La domenica passeggiano tutti insieme, diretti innanzitutto in chiesa. La città offre comunque una sosta al mercato coperto o in alcuni caffè all’occidentale dove è possibile fermarsi per consumare qualcosa. Nikkulaat e famiglia lo fanno praticamente ogni domenica. Il vecchio centro di Sisimiut, anche per la vicinanza dei templi cristiani e dei principali monumenti storici, tra cui il museo, la domenica rimane prevalente appannaggio di inuit ed europei. I cinesi invece, oltre che a rimanere nel proprio quartiere, ove sono stati costruiti un piccolo tempio buddhista ed una chiesa taoista, frequentano pure lo stesso centro cittadino, dove tengono aperti alcuni negozi, mescolandosi così con le altre etnie della città e con un po’ di turisti. Il mercato e le vie del piccolo centro di Sisimiut sono animate. Un vociare ordinato le accompagna anche nelle domeniche più fredde. All’uscita del
Braettet Feng avvista l’amica Aleqa e la chiama semplicemente con il suo nome. La giovane indigena si volta subito, incontrando così lo sguardo dell’amico.
“Buongiorno Feng, come stai?”, dice sorridendo.
“Bene, grazie Aleqa, soprattutto oggi che non si lavora e c’è un po’ di sole …”.
“Hai perfettamente ragione, Feng. Io frequento scuola: è impegnativa, certo, ma credo di essere fortunata se posso continuare a studiare. Ai miei piacerebbe andassi all’università. In effetti vorrei fare il medico da grande, Feng”, dice Aleqa distanziandosi un po’ dai suoi famigliari per sostenere il dialogo con l’amico.
“Che bello, perché no? Ti ci vedrei proprio bene a lavorare con un camice all’ospedale di Sisimiut o alla clinica universitaria di Nuuk. Che fai stamattina?”
“Vado come sempre in chiesa con i miei genitori …”
“La messa dura più o meno un’ora, vero?” domanda retoricamente Feng.
“Sì, Feng”, risponde lei con un sorriso.
“Allora, se i tuoi genitori non hanno nulla in contrario, che ne dici se ci vediamo alle undici e trenta al Café Sisimiut?”
“Sì, non ci sono problemi. Ci vediamo dopo.”
Nikkulaat e sua moglie Simigaq,i genitori di Aleqa, sono sposati da quindici anni, poco prima che nascesse Aleqa. Il rito fu celebrato all’interno della Chiesa Nuova, nel suo splendido interno fatto tutto di legno, nella luce diffusa dai pregiati lampadari dorati e dalle candele ad altezza d’uomo, tutte accese per l’occasione. Sacerdote officiante una donna, come da anni ormai in Groenlandia, Islanda, nei principali paesi scandinávi. Una donna inuit, per la precisione, e questo accade ormai da diversi decenni in Groenlandia. Perché certo non potrà dirsi che i groenlandesi siano un popolo arretrato, a dispetto dei volti indiani e della loro economia, ancora in parte incentrata su pesca e caccia. Qui i ruoli tra maschi e femmine non sono mai stati particolarmente netti, anzi, nella tradizione inuit le donne hanno sempre avuto un ruolo fondamentale e mai subalterno. Gli sciamani, anello importante della comunità indigena, sono spesso donne.
Dopo aver partecipato alla celebrazione delle dieci nella Chiesa Nuova, Aleqa raggiunge Feng al Café Sisimiut, che si trova, attivo ormai da decenni, nel centro della città, in Aqqusinersuaq, la via principale. La ragazza ha conquistato un po’ di libertà ormai da qualche anno. D’altronde qui gli adolescenti sono da sempre piuttosto emancipati e la città rimane tranquilla, nonostante la forte espansione degli ultimi decenni.
A dispetto del sole e della quasi totale assenza di brezza, la giornata rimane fredda. Siamo a marzo inoltrato ma la temperatura stamane è di – 8 °C, tuttavia ampiamente tollerabile dagli indigeni, abituati a condizioni climatiche anche più severe. Aleqa affronta la giornata con indosso un bel parka nero, molto pesante ed interamente fatto di lana, ad eccezione del collo e del cappuccio, composti di pelliccia di foca. E’ un abito tradizionale per gli inuit, realizzato anche dalle sartorie e da alcune piccole imprese di abbigliamento groenlandesi, mentre in passato veniva confezionato esclusivamente in casa. Le tribù, abituate a vivere in ambienti decisamente meno ospitali ed addirittura negli igloo, lo realizzavano interamente in pelliccia e pelli di foca. La ragazza indossa inoltre un paio di pantaloni scuri in tessuto tecnico, idonei a trattenere il calore, su cui poggiano i tradizionali stivali kamik in pelle di renna, color panna e tipicamente istoriati.
Sono poche le persone che sostano vicino all’ingresso del vecchio caffè, considerata anche la temperatura. Il locale è stato realizzato secondo un sistema simile a quello delle palafitte, diffusissimo in Groenlandia: la costruzione, rigorosamente in legno, è poggiata su pali di legno infissi verticalmente sul terreno, che servono, assieme alle fondamenta in cemento che poggiano direttamente sulla superficie, ad evitare che la neve possa impedirvi l’accesso, soprattutto quando cade copiosa e si poggia in terra per giorni e giorni.
