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Operazioni baciate

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Contaminare il piano personale con quello professionale porta spesso a degli inconvenienti. Lo sa bene Clara, che deve difendere l’azienda di cui è amministratrice delegata dalla gestione talvolta sconsiderata di Thomas, il dirigente nonché suo ex fidanzato, che non perde occasione per rinfacciarle la fine della loro relazione. Quando però l’uomo arriva al punto di estrometterla dall’azienda con uno spregevole sotterfugio, Clara prende in mano la situazione per avere finalmente non solo tutto ciò che le spetta, ma tutto ciò che vuole.

PARTE PRIMA

Che aria tira in ufficio

«E quindi, che cosa intendi fare?» disse Thomas, seduto alla scrivania.

Ma Clara era distratta: dalle finestre alle spalle di lui osservava la fila di camion che si era venuta a formare nel cortile della fabbrica. I grossi mezzi solitamente transitavano in modo scorrevole nella zona di carico e scarico del mulino, fra il retro degli uffici e lo stabilimento, eppure nell’ultima ora non facevano che accumularsi. Adesso la serpentina di veicoli tagliava il piazzale, usciva dal cancello e arrivava fino in strada. I conducenti ingannavano l’attesa in cabina o facendo due passi. Un gruppetto di canottiere, pantaloni corti e ciabatte chiacchierava sul marciapiede.

Guardò Thomas.

«Che tu sappia c’è qualche problema da basso, alle spedizioni? Guarda che coda» indicò con il mento.

Lui dette una sbirciata fuori, questione di un secondo.

«Uhm. Forse. Stavamo parlando del cliente: ti ho fatto una domanda.»

Clara fece ruotare la poltroncina girevole di centottanta gradi in direzione del corridoio, sperando di intercettare una delle impiegate di là dalla vetrata. Nessuno. Tornò nella posizione di prima e disse: «Gli proporrò una riduzione dello zero virgola cinque per cento».

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«Non sono d’accordo» disse Thomas, che si spostò sulla seconda tastiera sopra il tavolo. «Gli mostri questo:» e nello schermo incorporato nel mobile bianco a parete apparve il foglio Excel con le fluttuazioni del listino prezzi dei cereali della Borsa di Bologna «c’è scritto “aumento del quattro virgola quarantanove per cento del grano duro”.»

«Lo sa anche Laurent che possiamo gestirci questi aumenti acquistando meglio e che abbiamo margini interessanti sul prodotto. Ho già difeso la nostra posizione, è una questione puramente commerciale ormai.»

«Sta tirando troppo la corda.»

«Lui ha proposto l’uno per cento e noi gliene diamo la metà. Ci raddoppia le quantità, però: passiamo da milleottocento a tremilaseicento tonnellate l’anno; sono tre container da quaranta piedi, venticinque tonnellate ciascuno a settimana. Mi sembra buono.»

«Buono, buono!» sbraitò Thomas. «Ci dà le briciole!»

«Ma che cosa pretendi, di diventare il suo unico fornitore?»

«Di una gran parte, sì.»

«Ma per favore!» Clara sollevò le mani dai braccioli e le fece ricadere. «Lo sai meglio di me che con lui possiamo puntare solo su prodotti con caratteristiche tecniche particolari, che in Australia non si trovano.»

«Allora che vada a chiederli ai suoi fornitori australiani, gli sconti.»

«È un cliente che consuma quarantacinque tonnellate di farina al giorno con turni di ventiquattr’ore su ventiquattro per cinque giorni a settimana.»

«Fanno duecentoventicinque tonnellate alla settimana e 11.200 tonnellate all’anno: lo so.»

«Questo nello stabilimento attuale. Alla fine dell’anno prossimo sarà pronto il secondo, identico, di fianco. La grande distribuzione ha voluto entrare in società con lui e in cambio gli garantisce contratti di quantità che non si sono mai viste nel settore.»

