Quando la Jeep superò la prima rotonda che separava via della Luna da via del Sole, se ne scese in folle lungo il ponte della ferrovia per poi svoltare a sinistra immettendosi su via del Leone. Dopo un centinaio di metri la villetta di Theresa Martini spuntò dal fondo della strada. Cesare parcheggiò l’auto poco più avanti il viale d’ingresso e s’incamminò lungo il marciapiede sassoso, inspirando a pieni polmoni l’aria tersa e salmastra che, come ogni mattina di primavera, pervadeva quelle strade. Quando andò per citofonare notò però che il piccolo cancello d’ingresso era socchiuso così come più avanti, oltre il giardino, la pesante porta blindata alla fine del ciottolato. Nonostante non avesse ancora avuto il secondo giro di caffè della mattina, il suo fiuto da poliziotto lo svegliò di colpo. Si guardò intorno con fare circospetto e cercò di capire se fosse capitato nel bel mezzo di un furto o se la sua terapeuta fosse uscita di casa dimenticandosi di chiudere la porta. Per fortuna la tensione si dissolse in un attimo. I pensieri vennero ricondotti al suolo da una voce calda ma al tempo stesso glaciale, che spezzò d’incanto quel silenzio mattutino: «Commissario, che fai lì fuori dalla porta? Entra, ti stavo aspettando.»
Con un sospiro di sollievo, Cesare allontanò dunque la mano dalla fondina ed entrò nella villetta ancora avvolta nella penombra.
Theresa Martini se ne stava sul fondo della stanza impegnata a sistemare una pila di ceste di vimini accanto a un imponente camino in pietra lavica. La sua figura era avvolta in una luce purpurea che filtrava dalle spesse tende color vinaccia apposte alle finestre. Tutto intorno e sulle pareti laterali, file di scaffalature traboccanti libri e manoscritti di ogni genere, mentre al centro della stanza campeggiava un piccolo tavolo in legno di forma circolare con tre sedie in pelle beige disposte a semicerchio. A terra, il pavimento era ricoperto da grandi tappeti decorati con strani simboli, che in parte riuscì a collegare alla cultura wicca e a quella celtica. Non seppe mai però dedurre un gran che da tutti quei dettagli, poiché il più delle volte vi si ritrovava così immerso nei suoi pensieri da non prestarci più di tanto attenzione.
«Prego, accomodati. Sapevo saresti venuto questa mattina, così ho lasciato la porta aperta. Spero non ti abbia fatto prendere uno spavento.»
I lunghi capelli ramati le scendevano docili sopra le spalle, rivelando qua e là qualche ciocca color argento che tradiva un’età che Borghi non osò mai neanche provare a indovinare. Non ce ne sarebbe stato affatto bisogno, dopo tutto. Per lui, tutto ciò che contava erano gli occhi: mai affatto specchio dell’anima; piuttosto, fragile corazza che porta i segni di una vita.
«Lo senti commissario, il profumo della primavera? È alle porte ormai e le rondini tornano dal loro lungo viaggio. All’alba le vedo posarsi stanche sui rami di questi pini che tutto circondano e tutto proteggono. Sono stremate dal lungo viaggio, ma portano sempre con loro tanta speranza e la ricerca di un futuro migliore. Tu, invece, quando varchi la soglia di questa casa, porti con te solo domande e tanta angoscia. Non è così?»
Cesare annuì. «Non ti chiedo neanche come facevi a sapere che sarei arrivato. Comunque sia, hai ragione. Ma stavolta c’è dell’altro, ed è anche peggio dei soliti incubi.»
La donna allora si spostò verso una delle finestre che guardavano in direzione del mare e scostò la pesante tenda lasciando entrare un po’ di luce naturale che illuminò di getto il centro della stanza. Poi, con un filo d’angoscia, chiese: «Dimmi, come si chiama?»
«Come si chiama, chi?»
«Il nome, Cesare. Il nome che c’è dietro quelle voci che hai nella testa. Quelle che ti tormentano e che ti hanno portato qui da me.»
«Beh, a dire la verità ne sono successe di cose. Il fatto è che…»
Theresa Martini si voltò allora verso di lui e avvicinandosi esclamò: «Cesare, ti prego, non fuggire dal tuo destino. Tu hai parlato con qualcuno che non è di questo mondo. Lo sento, non mentire.»
