Una musica terrificante si annida nei nostri timpani e un sorriso teso ci aiuta a celare le nostre paure. Mio padre e mia madre s’erano innamorati al primo sguardo, ma il tempo ha visto quello sguardo cambiare inesorabilmente. Gli occhi dell’amore sono diventati sguardi d’ira e di disperazione, fino a svuotarsi al suono dei colpi inferti su un corpo che quasi non sentiva più dolore. Il tutto sotto gli occhi dei loro figli che, costretti ad assistere a quella violenza, non sapevano più come poter tirare le fila della propria esistenza. Mio padre era stato il nostro tormento, eravamo ancorati a lui, sottomessi alle sue decisioni, ai suoi continui cambi di umore, eravamo tutte pedine in movimento durante un’infinita partita a scacchi che conduceva lui. Giravamo attraverso percorsi obbligati con la costante paura di essere mangiati e la cosa peggiore era continuare a muoversi sotto l’ombra di una pedina che, pur potendo, non ci lasciava mai uscire dai giochi. Avevamo provato a liberarci, ma le scelte sbagliate continuavano a tirarci in ballo, mio padre era diventato il chiassoso ritornello che interrompe la lenta strofa di una canzone e si ripete a ritmi irregolari ma costanti durante l’esecuzione di un brano che pare non voler finire mai. Alla fine della nostra lotta familiare eravamo arrivati vivi. Vivi, ma più morti che mai…
Perché ho scritto questo libro?
Ho scritto questo libro per caso, rileggendo tra i vari spunti scritti su un vecchio quaderno. Non è stato facile trascrivere le mie sensazioni, su un argomento così delicato, in modo che potessero arrivare ad un pubblico di lettori con un impatto né troppo docile, né troppo cruento. Mi piacerebbe leggerlo con ognuno di voi, vorrei annotare ogni smorfia, ogni sorriso, ogni espressione di rabbia o di incertezza impressa nei vostri volti. Girerei ogni pagina, rileggendo riga per riga fino ad arrivare insieme all’epilogo di quella che sembrava essere una storia d’amore. Vorrei, infine, lanciare tre messaggi: lasciatevi amare, lasciate andare, lasciatevi aiutare.
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