«Appunto. Bisogna rinegoziare tutto con lui. Tutto! Sono stufo della gente che fa i soldi a spese mie.»

«Stai calmo. Non voglio partire per l’Australia per risolvere un casino inutile quando tutto va bene. Anzi, molto bene. Ci ho messo anni per entrare da questo cliente e guadagnarmi la sua fiducia.»

«Figurati, gli fai solo un favore a correre là. Quello non vede l’ora che vai a coccolarlo.»

«Ma cosa vuoi che gliene freghi…» sbuffò Clara.

«Pallone gonfiato. Ti manda i video delle sue interviste televisive, gira in Rolls-Royce…»

«Ti dà fastidio? Quello che fa nella sua vita privata non ci riguarda, e comunque se lo merita.»

«No, non è questo che mi dà fastidio… A uno che emigra in Australia a sedici anni dalla Francia senza un soldo, comincia come garzone di panetteria e diventa il re del pane in cassetta, cosa vuoi dirgli?»

«Gli dici: “bravo”. E ancora oggi lavora ventiquattr’ore su ventiquattro come le sue linee e… Aspetta, tu come lo sai?»

«Cosa?»

«Che mi ha mandato le foto e i video: io non te l’ho mai detto.»

Thomas distolse lo sguardo, il colorito gli si accese.

Clara congiunse lentamente le mani davanti alla bocca. «Non posso crederci, ti sei fatto la mia casella di posta elettronica.»

«Non so di cosa parli. Di sicuro sei stata tu a dirmelo e non te lo ricordi.»

«E da quando, Thomas? Da prima o da dopo che ci siamo lasciati?»

Lui si sistemò dietro al monitor gigante del PC. Sul ripiano in vetro della scrivania le impronte delle sue dita riempivano la zona di lavoro e quella attorno alle tastiere. Convivevano con polvere, pile di carte e piccoli oggetti frutto di un accumulo disordinato.

«Thomas, tu non stai bene» aggiunse lei, amareggiata.

«Avevamo detto di limitarci a rapporti e commenti strettamente professionali» disse lui con metà faccia nascosta.

«Ah sì? E spiarmi la posta elettronica è professionale o personale? E in questi giorni, mentre ero in viaggio e mi tempestavi di messaggi e volevi sapere tutto quello che facevo, era professionale o personale? Io lo chiamo emmerder les gens

Toc toc, due colpetti alla porta: Camilla mise dentro la testa di riccioli rossi.

«Thomas, tuo papà è arrivato. È in sala riunioni che ti aspetta con il capo area di Credest Banca.»

«Digli che sono lì fra un minuto» rispose senza guardarla, scrollando la rotellina del mouse con l’indice.

Trrr, trrrrr, trrrrrrr.

«Ma si può sapere come mai c’è questa fila di camion stamattina?» le chiese Clara.

«Anna è ammalata, c’è solo Antonia alle spedizioni.»

«Che cosa? E la ragazza che fa l’apprendistato dov’è?»

Camilla occhieggiò Thomas, poi disse: «È qui sopra al commerciale, sta facendo un lavoro per Thomas».

Clara girò la testa verso di lui: «Ed è un lavoro così importante da fermare le spedizioni? La fabbrica, praticamente?».

«È una ricerca. Per un progetto che sto seguendo. Ed è Antonia che deve programmare arrivi e partenze, è colpa sua se non sa organizzarsi.»

Trrr, trrrrr.

«Per favore, Camilla, manda giù qualcuno del commerciale a darle una mano» disse Clara seguitando a fissare Thomas.

«Okay…» fece Camilla. «Hai un po’ di tempo, che vengo nel tuo ufficio?»

«Urgente?»

«Sì.»

«Aspettami pure di là, qui ho finito.»

L’impiegata richiuse la porta.

«Prima le togli il ruolo in amministrazione» osservò Clara rivolta a Thomas «e poi fai di tutto per sabotarla ai trasporti. Se vuoi licenziarla fai prima a dirglielo, prima che ti faccia una causa per mobbing.»

