Avevo conosciuto diversi ragazzi della mia età in città. Fare amicizia era stato semplicissimo e verso le otto ci ritrovavamo ormai quotidianamente o sulle ramblas o in qualche locale, come quello dove ero quella sera, su una terrazza, a fare il nostro aperitivo.
“ Cosa facciamo stasera? C’è una festa al Pepito?”
Chiese Mabel, una delle due mie (possibili) coinquiline.
“ Perché no? Il posto è carino.”
Risposi io.
“ Ma quando torni a Firenze?”
“ Domenica, ho il volo alle 16,45.”
“ Deciso? Accetti?”
“ Non lo so ancora, Ana, ho tempo fino ad agosto per decidere. Vedo un po’ come va a casa e poi decido.”
Ana era la seconda (probabile) mia coinquilina.
“ Devi sistemare cose importanti a casa?”
“ Fondamentalmente no, ma devo tagliare qualche filo che mi tiene ancora legata.”
“ Amore?”
“ Anche…”
“ Noi ti aspettiamo, lo sai, vero?”
Ana e Mabel erano due ragazze piene di ottimismo e voglia di vivere. Mabel insegnava fitness in palestra, mentre Ana lavorava in una profumeria. Le avevo conosciute la prima sera che arrivai a Barcellona. Mi ero subito persa in città nel cercare il mio hotel e chiesi a loro la strada. Mi accompagnarono e, parlando, mi offrirono la cena il giorno seguente. Mi fecero da cicerone per conoscere la città, si mostrarono gentili in ogni frangente. Loro già abitavano insieme in un appartamento, ma si resero subito disponibili ad affittarmi una stanza nel caso in cui avessi accettato il nuovo lavoro. Così giorno dopo giorno iniziammo a conoscerci. Erano molto modaiole e festaiole, ma si sa che la vita a Barcellona di estate è ruggente ed essendo in vacanza non mi dispiaceva un po’ di mondanità.
“ Vado in albergo a cambiarmi, ci vediamo dopo al Pepito?”
Tornai in camera, mi feci una doccia e scesi a cena. Avevo scelto di alloggiare in un hotel. La sera mi chiamava sempre mia madre o perlomeno mi mandava un messaggio. Ogni tanto si faceva viva Maria, ogni tanto Valentina e qualche volta si era fatta viva anche Lory. Con tutte quante parlavo sempre molto superficialmente di me, celando le domande più insidiose. Adesso ero lontana e non mi interessava più quello che accadeva in Italia.
La vita notturna a Barcellona, come pure nel resto della Spagna, iniziava tardissimo ed io non abituata ai loro ritmi, infatti, ero sempre la prima a cenare, ad arrivare nei locali e ad andare poi a letto.
Arrivai al Pepito alle undici di sera e stavano allora iniziando a mettere la musica. Avevo conosciuto i ragazzi del bar e mi offrirono un cocktail. Mi misi a sedere in attesa che partisse la nottata.
Ad un certo punto ad un tavolino, insieme ad altre persone mi accorsi di un viso noto. Lì per lì faticai a ricordare chi fosse, poi ebbi un flash: era Ines, la segretaria del premier spagnolo? La guardai intensamente per mettere a fuoco il suo viso ed era proprio lei. Evidentemente il peso del mio sguardo dovette essere avvertito, perché Ines si girò dalla mia parte e mi vide. Ci guardammo e mi riconobbe. Si alzò dal suo tavolo e mi raggiunse.
“ Amelia, sei tu? Che sorpresa! Come stai?”
“ Ciao Ines! Bene, davvero una sorpresa, e tu?”
“ Tutto bene. Sono momentaneamente a casa in vacanza, sono catalana. E tu?”
“ Anche io in vacanza.”
“ Ma sei da sola? Vuoi unirti a noi?”
“ No, sto aspettando le mie amiche, come al solito arrivo prima, abitudini diverse.”
“ Va bene, ma nel frattempo stai con noi, ti faccio conoscere i miei amici.”
Mi prese sottobraccio e mi condusse al tavolo. Mi presentò i suoi amici e il suo fidanzato, Jorge. La comitiva riprese a parlare e conversare e Ines si concentrò su di me.
“ Come sta Giovanni Fanfani, il presidente del consiglio italiano?”
Ebbi un attimo di esitazione.
“ In verità, Ines, non collaboro più col suo ufficio. Dopo l’incidente… Lo sai, no?”
“ Sì, io e Francisco, il premier spagnolo, abbiamo vissuto la vicenda con grande apprensione. Non abbiamo mai mancato di prendere sue notizie e mandare i nostri saluti per farci sentire presenti. Spero che lo abbia avvertito.”
“ Certamente, Ines. Non ho dubbi che abbia gradito e apprezzato, ma come ti dicevo, io non collaboro più con lui.”
