimo talento. I peggiori in assoluto, erano coloro che puzzavano di scarsa cultura, incapacità linguistica e pessimi propositi, snaturatamente attaccati al proprio smartphone prediligendo nello scattarsi degli irritanti selfies da postare sui social non appena maneggiavano una chitarra, delle bacchette per batteria e quant’altro.

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La parte più difficile era, nove volte su dieci, quando doveva impartire la prima lezione basata sulla teoria: l’alunno di turno sbuffava, ritenendola una noia gigantesca e tempo sprecato.

Ma l’elisir del male in persona, li affrontava faccia a faccia quando doveva competere con i clienti composti da un misto di incertezza e ignoranza putrida che non facevano altro che maneggiare gli strumenti, impastarli con le loro sudice dita unte di robaccia immonda e molto raramente pensavano di acquistarne qualcuno. Le personificazioni del motivo per il quale era stata inventata la lobotomia, una delle definizioni più gentili che Zlatko Adamović attribuiva a tutti gli elementi sopracitati. La schifosissima vita di ogni stramaledettissimo musicista, come autoproclamava la propria esistenza.

Avrebbe potuto scegliere di puntare più in alto e di mostrare al mondo il suo eccelso talento verso la musica, dalla chitarra elettrica al basso, dalla batteria al pianoforte, dalle nacchere agli strumenti a fiato e via dicendo. Un eclettico strumentista, dal tocco maestro e in grado di far nascere melodie che tiravano fuori lo spirito dell’ascoltatore. Invece, aveva preferito delimitarsi alla gestione di un negozio relativo all’universo musicale e all’insegnamento. In un certo qual modo, insegnare a suonare faceva parte delle sue passioni più rilevanti. Le passioni, è risaputo, se ben nutrite e curate, rendono la vita come muoversi ad un passo di danza, lasciandosi guidare da una ritmata mossa e aggiungendo il tremore necessario per rendere più vivida la propria esistenza. Ma le passioni possono condurre a delle strade arzigogolate, tra artificiosi sentieri e tortuose scelte. Il suo pessimo carattere, difatti, lo portava ad inimicarsi tutti gli allievi e gran parte dei guadagni erano fruttati dalle vendite dei suoi articoli musicali.

Di madre italiana e di padre serbo, aveva staccato la faccia di quest’ultimo quando era giovane riportandola su di sé. Molti suoi parenti o conoscenti di suo padre erano soliti farglielo notare e Zlatko, quasi sempre seccato, non si creava scrupoli nell’enfatizzare con cinico sarcasmo quanto gli fosse nuova una simile rivelazione. Per l’appunto, aveva sentito tale affermazione da quando ne aveva memoria e quasi sembrava essergli rimasto appiccicato come una zecca alle natiche – come era solito riferire Zlatko ma, chiaramente, con un’espressione meno signorile. I capelli castani e lisci, lunghi fino a superare le orecchie di tre dita, erano spesso leggermente scomposti e tra essi era presente una piccolissima traccia di capellini bianchi tipica di un’età che superava di poco i trent’anni. La fronte spaziosa e squadrata era spesso coperta da una bandana che poteva essere nera, rossa o biancastra e, quando non era cinta intorno al capo – lasciando sempre i capelli liberi – si trovava attorcigliata sul suo polso destro. Gli occhi scuri erano spesso e volentieri contrariati, carichi di ira e sdegno o, forse, si trattava di un disappunto mai espresso, creando una concezione triste e grigiastra del mondo circostante. Le sopracciglia erano dello stesso colore dei capelli, ma lo scarso spessore e l’incurvamento verso il basso, ne rendeva l’espressione visiva perennemente piegata in una smorfia di indignazione e risentimento. Sotto il naso dritto e regolare, dalla punta leggerissimamente aguzza, si presentavano un paio di baffi, scollegati dalla corta barbetta estesa sul mento, così come sotto le belle labbra, appena carnose e perpetuamente flesse verso il basso. Il look della barba ben si sposava con la mascella quadrata e i solchi nasolabiali non compromettevano più di tanto i segni del tempo, garantendogli piuttosto un’aria matura. Appassionato di ogni genere musicale, spaziando tra gli stili per averne una visione completa, tra i suoi prediletti spiccava l’heavy metal, per cui non passava giorno in cui non avesse addosso delle magliette relative alle sue band privilegiate da quando era poco più che quattordicenne. Tutto si basava sul suo stato umorale: quando era di pessimo umore, il colore predominante del suo outfit sul corpo alto e magro si basava sul nero, invece quando si sentiva leggermente tranquillo richiamava delle tonalità grigio scuro, quando era confuso – ma sempre con la sua rabbia da compagnia – ecco che osava condurre le tonalità spente con una cromia rosso sangue. Per quel giorno, il colore predominante era il nero.