«Antonia non era adatta al livello richiesto dalla crescita dell’azienda, quante volte devo dirtelo. E poi mi innervosisce, con quel suo modo di fare.» Thomas agitò la mano seccato.

«Tu ce l’hai con lei.»

«È disordinata, antipatica… brutta!»

«Pensavo che gestissimo un’azienda, non Miss Italia.»

«E io sono contentissimo di Luisa. È presentabile, preparata.»

«E soprattutto molto devota alla tua famiglia. Sai come la chiamano i colleghi?»

«“Devozione”, certo. Anche tu, ti ho sentito.»

«Be’, con me è insopportabile! “Scusa ma devo prima chiedere a Thomas, gne gne gne…”. Si è investita del ruolo di garante dei soci, come se io remassi contro. Ma ti sembra normale?»

«È solo scrupolosa.»

«Tanto l’investitura arriva da te, che vuoi avere sempre tutto sotto controllo.»

«Sei matta?»

«No, ma fra un po’ divento paranoica.»

Si alzarono nello stesso momento. Lui si sistemò la camicia azzurra dentro i pantaloni e si raccomodò la cintura nera di Prada con la fibbia cromata. Nell’ultimo anno non era ingrassato in un punto preciso, si era inquartato un po’ dappertutto.

«Per quel che riguarda Laurent,» fece Clara «gli dirò che accettiamo uno zero virgola cinque per cento di sconto a fronte del raddoppio delle quantità, come ci ha promesso, ma anche di un’estensione del contratto di un anno, non solo di sei mesi.»

«Ci devo pensare.»

«E io lo devo richiamare stamattina, non cominciamo con i “ti so dire”. E a proposito, sai che dobbiamo finire quella discussione.»

Lui girò attorno alla scrivania e raggiunse Clara.

«Che discussione?» disse, e si fermò di fronte a lei con quella faccia un po’ felina, dai tratti minuti e delicati. Il ciuffo di capelli castano chiaro gli copriva mezza fronte. Aveva deciso di farseli crescere, come suo padre e suo fratello, che li portavano lunghi.

Clara gli sentì l’alito di caffè.

Vicino, sei troppo vicino.

Divenne seria.

«Ah, sì…» sembrò ricordare lui.

«È importante per me. Molto importante.»

«Hai una macchia sulla camicia» le fece notare.

Lei chinò la testa e si grattò l’alone con l’unghia.

«Mi sono versata il cappuccino addosso in aereo. Quindi, come restiamo d’accordo?»

«Questa settimana… non vedi come siamo presi?» Lui infilò la porta.

«Venerdì pomeriggio o sabato mattina allora.»

Lei lo seguì fuori.

«Non ci sono.»

«Ma come non ci sei? Venerdì abbiamo clienti in visita tutto il giorno.» Gli camminava a fianco nel corridoio.

«È il mio compleanno. Lo sai che è l’unico giorno dell’anno in cui non voglio lavorare.»

«Me n’ero dimenticata, scusa, i compleanni non sono il mio forte. Non puoi fare un’eccezione questa vol…»

«Non ci posso credere che faccio quarant’anni. Vuoi venire anche tu a parlare con il dottor Miotti?»

«Ma in quanti dobbiamo andare a ricevere quelli delle banche?»

«Lo sai che mio papà ci tiene.»

«E io non particolarmente. Non li capisco questi comitati di benvenuto a cui bisogna partecipare tutti, come se non avessimo abbastanza da fare. Ti prego, sono stata via dieci giorni…»

Thomas entrò in sala riunioni, dove era atteso, e Clara tirò dritto. Oltrepassò la rampa di scale che scendeva nell’atrio. Le vetrate, da sotto, salivano fino al soffitto del primo piano irradiando una luce totale, forte. Il suo ufficio era il primo del corridoio di destra e faceva angolo con la gradinata.