“ Capisco.”
Mi guardò di sottecchi. Lei ci aveva visto in una delle giornate più piacevoli e riuscite della mia vita, ma adesso mi sembrò talmente lontana nel tempo che i suoi contorni erano ormai completamente sbiaditi.
“ Il premier italiano tornò per un incontro istituzionale un paio di mesi fa, ma non ebbi modo di parlarci molto. Avevo notato altri collaboratori, ma non indagai. E tu ora che fai?”
“ Ho trovato un lavoro qui a Barcellona, sto valutando.”
“ Bene, quindi è possibile che tu ti trasferisca? Tienimi al corrente, se hai bisogno, ti aiuterò molto volentieri.”
“ Grazie Ines. Vedo che sono arrivate le mie amiche, vi lascio alla vostra serata. Ti lascio il mio numero di cellulare.”
Ci scambiammo i numeri con la promessa di tenerci in contatto.
Rivederla mi aveva aperto una finestra sui ricordi, da cui però non filtrava luce, solo aria fredda.
“ Amelia, tutto bene?”
“ Sì, ho rivisto una persona che non vedevo da tantissimo tempo.”
“ Davvero? Qui a Barcellona? Che combinazione!”
“ Infatti, una strana combinazione.”
“ Non ci pensare, Amelia, la vita è piena di combinazioni fortuite, basta lasciarsi alle spalle quelle negative.”
Asserì Mabel.
“ Il problema è che quando ti accorgi che sono negative è troppo tardi.”
“ No, senti che canzone sta passando? Vivi il presente.”
Volli ascoltare la sua innocente esortazione. Iniziò la musica nel locale a tutto volume e andammo a ballare. Facemmo le due e mezzo di notte. Ci divertimmo quella sera e andai a letto serena, senza pensare a Ines e al velo del tempo che aveva inconsapevolmente squarciato.
Cap. 2
In volo verso l’Italia inevitabilmente tornai col pensiero a Ines, a quei giorni, a quello che allora mi sembrò un nuovo inizio. Chiusi gli occhi. I ricordi erano intensi, le sensazioni ancora piene di vita, gli odori e i sapori nitidi sulle mie labbra e nel mio naso… Amica mia, come era difficile dimenticare e ancora più difficile perdonare. Perdonare se stessi, perdonare chi si è amato e ci ha fatto soffrire, perdonare la vita che ci ha sottoposto a dure prove. Come è difficile essere sereni e in pace con la propria coscienza. Io non perdonavo me stessa, amica cara. Non mi perdonavo per essere stata vigliacca, per non essere rimasta ed aver affrontato tutte le ripercussioni del caso. Avevo lasciato Giovanni solo in un momento difficile, lo avevo abbandonato al suo destino, alle inevitabili conseguenze, a quella donna, e fondamentalmente ce l’avevo solo con me stessa. Di nuovo la paura di affrontare qualcosa di più grosso di me aveva vinto e invece di cercare di combattere contro le mie paure, mi arrabbiavo con gli altri, me la prendevo con tutti quelli che ritenevo colpevoli di avermi messo in quella situazione. Prima mi giustificavo adducendo come scusa che lo avevo fatto per lui, per il suo bene e la sua felicità. E poi mi arrabbiavo con me stessa per ricadere sempre nel solito labirinto di errori che ogni volta mi riportava alla stessa entrata e allo stesso percorso.
Per fortuna il volo giunse al suo termine, perché la mia malinconia stava prendendo una deriva psicologica autolesionistica e non sapevo dove mi avrebbe potuto portare.
Mi fermai a comprare qualcosa nel supermarket sotto casa e rientrai. La casa era in disordine, ma non avevo la minima voglia di occuparmene. Avrei rimandato. La mia vacanza proseguiva ancora per tutta l’estate, non sarebbero mancati momenti per le noie di tutti i giorni. Ero stanca, mi sdraiai sul letto e accesi la radio. Mentre mi stavo addormentando, mi chiamò Maria.
“ Ciao Amelia, come stai?”
“ Ciao Maria, bene, sono appena rientrata dalla Spagna, tu?”
Mi raccontò del suo weekend fuori con Simone.
“ Cosa fai il prossimo weekend? Hai già programmi?”
“ In verità no, perché?”
“ Walter ha organizzato uno dei suoi ritrovi nella sua casa del Mugello, ti va di venire?”
Oddio, quella casa… Aveva rappresentato e conosciuto troppe emozioni. La mia pausa anticipò la risposta di Maria.
“ Lo so, Amelia, non hai da aggiungere niente, ma visto che è passato diverso tempo, ci piacerebbe rincontrarci tutti insieme per un pranzo e via. Niente di che, nessun impegno, nessuna pretesa, solo voglia di rivederci. Che dici?”
