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Naufraghi in montagna

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Consegna prevista Aprile 2025
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Sono cugini, ma diversi: Orlando è spavaldo, irruento e avventuroso; non altrettanto Michele, che ha un’inesorabile paura del vuoto, ma ammira il coraggio del cugino. Iniziano la loro vacanza con i nonni nella casa sul lago. Sono liberi di muoversi e di giocare fino allo sfinimento nel bosco, dove costruiscono il loro rifugio. Possono anche raggiungere l’isola nel lago con la loro piccola barca a vela. Conosceranno Anna che li inviterà nella sua casa sull’albero. La nuova amica si presenta spesso come una voce ironica, che non si capisce da dove arrivi, altre volte come uno sguardo indagatore. Ed è con lei che avranno l’avventura più indimenticabile e rischiosa di questo inizio d’estate. È una storia di amicizia, nuove esperienze, coraggio, crescita, capacità di cavarsela nella disavventura e soprattutto di generosità.

Perché ho scritto questo libro?

I miei figli mi chiesero di scrivere le storie che gli inventavo da piccoli per addormentarli. Erano storie comiche e loro ridevano a crepapelle e si sfrenavano. Ci fu un accordo: alla fine della storia dovevano restare a letto, possibilmente con gli occhi chiusi. Vederli addormentarsi ridendo è stato il mio maggiore successo materno. Quando ho cominciato a scriverle me ne sono venute altre, raccontavano della loro infanzia e della mia: di amicizia, avventure, esperienze e rispetto della natura.

ANTEPRIMA NON EDITATA

PROLOGO

Il vento violento la costrinse a socchiudere gli occhi. La tempesta si era alzata in pochi minuti e ora la corrente portava la barca al largo. I suoi amici non osavano opporsi cambiando direzione, perché temevano di spezzare il timone o strappare la vela. Era la prima volta che saliva su una deriva, ma capì chiaramente che in quel momento la barca era governata dall’aria, dall’acqua e dalla tempesta. E non c’era nulla che loro potessero fare per tornare al molo.

Il colpo alla spalla la prese di sorpresa e cadde dalla barca sprofondando nel lago gelido e grigio, stupita che stesse succedendo proprio a lei.

Gli occhi spalancati nell’acqua non capivano dove fosse l’aria e dove il fondo del lago e non sapeva da che parte nuotare per riemergere. Aveva acqua nella bocca e nel naso; nel petto sentiva una pietra che la portava giù.

No, non le stava succedendo davvero, non era possibile finire così. E invece era vero, il braccio colpito dal boma le faceva male, stava perdendo le forze e pensò di lasciarsi andare. Almeno avrebbe smesso di sentirsi soffocare.

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Spalancò di nuovo gli occhi e scommise che l’aria era dove le sembrava di vedere un chiarore. Diede un colpo di gambe e si spinse con le braccia. Sputò, tossì, ingoiò aria e le onde le buttarono in faccia altra acqua. Respirava con difficoltà, ma ce l’aveva fatta: era fuori.

Ora doveva capire dove era finita la barca e salirci in fretta, perché l’acqua era fredda e lei continuava a bere e tossire.

Vide la vela allontanarsi velocemente: non aveva nessuna speranza di raggiungerla e ancora si chiese se davvero le stesse capitando tutto questo. Era sola e spaventata, in mezzo al lago in tempesta. Le veniva da piangere, cercò di urlare per richiamare l’attenzione dei suoi amici, ma un’onda in faccia le soffocò il grido.

I suoi amici non potevano soccorrerla. Una raffica di vento le aveva spinto addosso il boma della vela, facendola cadere in acqua, la corrente e il vento decidevano dove far filare la barca e lei doveva salvarsi da sola.

Guardò gli scogli aguzzi: lì sarebbe stata in salvo. Non erano lontani, ma la corrente non l’avrebbe aiutata a raggiungerli. Conosceva bene l’isola, tante volte aveva nuotato attorno agli scogli con la maschera e le pinne. Sapeva che avvicinandosi alla riva l’acqua era più calma. Poteva farcela, ma doveva muoversi: la corrente non aveva bisogno di fermarsi a riflettere e continuava a spingerla al largo.

Nuotò lasciando la disperazione e la paura dietro di sé. Nuotò ignorando il freddo, il dolore alla spalla e la stanchezza. Prese una pausa e cercò di capire che progressi avesse fatto. Non era ancora nelle acque tranquille, ma si era avvicinata: vedeva la spiaggia oltre gli scogli.

Su un albero secco c’era qualcosa di rosso. Forse una plastica portata dal vento. Sventolava come una bandiera. La fissò: era lì che doveva arrivare. Dimenticò i muscoli che le facevano male, il fiatone, la gola che le bruciava e l’acqua che le entrava nel naso. Lei voleva arrivare alla spiaggia e solo lì avrebbe ripreso fiato: sotto la bandiera rossa, finalmente al sicuro.

