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Nel bozzolo

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Luca ha sempre preferito rimuginare piuttosto che agire. Ha fatto lo stesso anche con Lucrezia, che da amore travolgente si è trasformata in una delusione bruciante. Ma nel momento in cui Luca rischia di smarrirsi tra i ricordi legati a lei, inseguendo una storia che riscrive nella sua testa senza riuscire a cambiarla, arriva inaspettatamente qualcuno che gli tende una mano e lo aiuta a tirarsi fuori, costringendolo a vivere davvero. Riuscirà finalmente ad aprirsi e a guardare con occhi diversi chi non aveva mai considerato? La storia di Luca è una storia d’amore e di sorprese… e forse qualcosa di più: un viaggio alla riscoperta di se stesso e del mondo che lo circonda
.

ANTEPRIMA NON EDITATA

A Paola

Prologo

[…]

And when I feel, fair creature of an hour!

That I shall never look upon thee more

[…]

John Keats (inizio dell’800) “When I have fears..”

Non ci posso credere, non è possibile.

Se fossi in una storia chiederei un pizzicotto, perché sto sognando. Ma non ci sono, perbacco. Dio, toglimi di qui, ti prego. Fammi entrare da qualche parte: che ne so, in un fumetto, in un romanzo, in un film, dove vuoi, ma toglimi da qui, cavolo, non vedi come sto?

Macché, non mi ascolta. Non mi ascolta mai. I miei pensieri svolazzano intorno a me, mi urtano come la folla ai grandi magazzini, mi lasciano qua pesante sul divano, a ricordare quando non lo ero. Caspita, quanto mi sentivo leggero! Leggero come l’aria, non come ora.

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Era una di quelle feste che si organizza sperando di conoscere gente nuova e che poi si trascorre preparando beveroni, servendo pizzette e osservando splendide ragazze fare amicizia e divertirsi un mondo con chi si aveva invitato solo per far numero (traditori). Feste stancanti, che gli organizzatori trascorrono in una frenesia competitiva inespressa, da una parte desiderando di essere riconosciuti come chi ha combinato il tutto, e dall’altra di confondersi tra i fortunati che a nulla devono pensare tranne che mangiare, bere ed elencare collaudate spiritosaggini a chi capita sotto tiro. A cercare di fare cose opposte, si sa, non se ne fa poi bene nessuna: si finisce per puntare in cinque l’amica della fidanzata del cugino, le si parla a tratti tra un vassoio e l’altro, cercando di spedire via gli altri quattro con allusioni incomprensibili a compiti assurdi da svolgere. Alla fine, quei magnifici discorsi preparati insieme ai tramezzini si condensano in poche frasi dal significato oscuro e del tutto distante da ciò che si voleva esprimere: non un granché insomma. Per qualche sconosciuta ragione però, quando finita la festa si riassetta tutto con l’aiuto delle donne degli amici (le vere menti di tutto, le fate buone d’ogni compagnia), ti resta un entusiasmo tardivo, una voglia di rifarlo, tutti, sempre, anche se poi non si sa neppure perché.

Per fortuna io quella sera sono arrivato lì come invitato di terzo livello, ossia come amico dell’amica della ragazza di un organizzatore, e me la stavo spassando a osservare quello che di solito facevo io, fatto da altri. Diana, con cui ero entrato, giocava con me a fare la coppia aperta allentando o stringendo il filo di sguardi e sorrisi che ci legava insieme. Piccola concessione masochistica di due amici, la cui voglia di avventure romantiche non riusciva mai a superare lo sbarramento dell’ironia, né a essere da questo soppressa.

A un tratto, eccola.

Comparve quasi per caso, nascosta tra due battutine che avevo lasciato cadere con quella che speravo fosse leggerezza, ma chissà cos’era veramente. La complicità fragile che io e Diana stavamo costruendo si infranse di colpo. Il mare di volti allegri nel quale nuotavamo lieti si fermò per farla passare, come le acque davanti agli ebrei al seguito di Mosè. A pensarci, non so ancora cosa mi colpì così tanto di lei, quella sera; forse quel suo modo così unico di ridere, o forse come guardava (me, forse? Possibile?). Boh, forse fu il suo collo: lungo, aristocratico, che lei mostrò con un gesto che mi parve non ricordo più se civettuolo o generoso, ma che forse era solo naturale. Si ravviò i lunghi boccoli, di un castano rossiccio-biondo a cui non sono mai, accidenti, riuscito ad assegnare un colore preciso, e sorrise. Colpito. Come in un film immaginario, all’improvviso tutte le voci intorno a me avevano messo la sordina e i miei occhi volevano solo osservare lei. È vero: questo non aiuta molto, né ad assumere la necessaria espressione disinvolta e di successo, né tantomeno a evitare i tavoli, che non avevo mai pensato così numerosi in una festa. Mi sono avvicinato a lei come un incrocio tra un ragazzotto con gli occhi acquosi e un pullman posteggiato in discesa senza freno a mano. «Ciao!» le avevo detto, originale.