I suoi occhi erano fermi e cristallini. Borghi non era mai riuscito a distinguerne il colore, che sembrava mutare rapido come il tempo di primavera. Eppure, ogni volta era come se qualcosa dentro di lui si schiudesse. Una sensazione che lo metteva in imbarazzo, se pur cosciente che in fondo era proprio per quel motivo che si trovava lì.
«Sofia Barone. Diciassette anni. L’abbiamo trovata ieri mattina dietro il cimitero nuovo, su a Cerveteri.»
«E dimmi, com’è morta?»
«Strangolata, con molta probabilità.»
«Povera ragazza», sussurrò la donna.
«Io e la mia vice abbiamo effettuato i rilevamenti poi, una volta sbrigate le solite pratiche, ce ne siamo andati. Ma nel pomeriggio sono tornato sul luogo dove era stato rinvenuto il cadavere. Pioveva a dirotto e io…», Cesare si passò una mano fra i capelli. «Insomma, Theresa, ascolta, io non ne sono sicuro ma ho pensato che quell’incubo che mi tormenta abbia a che fare con i morti o qualcosa del genere. Così, ho voluto provare una cosa che non avevo mai fatto prima. Mi sono seduto lì vicino, su di una sporgenza, ho chiuso gli occhi e ho iniziato a respirare con la tecnica che mi hai insegnato. Io non so bene cosa sia successo, ma alla fine è stato un attimo, un frammento di tempo infinitesimale.»
«E dimmi, cosa hai sentito?» chiese lei avvicinandosi.
«Non saprei. Le voci erano pressoché indistinguibili. Ho percepito parole vaghe, poi il vento se l’è portate via. Credimi però, è stato come se mi entrassero dritte nel cervello, come se qualcuno tentasse di comunicarmi qualcosa di importante. Alla fine, sono riuscito a distinguere solo alcune frasi sconnesse e senza senso.»
Gli occhi della donna sembrarono velarsi di cupa preoccupazione. Poi gli raccolse le mani tra le sue e con una voce che era poco più di un sussurro, disse: «Cesare, ascoltami bene ora. Quello che mi hai raccontato è confidenziale, lo sappiamo entrambi, e sai anche che quanto di ciò che mi racconti rimane sempre dentro queste mura. Il tuo incubo, le tue visioni: è tutto molto strano, lo capisco. Ma come ti ho sempre detto, la radice di tutto è nascosta dentro di te e tu solo sei in grado di trovarla.»
Poi si voltò dandogli di nuovo le spalle e rimanendo ferma in piedi al centro del grande soggiorno.
«Però, vedi, anche nel nostro mondo, quello dei medium, o dei sensitivi, per così dire; anche in questo mondo, sentire le voci dei morti non è mai un buon segno.»
Theresa Martini era la sua psicoterapeuta da un po’ di tempo a quella parte. Conosciuta per caso durante un’indagine, Cesare rimase colpito soprattutto dal suo lato professionale, così inficiato da una forte inclinazione per l’esoterico e il mistero. Un tratto che la contraddistinse e le permise di guadagnarsi un bel po’ di dicerie nell’ambiente, alle quali però la donna reagì dimostrando grande serietà e compostezza, qualità che lui apprezzò sin da subito, nonostante durante i primi tempi fosse rimasto un po’ interdetto dalle interpretazioni che gli fece dei suoi incubi. Comprese, tuttavia, che il senso di tutto quello che gli stava accadendo avrebbe potuto avere radici ben più lontane di quelle che lui stesso aveva provato a immaginare. Radici profonde, legate ad aspetti del suo subconscio che faticava a far riemergere e analizzare. La medium non era mai stata in grado di definirle con precisione, ma dopo le prime sedute rimase molto affascinata da quei racconti tanto da stimolarlo a scavare sempre più a fondo dentro i propri ricordi, ansie e paure.
