Max è uno scrittore all’apice del successo, ma con un privato oscuro e un segreto infernale che non gli lasceranno scampo.
Una discesa agli inferi nel mondo apparentemente dorato di chi vive di storie.
L’anatomia di una fine a cui penserete ogni volta che guarderete un libro.
Perché ho scritto questo libro?
Istintivamente, forse inconsciamente, pensiamo che le parole svelino la realtà. Se siamo ottimisti, perfino che dicano la verità. Pensiamo che le parole possano salvarci.
Ma è davvero così?
Con questo libro ho voluto cercare una risposta. Ho raccontato una storia dove le parole nascondono molto più di quello che svelano. Dove non sono portatrici di luce, ma di buio. Dove, più che una salvezza, sono una strana irresistibile condanna. E dove chi scrive è il primo a sapere tutto questo.
ANTEPRIMA NON EDITATA
“Il successo non è niente.
Il successo è l’altra faccia della persecuzione.”
(Pasolini)
L’appartamento era immerso nella penombra; il salone impeccabile come sempre, con la vetrata invisibile contro il nero della notte. All’angolo di pelle color miele dell’immenso divano, Max stava raggomitolato con la faccia voltata contro il muro. La sua sagoma scura tremava a scatti, sola, nel silenzio.
Dopo un tempo indefinibile cominciò ad alzarsi, lentamente, le gambe rattrappite, le braccia serrate contro i fianchi, il capo come spezzato sul busto ansimante. I piedi nudi strisciarono fino alla biblioteca. Le sue pareti di libri parevano aspettare, immobili, sotto le luci soffuse lungo tutto il perimetro della stanza, dal pavimento al soffitto. Conosceva quella stanza come e meglio di se stesso. Ogni suo libro era un granello di quella vita che, nel bene e nel male, lo aveva portato fin lì. Un piccolo, disgraziato, maledetto sogno. In fondo, di tutta quella casa, di tutte le meravigliose case che aveva, l’unico vero cuore era quella stanza vuota, fatta unicamente di libri.
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Quando tentò di alzare il capo verso lo scaffale, il chiarore dei led ferì i suoi occhi gonfi, socchiusi, da cui le lacrime non riuscivano a staccarsi, come raggrumate tra le lunghe ciglia e le rughe appena segnate ma che ora parevano strani rovi.
Il suo corpo sottile si accasciò delicatamente davanti ad una fila di piccoli volumi color muschio. La sua bella mano li sfiorò appena, come il giorno in cui li aveva trovati nello studio del suo professore di estetica, infinite vite fa.
Le sue dita, fragili e caparbie, fecero breccia in quella fila di inutile passato e ne sfilarono via il volume più corposo. Sotto il risvolto di copertina ritrovarono una bustina bianca, sottile come un’ostia. I suoi occhi sconvolti la guardarono come ipnotizzati. Abbandonati in una vecchia, lontana speranza, mai del tutto dimenticata. Lo scrittore si mise in ginocchio e la tenne tra le mani, sempre più indifese. Poi fece penetrare il dito medio fino in fondo, lentamente; lo estrasse cercando di non tremare, ma fu solo un istante, poi vi rovesciò sopra il capo, aspirando come se non dovesse tornare in superficie mai più.
Una risata spaventosa spazzò via tutto, la bustina sul legno chiaro, la sua testa che ora era rovesciata all’indietro, come quelle dei pazzi.
– Inutile, è stato tutto inutile. Tutto il penoso ridicolo arrabattarsi per andare avanti, per cambiare tutto… – la sua voce si era spezzata, impastata di un rabbioso, doloroso pianto – ma non si cambia mai niente.
Prese a vagare per la casa, prima nello studio, poi in corridoio, nel salone; ovunque si guardava intorno senza trovare un senso a quello che lo circondava, trascinando il bicchiere mezzo vuoto in una mano e il piccolo volume rilegato nell’altra. Li guardava e rideva, di un riso più disperato di qualunque pianto; e cattive e in fondo ingenue lacrime continuavano a devastarlo, senza che più nulla ormai potesse riportarlo a riva. Né una parola, né un’illusione.
La sua bocca cercava disperatamente, spalancata come i suoi occhi, cercava, senza trovare più niente che quella vita non avesse già calpestato e spazzato via come ridicolo sogno.
– Sono ancora qui, affogato nello stesso schifo dove sono nato. Nella stessa fogna. Non è servito a niente…i sogni, i libri, tutto quello che ho pensato, che ho creduto di poter costruire…e dimenticare…
Avanzava nel salone semibuio come un allucinato sonnambulo.
– Ha vinto l’orrore – sussurrò – la gente, i libri, il successo, l’amore…tutto una schifosissima, fottutissima merda…senza fine…senza fine – i suoi occhi bastonati cercarono per un’ultima volta un appiglio – ha vinto l’orrore – sussurrò, mentre i piedi nudi lo portavano avanti, oltre la speranza, oltre la rabbia, e rimase solo, in bilico contro la notte. Altre volte era arrivato fin lì, ma stavolta chiuse gli occhi e si lasciò andare.
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