L’orario di lavoro era ultimato e una forte pioggia lo aveva colto di sorpresa, ma non se ne curava. Si preoccupava solo di alzare il colletto della giacca per coprirsi la pelle del collo per non farsi colpire dall’umidità. A passo veloce, entrava nella sua macchina parcheggiata sotto il negozio, il volto oscuro e senza serenità nel cuore annerito. C’era un negozio di vinili ancora aperto, dove era cliente abituale. Zlatko aveva parcheggiato ed era entrato nel negozio per distrarre la mente e voleva sfruttare il tempo morto per occupare la sua vista con gli artisti che non avevano bisogno di presentazioni.

Il commesso lo aveva salutato e qui Zlatko aveva accennato un raro sorriso cordiale. Un ghigno forzatissimo, per la verità. Il commesso lo conosceva sufficientemente da comprendere la cera scolpita sul volto di Zlatko e non gli era sembrato saggio metterlo davanti a domande indiscrete riguardo la sua situazione personale. Le risposte che avrebbe potuto ottenere, non avrebbero suonato diversamente da un ‘Sto uno schifo più di ieri e meno di domani’.

Zlatko stava guardando alcuni album di un gruppo metal spagnolo quando, nell’angolo della musica più ‘leggera’, aveva intravisto una figura che gli era piaciuta. Si trattava di una ragazza dalla fisionomia ingentilita e Zlatko sembrava essersi imbambolato dinanzi a quella configurazione di soavità femminile. La bocca semiaperta e la mascella penzolante era una lieve dimostrazione di essere rimasto intrappolato in un pensiero che lo aveva trascinato via dalla realtà e ci doveva pensare il commesso a risvegliarlo, schioccandogli le dita davanti agli occhi.

«Sei vivo?» lo richiamava sull’attenti e Zlatko sembrava essersi ripreso, battendo ripetutamente le palpebre.

«Sì, sì.» si grattava nervosamente la nuca e si liberava la fronte da una ciocca umida incollata fastidiosamente sulla sua fronte. Aveva appoggiato l’album sul bancone e tirato fuori dalla tasca dei pantaloni il suo portafoglio, quindi aveva preso a strofinarsi il pizzetto coi polpastrelli che fuoriuscivano dalle mitene nere.

«Senti…» Zlatko sussurrava al commesso, facendogli cenno di avvicinarsi e chiedendogli di essere disinvolto «Conosci quella biondina lì in fondo?»

Il commesso guardava la persona designata e aveva dato una risposta negativa, informando Zlatko di non averla mai vista prima di allora. Aveva la pelle molto chiara, gli occhi allungati e color terra, una spruzzatina chiarissima e appena visibile di lentiggini rosate lungo le guance morbide e il naso regolare dalla punta addolcita. I suoi capelli chiari erano molto corti e sfilati, con un piccolo ciuffetto sulla fronte, che facevano risaltare il suo volto squadrato, ma dai tratti tenui e delicati. Il corpo magro era coperto da una camicia a quadri rossi e neri che risiedeva sopra una maglietta scura, insieme ad un paio di jeans non troppo stretti ma che le facevano risaltare delle garbate curvature. Aveva l’aria di una personcina composta e di una signorinella che non cercava guai, perciò era stata una sorpresa per Zlatko vederla aggirarsi con titubanza nella corsia dove erano stati allestiti gli album degli artisti che si scontravano con la sua figura eterea. Come potevano quelle mani bianche sfiorare qualcosa che avesse a che fare con dei cantanti che godevano della fama di aver incendiato almeno una chiesa, appeso delle teste di capra durante i concerti e simulato degli atti di esagerato autolesionismo? Probabilmente, era stato quello il pretesto giusto per poter trovare con lei un argomento con il quale rompere il ghiaccio.

«Un angioletto come te, non dovrebbe mai avvicinarsi a quella robaccia.» le aveva detto Zlatko dopo essersi avvicinato alla sua figura, mal nascondendo dietro un proprio fianco l’album acquistato.

«E lei non dovrebbe mai immischiarsi nei fatti del prossimo!» aveva detto seccamente la ragazza, sentendosi come minacciata dall’oscuro aspetto di Zlatko, incurvando le labbra carnose in una smorfia di dissenso.

«Non era mia intenzione. Scusami.» Zlatko alzava le spalle, sogghignando appena per il colpo andato a vuoto, girandosi e dirigendosi verso l’uscita, come se non si fosse aspettato di ricevere un atteggiamento diverso.

«No, aspetti.» la ragazza lo aveva appena richiamato, alzando moderatamente un palmo della mano e Zlatko si era nuovamente voltato verso la direzione di lei «Le chiedo scusa, non sono stata gentile.» la sua voce e il suo portamento si erano fatti più sensibili «Se ha qualche consiglio da darmi, la ascolto.»