«Pensi stia impazzendo, non è vero? Forse sono da curare. Forse tutto questo è solo frutto della mia mente e nient’altro. Theresa ascoltami, ti prego. Non sei obbligata a condurmi per mano verso la verità. È possibile che una verità non esista neanche. Il tuo aiuto è immenso ma io…»
«Aspetta», lo interruppe lei agitando una mano nell’aria, «ascoltami bene, Cesare. La morte è uno dei grandi misteri della vita e neppure i più grandi sensitivi della storia sono mai riusciti a trovarne un senso. E forse, è anche giusto che sia così. Ma vedi, ci sono cose a questo mondo che non possono essere ignorate. Ad esempio, queste voci che hai sentito, sono certa che siano un dono. Molte persone le potrebbero confondere con i sintomi della pazzia, ma io non sono d’accordo. A volte, come nel tuo caso, sono solo il frutto di un canale che si è aperto tra la nostra realtà e quella dei morti.»
Si mosse quindi verso una delle finestre poste sulla parete laterale della stanza che dava a ovest. Rimase per un po’ in silenzio, con lo sguardo perso verso il Tirreno che da quella vista si limitava ad attraversare l’orizzonte come una sottile linea blu cobalto.
«Tanto tempo fa conobbi uno dei più grandi sensitivi viventi su questa terra. Parlammo a lungo, e a lungo ci confrontammo. All’epoca ero giovane e inesperta, ma lui mi insegnò molto sui misteri di questa vita e sui piani elementari della realtà. E fra tutte le cose, mi insegnò soprattutto che le anime dei morti spesso si ritrovano a vagare su questa terra in attesa di dissolversi come polvere nel vento. Fino a oggi ho sempre incontrato persone in grado di avvertire questo tipo di cose, di provare sensazioni molto intense di prossimità, talvolta anche di contatto. Ma sentirne addirittura le voci in pieno spazio aperto… beh, credimi, non è da tutti, te lo posso assicurare.»
«Ma com’è possibile, Theresa? Io quella ragazza non la conoscevo neanche. Ho solo visto il suo cadavere affossato nel terreno.»
«Mio caro commissario, non so dirti il motivo per il quale tu sia riuscito a stabilire questa connessione. Di certo sei in questo momento un canale per la sua anima. Ma sta attento! Tutto questo ha un prezzo e presto dovrai farci i conti.»
Cesare annuì, nonostante nella testa gli frullassero più dubbi che certezze. Non aveva idea di cosa la medium intendesse dire con quelle parole, ma capiva che qualcosa quella mattina l’aveva turbata. Per un attimo ebbe il timore di aver perso la sua fiducia, di essersi svelato per quello che era: un povero ufficiale di polizia contagiato dal seme della follia. Quanto tempo sarebbe passato prima che anche lei lo avesse ammesso? Idee nefaste gli ronzavano nella mente e mai come in quel momento comprese di essere da solo con i propri mostri.
«Theresa, non c’è bisogno che ti dica che tu sei l’unica alla quale io mi sento di confidare questi “segreti”. Però ti confesso anche che inizio a preoccuparmi e a dirla tutta, anche Eleonora, la mia compagna. Insomma, io cerco di mantenermi in equilibrio ma ho paura che queste cose prima o poi prendano il sopravvento.»
Non ci fu molto altro da aggiungere. Cesare uscì dalla stanza mentre Theresa lo accompagnò nel piccolo giardino della villetta.
«Comunque sia, di questa situazione ne siamo al corrente solo noi due, giusto?»
«Ah, mio caro commissario, certo che lo siamo solo noi due. Ma ricorda che mica ci sono solo i vivi a questo mondo!»
La donna pronunciò quella frase con la piena consapevolezza di chi balla una strana danza tra la follia e la lucidità, tra la vita e la morte.
«Segui il tuo istinto», continuò. «Seguilo e torna da me con ciò che hai raccolto. Non esitare però, perché sento che qualcuno ha bisogno di te.»
I due si salutarono e Cesare attraversò come un confine invisibile il piccolo cancello posto all’ingresso.
«Ah, a proposito, quasi dimenticavo», disse voltandosi all’improvviso.
«Abbiamo trovato anche un’incisione sul petto della giovane, fatta con un coltello o qualcosa di simile. “Lux Æterna”. Ti dice nulla?»
La medium sembrò per un istante fissare il vuoto che li separava. Poi sgranò gli occhi, come presa da una visione.
«Non ti fidare di nessuno, commissario. Di eterno c’è solo la morte, ricordalo.»
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