Camilla si trovava già lì, spalle alla porta. Sollevata a metà su una delle sedie per gli ospiti, aveva tirato a sé la cornetta del telefono fisso che stava dall’altra parte del tavolo. Impartì un ordine secco a qualcuno, riagganciò in modo sbrigativo e tornò a sedersi. Era una mangiatrice di merendine magra e nervosa, dall’aspetto semplice ma invariabilmente impeccabile.

Clara si tolse la giacca e la appese all’attaccapanni vicino al divano a due posti in pelle bianca.

«Sai dove va Thomas venerdì?»

«Gli ho prenotato io il volo per Mosca, quello del primo pomeriggio. Torna lunedì.»

Un accento compiaciuto era caduto sul pronome “io”. Camilla non era mai stata maliziosa, ma Clara cominciava a rendersi conto che l’ambiente di lavoro stava degenerando come riflesso dei rapporti tra lei e Thomas.

Mezzora dopo, Camilla raccolse le carte e si alzò. Non accennava a muoversi. Lenti spesse le dilatavano gli occhi facendola assomigliare a un pesce rosso di cui dubitare.

«Non puoi parlargli?» disse. «Lo vedo completamente perso. Sei l’unica che ascolta, nonostante tutto.»

Clara mise in fila un temperamatite e un fermacarte che non avevano bisogno di riallineamenti.

«Camilla. I discorsi si fanno quando la gente vuole ascoltare.»

Camilla incassò con aria mogia.

«Ci provo,» capitolò Clara «ma devo trovare il momento giusto, quand’è di buonumore.»

«Ti chiamo Laurent?» disse Camilla tornata pimpante.

«No, grazie, lo chiamo io» replicò Clara massaggiandosi le tempie. «Detesta che gli si passino le telefonate.»

«Primadonna anche quello, toh» brontolò Camilla andandosene.

Erano già le dieci di sera a Melbourne, ma Laurent le aveva appena mandato un WhatsApp: “So what? Tomorrow I have to make new orders… Do you want them or not?”.

«Laurent? Allo?»

«Allo, Clara.»

«Évidemment que je les veux tes commandes.»

Quando riagganciò, andò alla finestra. La fila di camion si stava accorciando. La cappa di smog che da settimane opprimeva la pianura guastava il cielo soleggiato sopra Vicenza.

I tre erano ancora in sala riunioni, li vedeva attraverso le vetrate. La loro aveva l’aria di una chiacchierata senza impegno all’insegna delle pubbliche relazioni. Denise era salita dal centralino con un vassoio di caffè. Luisa era entrata con delle carte e ora se ne stava goffamente in piedi, in attesa accanto al padre di Thomas, che le esaminava con posa ferma da dietro gli occhialini da lettura. Cesare Gallo picchiettò il dito richiamando l’attenzione dell’impiegata su un punto del documento, lei chinò la sua figura alta e robusta, scostò i capelli dietro le orecchie piccole e gli si rivolse sommessamente. Il padre di Thomas prese il foglio, e con un gesto energico lo spinse avanti a sé e lo fece scivolare fino al dottor Miotti, all’altro capo del tavolo.

Clara tornò a rispondere alle e-mail; una buona parte l’aveva già smaltita durante lo scalo a Francoforte in attesa del volo per Venezia, dove era atterrata all’alba. Aveva avuto un paio d’ore per fare colazione e per lavorare; andava sempre al solito posto, il ristorante h24 con le sedute di pelle bordeaux e affaccio sulle piste. Era accogliente, la luce giusta, la temperatura giusta.

Alla fine Thomas venne a chiamarla. Lo seguì di malavoglia in sala riunioni. C’era un odore pregnante dentro, di alito di ubriacone, di squilibrio ormonale. Qualcuno aveva aperto la finestra.