Gli occhi acquosi li ho anche ora, porca miseria. Guardo il muro di fronte al divano dove mi sono lasciato cadere, e non lo vedo. Vedo solo il film di quella serata: lo giro come piace a me, rallentando quando voglio e riguardandolo più volte. Lo padroneggio, non come questa stupida realtà che tende a farsi i fatti suoi e che non sono mai riuscito a controllare, né per davvero né almeno per un poco.

Calma, devo calmarmi; ora respiro. Bene, così, fermo, ecco.

Macché. I miei pensieri sono troppo veloci, corrono intorno a me, scappano, li cerco: eccone un altro, se ne va. Fermo!

Niente.
Ho bisogno di bere.
Ah be’, ecco qua un’idea originale: serata d’estate, calda, profumata, carica di promesse. Esco con la persona che dà senso a me, all’estate, a questa sera, che mi fa cantare nel cuore. D’improvviso scopro che ciò che pensavo vero, stabile e certo scolora di colpo, come un brutto manifesto sul muro in una sera di pioggia. Resto da solo. Mi guardo in giro. Torno a casa, mi butto sul divano e mi ubriaco. Ma bravo, devo farmi proprio i complimenti.

Non ci posso credere, non c’era nulla che andasse storto, nulla. Incomprensioni? No, no, nessuna: mi ama, lo so, lo so, e anch’io l’amo, Dio come l’amo. Qualunque cosa di lei amo: le sue gambe (oh mamma mia, che gambe: ricche, tornite e snelle), gli occhi, il loro colore, il suo seno a far capolino, il modo storto che ha di guardarmi e di scherzare, il sorriso. L’incredibile – unica forse – leggerezza nel guardare e capire le cose, capire il tutto e rivestirlo con una battuta dolce e intelligente, dolce come lei, come il suo sguardo, come il suo sorriso…

Troia.

Mi ha liquidato così, senza un tremito, solo un leggero fastidio per dover sbrigare una pratica imbarazzante e un po’ noiosa.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

  1. Marco Solimano

    Ciao a tutti, volevo scrivere questo messaggio per ringraziarvi del grande supporto che state dando al mio tentativo. Quando ho cominciato a pensarci però, mi sono accorto di avervi detto, senza volere, una cosa sbagliata. Ho detto “ho scritto un libro”, avrei dovuto dire “sto scrivendo un libro”. Per vanità ho pensato che la mia opera fosse conclusa, invece no. Ci sono parti farraginose, inutilmente prolisse e un po’ troppo enfatiche, come qualche amico ha giustamente notato. Però é bello. Allora ho capito lo spirito di BookaBook: costruire squadre che rendano reali i sogni, che per noi esordienti rimangono spesso tali. Non è un caso che la mia bozza verrà sottoposta ad un editing pesante se supererà i 200 e sarà pubblicata entro 180 giorni dopo la fine della campagna. 100+180.. la nascita. La vanità mi ha impedito di notarlo prima ma ora penso: ognuno di noi sta rendendolo un po’ più reale. Varrà la pena che nasca? Secondo me sì, ma io non sono obiettivo. Grazie ancora a tutti

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Marco Solimano
nato nel 1962, è laureato in Ingegneria elettronica e lavora in un reparto R&D di una multinazionale a Genova.
Nel 2005 riceve la diagnosi di Sclerosi Multipla, a seguito della quale rimescola le carte in tavola, cambiando la sua vita e le sue priorità. È socio dell’associazione AISM ed è stato membro del consiglio direttivo provinciale di Genova. Nel 2015 si è classificato secondo nel concorso letterario “Semplicemente io e lei”, organizzato da AISM, con un racconto breve che è stato pubblicato all’interno di un’antologia. Nel bozzolo, il suo primo romanzo, è nato nel momento in cui, dopo aver incontrato sul suo cammino qualcosa che l’ha obbligato a essere altro, pur restando sempre un po’ se stesso, si è accorto che l’uomo è il cielo e non le nuvole che lo attraversano.
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