Aleqa non trova Feng all’ingresso del locale. Pensa di trovarlo all’interno, visto che è meglio, per via della temperatura, incontrarsi direttamente in un posto riscaldato. E così entra e lo trova seduto ad attenderla ad un tavolo per quattro persone. Il Café Sisimiut è in genere piuttosto frequentato la domenica, anche da qualche turista, e funziona anche come ristorante. Feng ed Aleqa e le rispettive famiglie sono in buoni rapporti con i titolari del locale e con le commesse, per cui non è impossibile per loro trovare un tavolo libero, anche in giornate impegnative come le domeniche di primavera.
“Aluu Feng”, lo saluta lei raggiungendo il tavolo. Aleqa depone il parka sulla sedia rimasta vuota al suo fianco.
“Allora, Aleqa, vogliamo prendere qualcosa?”
“Sì, certamente”, risponde lei.
Lui ordina un semplice caffè americano, lei un cappuccino. Dividono inoltre un pezzo di torta a base di bacche rosse e mirtilli, che sorgono spontanee durante la stagione estiva groenlandese.
“Allora Aleqa, che mi racconti? Come vanno le cose?”
“Tutto bene, Feng, non ci si può lamentare. A scuola tutto bene. Papà e mamma fanno più o meno la solita vita tra il mare ed il bar. Tu, invece, che mi dici di nuovo?”
“Niente di particolare, Aleqa. Il lavoro in serra, come sai, è parecchio impegnativo. Tuttavia non mi lamento, sono contento così. Piuttosto mi preoccupa un po’ la salute di mio padre … lavorare in miniera è difficile. A volte se ne torna a casa molto stanco e con il fiato rotto, con la tosse … Quanto vorrei facesse un lavoro meno pericoloso, Aleqa …”
“Ti capisco Feng. Mio padre mi dice spesso che con i cambiamenti climatici ed il primo scioglimento dei ghiacci, un po’ di anni fa, in molti hanno voluto cambiare il volto della nostra Groenlandia, sfruttare le grandi risorse, prima nascoste dal ghiaccio. Siete così arrivati voi dalla Cina, sono venuti i danesi, gli americani, gli australiani. Il nostro governo è stato il primo a voler sfruttare i giacimenti minerari ed anche quelli petroliferi. Così anche la condizione economica di noi inuit è un po’ migliorata qui. Chi lavora in miniera, nelle viscere della terra come Li non fa un lavoro facile, effettivamente …”
“Mio padre dice di aver accolto l’invito del governo cinese di trasferirsi in Groenlandia per cogliere nuove opportunità. L’affitto ce lo paga lo Stato cinese e papà mi dicono prenda un buon stipendio, migliore di quello che prendeva quando lavorava in Cina come operaio.”
“La storia del nostro popolo è diversa, come sai. Noi siamo gli eredi degli uomini e delle donne che popolavano la grande isola dei ghiacci nei tempi antichi, quelli che si sono preoccupati di conservare intatta questa terra, con le nostre tradizioni, i nostri costumi … – dice Aleqa con una punta di orgoglio e con un po’ di emozione – tuttavia la Groenlandia è cambiata tantissimo ormai. A noi piace però conservare un po’ delle nostre tradizioni … Non ho nulla contro chi è venuto dopo di noi qui a vivere e lavorare. L’ha deciso anche il nostro governo, anni fa, con una maggioranza inuit al comando, per poter essere più liberi economicamente e forse più felici …”
“Lo so Aleqa che tu e gli altri indigeni non avete nulla contro di noi. Siete ospitali, in qualche modo ci siamo integrati qui. Per me che sono nato a Sisimiut nessun problema, ma la Cina è molto diversa dalla Terra degli Uomini. I miei genitori, per esempio, so che hanno avuto diversi problemi di ambientamento agli inizi, soprattutto per via del clima, ma si sono trasferiti qui per vivere meglio che in Cina, per sfruttare i grandi spazi offerti dalla Groenlandia. La Cina è satura di gente e di attività ormai da tantissimo tempo.”
“Condivido quello che dici – risponde Aleqa sbocconcellando la porzioncina di torta rimastale – ma questa terra non è più la stessa, ormai. Il clima, lo sfruttamento delle miniere … Non tutti se la passano bene. Papà raccoglie le lamentele degli amici pescatori, non solo perché di pesce non se ne trova in mare più come e quanto una volta, ma perché il mare è diventato più pericoloso: è spesso agitato, se non addirittura in tempesta. Proprio la scorsa settimana si è verificato un incidente grave con due colleghi di Nikkulaat morti ed altri quattro salvi per miracolo! Ne avrai sentito parlare in città, oppure se hai seguito Sisimiut Tv o letto qualcosa su internet. Dice mio padre che fino a vent’anni fa il mare era spesso calmo nella baia, anche d’inverno.”
“Sì, Aleqa, ho saputo dell’incidente, e me ne dispiace molto. Tra l’altro i pescatori qui appartengono quasi tutti alla tua gente, noi di origini cinesi ci dedichiamo ad altro, come sai, eppure non mancano le attività pericolose anche per noi, come quelle in miniera …”
“Siamo nella stessa barca, è proprio il caso di dirlo … Che tu possa avere calore nel tuo igloo, olio nella tua lampada e pace nel tuo cuore, Feng. E’ un augurio inuit.”
“Grazie Aleqa”, risponde con affetto Feng prendendole le mani. “Lo auguro anche a te ed ai tuoi cari.”
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