Fu proprio in quel momento che l’onda la colpì alle spalle, inghiottendola in un risucchio.       

1. AL LAGO (due giorni prima)

Orlando come al solito aveva occupato quasi tutto il sedile posteriore: spaparanzato a gambe larghe, abbandonato all’indietro, la testa seguiva il dondolio della macchina e ogni tanto crollava in avanti.

Michele, costretto nel suo angolino, provò ad addormentarsi anche lui, ma era in una posizione troppo scomoda per rilassarsi. Stava pensando di scavalcare il cugino e di andare a piazzarsi nell’altra estremità del sedile che gli sembrava più spaziosa, quando gli si conficcò nel fianco un gomito di Orlando, che mugugnò:

— Fatti in là.

Michele guardò allarmato la portiera contro la quale era schiacciato. Lentamente si girò mettendosi in ginocchio dove era seduto un attimo prima e riuscì a scavalcare il cugino senza disturbarlo. Sì, da quell’altro lato c’era più spazio, sorrise soddisfatto. Appoggiò la testa al sedile, si mise comodo e chiuse gli occhi.

All’improvviso una clava gli si abbatté sullo stomaco e una palla di piombo crollò sulla sua spalla. Michele spalancò gli occhi con il cuore in gola. Erano il braccio e la testa di Orlando, che aveva deciso di cambiare posizione e di usarlo come materasso.

— Michele, cerca di non agitarti troppo, cavolo, sto cercando di dormire.

Guardò Orlando sbalordito; poi sospirò e preferì rinunciare al sonno. In fondo il paesaggio fuori dal finestrino non era male. La città se l’erano lasciata alle spalle da un pezzo. I piccoli paesi di montagna erano sempre più rari e i tratti in mezzo ai boschi più lunghi. Il nonno guidava tranquillo e la nonna smanettava sulla radio in cerca di una stazione che trasmettesse solo musica.

La casa ormai era vicina: anche quest’anno la lunga vacanza in montagna con i nonni e il cugino stava per iniziare. Michele sorrise, si tolse un ciuffo dei capelli di Orlando dalla bocca, socchiuse gli occhi e si addormentò. 

Si svegliarono quando l’auto si fermò nell’ultimo paesino prima di arrivare alla baita. Bisognava fare provviste. I cugini sapevano qual era il loro compito: dovevano occuparsi di comprare biscotti, latte e tutto quello che serviva per la prima colazione. Entrarono nel negozio, che conoscevano bene, e incontrarono Armando, il negoziante, che stava uscendo.

— Salve ragazzi, bentornati. Entrate pure, fate la vostra spesa e poi potete pagare alla cassa, a mia nipote Anna. Quest’estate ha deciso di aiutarmi per qualche ora al giorno in negozio.

Non avevano mai incontrato Anna, ma erano molto curiosi di conoscerla, perché Armando ne parlava sempre e ne era molto orgoglioso.

Si diressero subito al reparto più interessante e fecero incetta di biscotti al cioccolato, brioche alla cannella, gelato variegato, praline alle mandorle, ciambelle alla doppia panna, frollini alla granella di zucchero, cialde glassate, gelatine di frutta, una vaschetta di crema alla vaniglia, che era la specialità fatta in casa dalla moglie di Armando, e altre delizie che i genitori normalmente gli proibivano. Infine, comprarono il latte e un sacchetto di carote, che fanno tanto bene e sono irrinunciabili in una dieta bilanciata.

Andarono a pagare alla cassa, che si trovava dietro a un alto bancone di legno. Non trovarono nessuno. Si guardarono in giro in cerca della nipote di Armando, ma non ne videro traccia da nessuna parte. Allora Orlando cominciò a chiamare:

— C’è nessuno?

— Certo che sì.

Si guardarono attorno sorpresi: non capivano da dove arrivasse la voce, eppure chi aveva parlato doveva essere molto vicino a loro.

Orlando ci provò di nuovo:

— Noi vorremmo pagare.

— E vorrei ben vedere. Non sono sicura che riuscirete a sopravvivere a tutta quella roba spacca fegato che avete preso; perciò, non vi faccio andare via se prima non pagate.

La voce era forte e chiara, ma per quanto i cugini si guardassero in giro, in quel negozio non si vedeva proprio nessuno.

I due erano un poco allarmati. Orlando tirò Michele verso l’alto bancone di legno e gli parlò a bassa voce all’orecchio:

  Ma, secondo te, da dove viene la voce?

  Da qua dietro, tonti!