Rialzando leggermente le proprie aspettative, Zlatko le aveva confidato parzialmente la propria esperienza nel campo della musica. Lei gli aveva confessato di essere un’inesperta totale, ma che desiderava affacciarsi verso quel nuovo mondo e, magari, imparare a suonare uno strumento per offrire la libertà delle proprie creatività, anche solo per sfuggire da alcuni episodi incatenanti.

«Se proprio desideri affiancarti all’heavy metal, stai quantomeno lontana da certi sottogeneri.» le aveva spiegato, per l’appunto, che il thrash metal non fosse propriamente adatto ad una signorina come lei, dati gli argomenti trattati.

La ragazza diceva di chiamarsi Gioia Sammichele.

Zlatko aveva tirato fuori il suo biglietto da visita dove vi era trascritto la sua professione, l’indirizzo del suo negozio e del suo studio dove trattava lezioni private, gli orari e i giorni di apertura. Quando stavano per uscire, nell’apprendere che Gioia si sarebbe diretta a piedi fino a casa, Zlatko non se la sentiva di lasciarla camminare sotto la pioggia che diveniva sempre più violenta e una folata di vento ci aveva buttato il carico da undici.

«Ci sono problemi se ti offro un passaggio?» le aveva detto, ma in principio Gioia si era rifiutata, dato che non le sembrava adeguato salire in macchina di uno sconosciuto. Non era certo se ad averla convinta fosse stato lo stesso Zlatko, o la veemenza del temporale e così Gioia si era vista costretta ad accettare.

Entrata di corsa nell’auto di lui, Gioia si stava dando una sistemata alla bell’e meglio ai capelli dorati che, una volta umidi, avevano assunto un colorito più scuro. Il ciuffo le ricadeva flosciamente sul viso e la ragazza tirava un sospiro, sperando di non ammalarsi.

«Ti saresti bagnata e presa una bella febbre se non avessi accettato.» diceva Zlatko, come se le avesse letto nella mente «È una fortuna che tu mi abbia incontrato. A proposito, dov’è che abiti?» Gioia gli aveva rivelato l’indirizzo, a mezz’ora di strada da lì «Però… È una bella camminata. E tu saresti stata disposta a fare questo tragitto?»

«Lo faccio spesso, anche al buio.» rivelava lei con naturalezza.

«Ma porca…» aveva fermato un’esclamazione non galante per non sfigurare di fronte ad una ragazza appena conosciuta «Complimenti per il tuo coraggio, io avrei paura.»

«Non io.»

La pioggia picchiava sul parabrezza della macchina di Zlatko, le luci della strada diventavano sempre più rade e nel tragitto i due avevano avuto modo di chiacchierare per poter ingannare il tempo. L’argomento principale, era la professione di Zlatko e Gioia sembrava nutrire un valido interesse nel poter apprendere qualche lezione. Erano arrivati in una periferia buia, povera e dove la vita mescolava il bene e il male. Gioia gli aveva indicato un edificio anonimo, come quasi tutti gli altri, dichiarandone il domicilio. Zlatko aveva parcheggiato lì sotto e Gioia lo aveva ringraziato di cuore per la sua cortesia. Dal canto suo, Zlatko era rimasto in silenzio mentre vedeva la ragazza aprire la portiera e accogliere malauguratamente un po’ della pioggia scrosciante su di essa, mettendola in corsa verso il portone. Il motivo del silenzio era dettato dal garbo della ragazza: qualcuno – finalmente – gli aveva appena dedicato una traccia di cordialità e Zlatko aveva quasi dimenticato il sapore dell’educazione. La sua testa era ritornata alla ragione solo quando aveva sentito il portone di ferro arrugginito chiudersi rumorosamente, la figura di Gioia non c’era più. Zlatko aveva rimesso in moto per tornare a casa, mentre la pioggia batteva contro il tetto dell’auto e appannava i finestrini.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Giulia Villareale
Giulia Villareale, nata a Palermo il 2 Luglio 1992.
Consegue la laurea triennale presso l'Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, dopo essersi iscritta al
corso di Pittura, con un punteggio di 110 e lode.
Ancor prima di laurearsi, partecipa a numerose mostre artistiche organizzate da vari e noti artisti, ma con
il tempo si accorge di nutrire diverse passioni. Entusiasmata di storia dell'arte, iconografia e iconologia,
numismatica e critica d'arte, i suoi interessi ruotano intorno anche alla letteratura e alla poetica,
partecipando a molteplici concorsi di cui la poesia ne è protagonista. Il tempo la rende più determinata e
coriacea, facendo nascere in lei il desiderio di mettere alla prova il suo intento di affacciarsi verso il mondo
della scrittura.
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