Vita e compulsioni di Irene Cardin, donna non più tanto giovane per cullarsi di illusioni e non ancora abbastanza vecchia per accontentarsi dei ricordi, che cerca di fare il punto sul proprio percorso esistenziale e sociale. Nonostante si consideri una persona “meno problematica della maggior parte della gente che si definisce non problematica”, Irene è da qualche tempo in cura dalla dottoressa Leoni. Per tutta la vita ha manifestato una serie di disturbi comportamentali che la rendono inabile a capire le emozioni degli altri e il loro linguaggio non verbale e anche ora che ha abbondantemente oltrepassato la trentina la situazione non migliora. Pedante, compulsiva, goffa, amante degli elenchi e delle classificazioni, ma anche capace di sorprendersi della poesia e provvista di un fin troppo peculiare senso dell’umorismo, sempre pronta a fornire modelli teorici di qualsiasi cosa, Irene si è costruita una parvenza di vita sociale modellando la propria comprensione delle persone sui romanzi che ha letto, soprattutto sui classici dell’Ottocento russo e francese; tuttavia continua a vivere in un mondo irrimediabilmente pieno di difficoltà espressive non appena si affaccia al di fuori della parola scritta, e le capita di infilarsi in una serie di situazioni imbarazzanti, estetismi e potenziali disastri. Su proposta della dottoressa Leoni decide quindi di cimentarsi in quello che sa fare meglio: modellizzare e catalogare delle istruzioni per riuscire a sostenere finalmente una conversazione come accade tra i cosiddetti “normali”. Per farlo chiederà aiuto ad alcuni personaggi da cui ritiene di poter imparare qualcosa a riguardo: un professore di filosofia, un vecchio giornalista amico di famiglia, un uomo politico dai trascorsi semi-leggendari, un’ex compagna di scuola che ha trovato lavoro nel campo della comunicazione, una lontana cugina con turbe psichiatriche, uno scrittore che vive da anni nascosto dal mondo. Il romanzo intreccia questi contributi esterni con la vita presente di Irene e con la rievocazione del suo passato, dei vari tentativi fatti per avere una vita sociale come gli altri, degli amori immaginati e di quelli realizzati, delle conversazioni con le proprie impertinenti voci interiori, alla ricerca di un precario equilibrio umano.
Perché ho scritto questo libro?
L’ho scritto per saldare alcuni conti, per esplorare alcuni meccanismi, per la vanità dei demiurghi, perché ogni resistenza era inutile e ne sono stata assimilata, per costringermi a non cadere nel cliché per cui i libri si scrivono da soli. E poi era divertente.
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