“ Non so, Maria, non so se ho voglia di rivedere tutti, insomma, senza dispiacere a nessuno, ma sai quello che intendo.”
“ Ti capisco. Io te l’ho voluto dire, poi deciderai tu e andrà comunque bene, ok?”
“ Grazie, Maria.”
Mi lasciò nella più completa confusione mentale. Non sapevo veramente se avevo voglia di rivedere quelle persone e rivivere quel mondo, quella casa con tutto quello che includeva entro le sue mura e nel suo giardino. Troppi fantasmi si sarebbero aggirati attorno a me . No, non era il caso. Mi avrebbero posto domande inevitabili e fornito risposte imbarazzanti, avrei dovuto ascoltare particolari e informazioni sgradite. No, non dovevo andare. L’indomani glielo avrei detto subito.
La mattina, dopo una bella e ristoratrice dormita, mi presi tutto il tempo necessario per me. Copiosa e lenta colazione, dettagliata e accurata cura della mia persona. E vagai col pensiero… La Spagna mi intrigava, mi piaceva la vitalità delle persone, mi stimolava il loro temperamento focoso e ottimista. Erano calorosi, perlomeno quelli che avevo conosciuto. Ero certa che sarei stata bene, lontana da casa, dalla mia terra, ma non troppo. Avrei accettato. Mi sarei presa qualche altro giorno per riflettere, ma ero realmente propensa ad andare. Mi avrebbe fatto bene iniziare completamente da zero una vita nuova, rompendo con tutto, tagliando totalmente tutti i fili pendenti della mia attuale esistenza e costruendo un progetto futuro promettente. Mi sentii improvvisamente felice. Una intensa sensazione di calore mi salii dallo stomaco e mi pervase tutto l’animo. Mi venne da sorridere. Un nuovo scopo ed una nuova meta mi avrebbero proiettato nel futuro e avrebbero impedito al passato di fermarmi e ferirmi ancora. Forse allora tutto il bagaglio di ricordi mi sarebbe pesato meno, mi avrebbe lasciato libera, in pace e forse, magari anche più velocemente, avrebbe smesso di tormentarmi. Sì, libera. Nuovamente. E per iniziare a dimostrare a me stessa che non avevo più paura, avrei accettato il pranzo alla casa di Walter. Magari c’era anche Giovanni. No, forse lui non ci sarebbe venuto, ma non mi importava. Pochissimi giorni mi rimanevano da passare in Italia e sarebbe stata una soddisfazione incommensurabile dire a tutti con il sorriso sulle labbra che me ne sarei andata.
Chiamai Maria e le dissi che sarei andata, ma solo per il pranzo. Non chiesi chi c’era e lei non accennò niente. Era solo un pranzo, mi ripetei. E in caso di frangenti indesiderati, sarei scappata senza troppi convenevoli.
Sarei partita per Barcellona a fine agosto, sistemandomi nella casa nuova in una settimana circa per essere pronta per l’inizio della scuola. Pensavo di partire in macchina. Portare il mezzo con me mi sarebbe stato utile. Si prospettava un viaggio lunghissimo, ma suddividendolo in tappe, non sarebbe risultato poi così pesante. Anzi sarebbe stata una bella avventura, da sola, on the road, lungo la splendida costa italiana, poi attraversando la Provenza e la Linguadoca in Francia e infine la lunga costa spagnola fino a destinazione. Erano poco più di mille chilometri. Con qualche sosta e una notte di riposo ce l’avrei potuta fare. Dovevo progettare tutto nel dettaglio. E assolutamente portare la macchina dal meccanico per sistemarla.
Intanto mi attendeva il pranzo da Walter. Non nego una certa apprensione e un tumulto interiore pressante, ma il pensiero della Spagna mi rendeva più forte e sicura. Vissi la trepidazione dell’attesa come l’allestimento di una prova, a cui mi sottoponevo. Superata quella prova, nessun impedimento mi avrebbe separato dal mio progetto e dalla sua realizzazione. Dovevo farlo.
Partii in macchina per il Mugello attorno alle undici. Non volevo arrivare presto ed avere troppo tempo vuoto da riempire con loro. Mi accompagnò per strada musica anonima. In realtà non lo era, ma io non l’ascoltavo. Non riuscivo a mettere a fuoco le parole per il turbinio delle mie emozioni. Non sapevo che quadro prefigurarmi al momento del mio arrivo, pertanto decisi di non vagliare tutte la eventualità, ma viverle sul momento. Mi ero convinta che Giovanni non ci sarebbe stato. A dire il vero, non so perché, ma mi pareva più logico pensare che non avrebbe voluto un confronto. Perché poi? E se ci fosse stata Lory? E se ci fosse stato lui, invece, con la compagna? Avvertii un tuffo al cuore. No, Maria non mi avrebbe mai invitato, ma non per riguardo nei miei confronti, ma per riguardo nei confronti di Giovanni. Di questo ero certa.