«La signora Lamartine, amministratore delegato. È rientrata stamattina dagli… Stati Uniti, mi pare?» Cesare Gallo la presentò al funzionario di banca aggiustandosi i polsini della camicia in modo che gli uscissero dalla giacca due centimetri esatti per parte. Era un uomo grigio, militaresco. Che Clara fosse o no la compagna di suo figlio, “che fosse viva o morta” non faceva alcuna differenza per lui: era incapace di relazionarsi (umanamente) agli altri.

Il dottor Miotti, il bancario, era un tipo sui quaranta, rampante. Scarpa modaiola con la punta quadrata.

«Già in ufficio?» si stupì.

«È di strada dall’aeroporto.» Clara fece un sorriso di circostanza. «Non me la sentirei di tirare dritto per andare a casa.»

«Io avrei trovato una scusa.»

«Ho un sacco di lavoro arretrato.»

«In che parte degli Stati Uniti è stata?»

«New Jersey, Michigan e Stato di Washington.»

«Ha raccolto degli ordini? Ha firmato dei contratti?» la interrogò il padre di Thomas.

Clara avrebbe voluto rispondergli che aveva raccolto anche tanta altra “roba”, dal momento che i clienti si erano lamentati degli aumenti e di alcuni disservizi, ma se ne guardò bene e spiegò pazientemente che era stato un buon viaggio e che tutti i contratti in essere erano stati riconfermati per i prossimi tre o sei mesi.

«Quindi non ha acquisito dei nuovi clienti?»

Insisti, dai, conard.

«Un paio, forse. Aspettano delle offerte.»

Le stava cominciando a scendere l’adrenalina del viaggio e a salire lo straniamento dovuto alla stanchezza. Aveva voglia e bisogno di una doccia e di un letto. E soprattutto, di non rispondere alle sue domande. Lui prese atto, ma gli si irrigidì la mascella e stirò le labbra all’ingiù, segno che la risposta aveva disatteso le sue aspettative.

Il fatto è che Cesare Gallo non aveva nessuna idea di come entrassero decine di migliaia di tonnellate l’anno di cereali e ne uscissero altrettante di farine e semole che poi partivano per il mondo a bordo di camion e container. Il mulino era stata l’ambizione imprenditoriale di Thomas che la famiglia aveva assecondato pur senza ricoprire ruoli operativi. L’occasione si era presentata quando il fondatore e anziano proprietario, un conte di origini veneziane, lo aveva messo in vendita. Per ragioni di intrecci di interessi ed esigenze di liquidità, i Gallo avevano coinvolto nell’acquisizione Liber Holding, una finanziaria tra le più aggressive e chiacchierate in Italia, con cui avevano spartito quote societarie e posti in consiglio.

Assieme al figlio maggiore, Massimo, il padre di Thomas gestiva un’attività di consulenza rivolta ad aziende di media taglia e famiglie dell’imprenditoria locale. Si occupava prevalentemente di ristrutturazioni finanziarie, di investimenti, anche immobiliari, e di finanziamenti tramite alcune banche con cui intratteneva rapporti privilegiati, in particolare istituti del territorio. Aveva partecipazioni e ricopriva la carica di sindaco o consigliere in un buon numero di società. Era uno di finanza, forse non sapeva nemmeno cos’erano i cereali.

2021-10-30

Aggiornamento

Si pubblica!

Commenti

  1. Francesca Berto

    La ringrazio molto del suo commento, Giuseppe. Sono felice che abbia apprezzato così tanto i personaggi che compongono questa storia. Grazie!

  2. (proprietario verificato)

    Fantastico! Molto profondo e realistico, con una grande capacità di introspezione e di rappresentazione dei personaggi, indimenticabili. Complimenti! Giuseppe Padovan

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Francesca Berto
È nata a Thiene (Vi). Per vent’anni ha ricoperto il ruolo di dirigente d’azienda. Dal 2015 al 2017 ha frequentato la scuola di scrittura Holden a Torino. Oggi vive fra l’Italia e la Francia. “Operazioni baciate” è il suo primo romanzo.
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