Michele fece un salto per la sorpresa: sopra la loro testa, dal bordo dell’alto bancone di legno, spuntava la faccia divertita della nipote di Armando.

— Ma, secondo voi, in un negozio dove altro si può trovare la cassiera se non dietro la cassa?

Anna aveva pressappoco la loro età ed era appollaiata sullo sgabello normalmente occupato da uno dei suoi nonni, entrambi molto alti. Armando aveva costruito sgabello e bancone su misura per l’altezza spropositata sua e di sua moglie. Chiunque altro, dietro a quella postazione per giganti, avrebbe faticato a rendersi visibile, ma Anna spariva del tutto se non si alzava in piedi sullo sgabello, come stava facendo ora.

Michele e Orlando pagarono e imbustarono tutto sotto lo sguardo ironico della giovane cassiera. Mentre prendevano la loro spesa, Anna sembrò ricordarsi di qualcosa.

— La prima volta che ho potuto prendere tutto quello che volevo nel negozio dei nonni, ho fatto anch’io una scorpacciata di ogni dolce che riuscivo a mangiare. Poi però mi sono sentita così male che adesso mangio solo il gelato alla frutta; tutti gli altri dolci potrebbero anche sparire, non me ne accorgerei.

— Non mangi neanche la crema di tua nonna? È buonissima.

—Purtroppo, ne ho mangiata talmente tanta che mi fa venire il singhiozzo anche solo a guardarla troppo.

Anna sospirò sconsolata e i due cugini si guardarono preoccupati, ripromettendosi di moderare il consumo di dolci nei giorni seguenti.

Salutarono Anna e raggiunsero il nonno nello spaccio che vendeva il necessario per la pesca e la vela: era un posto magico, con attrezzi strani e misteriosi, tra i quali nonno Alfonso si muoveva con sicurezza e competenza. Il proprietario ormai li conosceva e li lasciava curiosare e toccare lenze, mulinelli e le magnifiche canne colorate.

La macchina era carica come un uovo. Michele e Orlando non riuscivano neanche a muoversi: avevano buste anche sul sedile posteriore e in mezzo ai piedi, ma non ci facevano caso, perché sapevano che l’ultimo tratto era il più bello.

Ora guidava nonna Leonilde, che a questo punto preferiva prendere il volante perché era più attenta a evitare fossi, radici e sassi sul sentiero tutto buche che partiva dalla strada principale e portava alla baita. I cugini si fecero silenziosi, riconoscendo gli angoli di bosco dove tornavano tutti gli anni, ma poi saltarono su eccitati.

— Eccola, eccola, la casa, già si vede. 

Si precipitarono giù dalla macchina e corsero nello spiazzo davanti alla baita. Michele riconobbe il vecchio tronco poggiato a terra lungo la facciata, dove la sera si sedevano a chiacchierare e a guardare le stelle, gli arbusti fioriti, perfetti quando giocavano a nascondino e poi, girato l’angolo della facciata, le due altalene costruite dal nonno.

Ci saltarono su urlando e ognuno si dava la spinta da solo, calciando le gambe in aria e buttando le spalle indietro.

— Dai Michele, facciamo a chi tocca per primo i rami dell’abete.

— Ma sei matto? Quelli sono più in alto dell’altalena.

— E allora? Spingi, che con i piedi ci arrivi.

— Orlando, non fare lo scemo: così ti sfracelli.

— Uffa, sei il solito fifone: guarda come si fa.

In poco tempo Orlando arrivò quasi orizzontale a terra, ignorando le urla spaventate del cugino. Riuscì a toccare i rami con la punta dei piedi. Una volta, due volte, alla terza gridò:

— Hai visto quant’è semplice?

Michele, tranquillizzato che anche questa volta il cugino non si era disintegrato al suolo, ignorò gli sfottò e si gustò il vento in faccia. Spingendosi nell’aria, riconobbe gli alberi, il sentiero per il lago e l’odore intenso del bosco.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Maria Grazia Malandrino
Ho passato l’infanzia tra Basilicata e Puglia, ma sono nata a Salerno dove ho studiato e mi sono laureata in Lingue e letterature straniere con una tesi sul poliziesco americano degli anni 40. Ho lavorato a Treviso e ora vivo a Roma. Qui mi sono specializzata in traduzione letteraria alla Sapienza e ho insegnato (e imparato) a lungo in un liceo con vista sul Colosseo. Leggo generi diversi, ma prediligo narrativa contemporanea e thriller psicologici. Mi piace viaggiare, l’arte moderna e contemporanea, ascoltare musica soprattutto dal vivo, nuotare (vivrei in acqua). Amo praticare il Qi Gong con le mie amiche, preferibilmente nel verde. Vivo in una casa luminosa e inspiegabilmente disordinata con mio marito e due figli.
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