Arrivai attorno a mezzogiorno. La compagnia era già riunita. Mi salutarono calorosamente. C’era Walter, ovviamente, Valentina, Barbara, Maria, Simone, Sebastiano, Patrizio. C’era anche Alessandro che mi abbracciò. Stavano tutti bene, a prima vista, e sembravano contenti di vedermi. Ma, amica mia, io non mi fidavo più di loro. Ci raccontammo gli ultimi eventi, gli accadimenti, le novità. Io non avevo più seguito niente e rimasi stupita dagli innumerevoli passi che avevano compiuto politicamente. Ormai era passato più di anno dall’insediamento del loro governo e si potevano vedere concretamente i frutti. Ero contenta per loro, ma ero contenta di esserne rimasta al di fuori. Mi guardai attorno. Non vidi auto blu e agenti di scorta e quindi Giovanni non c’era. Mi sentii sollevata.
Chiacchierammo concitati di tutto e fondamentalmente di niente, ma i dialoghi fluivano, le parole scorrevano serene e divertite. Mi sentivo bendisposta e rilassata.
Valentina e Walter si erano ufficialmente fidanzati, dopo il divorzio di lei. Maria e Simone stavano insieme e avevano intenzione di sposarsi. Sebastiano aveva trovato una compagna, che non era al momento presente, ma di cui era follemente innamorato. Patrizio era diventato leader ufficiale del partito. Pranzammo e dopo pranzo, come ai vecchi tempi, chi si mise a giocare a carte, chi semplicemente a chiacchierare, chi a prendere il sole. Io mi sedetti su una sdraio, vicino agli altri. Alla compagnia non sembrava importasse di tutto questo tempo trascorso, dei brutti avvenimenti accaduti, di me che ritornavo dal nulla e nel nulla sarei sparita nuovamente, ognuno era totalmente immerso nei propri affari e nelle proprie faccende. Alla mia risposta circa il futuro e la volontà di trasferirmi in Spagna, risposero tutti con complimenti e lodi. Non percepivo affettazione nel loro atteggiamento, ma sembravano non dare troppo fondamento alle mie intenzioni.
“ Quando parti?”
“ A fine agosto. Devo un attimo organizzare il viaggio e il trasloco, ma i giochi sono fatti.”
Silenzio. Non comprendevo bene la loro reazione: pensavano che scherzassi?
D’improvviso una berlina nera entrò nel giardino. Mi tirai su di scatto. Il mio cuore cominciò a battere forte. Tutti diressero lo sguardo su di me e poi, vedendo che li osservavo, fecero finta di niente. Mi ancorai a sedere, cercando di dissimulare il mio imbarazzo, la mia emozione e la mia ansia. Dalla macchina scese Giovanni. Vederlo mi creò un groppo alla gola tale che mi paralizzò ancora di più. Era serio in viso. Salutò tutti e poi, quando mi vide, mi sorrise.
“ Ciao Amelia, mi fa piacere vederti.”
Io non mi alzai. Avrei voluto farlo, ma ero completamente irrigidita. Mi uscii un sorriso stentato. In realtà camuffavo con quel sorriso sofferto la commozione che mi impediva di parlare, muovermi, fare qualunque cosa. Non riuscii nemmeno a salutarlo. Vedendo la situazione, Giovanni distolse l’attenzione da me e andò dagli altri. Era stato tutto troppo imprevisto, mi aveva colto di sorpresa. Già ero convinta che non l’avrei incontrato, poi non vederlo a pranzo me lo aveva addirittura fatto dimenticare. Rimasi a sedere immobile per qualche minuto, quindi mi alzai e andai in bagno. Mi chiusi dentro e davanti allo specchio mi uscirono le lacrime. Erano silenziose, erano lente. Mi venne da ridere. Questa era la mia forza? Mi chiesi se non fosse stato studiato anche questo incontro, francamente un po’ teatrale, ma non mi importava. La mia emozione era spontanea e ovvia. Uscii dal bagno e tornai da loro.
Maria venne da me : “ Tutto bene?”
“ Sì, tutto bene.”
Quel giorno sarebbe dovuto arrivare ed infondo, dentro di me, ero felice che fosse arrivato. Potevo dirgli tutto prima di partire e non portarmi più dietro quel macigno nell’anima. Ecco la mia prova. Avevo di fronte le mie paure, sofferenze, emozioni e soprattutto avevo davanti la persona che le aveva generate, adesso nuovamente lì per me, per vincere la mia prova. Quale occasione migliore. Feci un sospiro.
Giovanni stava parlando con Alessandro, ma quando mi vide, smise di parlare.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.