Avvolto dall’oscurità della notte, un uomo scende in strada in cerca della sua preda. Quando la luce del sole dissolve le tenebre rimane solo una grottesca raffigurazione di dolore e morte.
Il commissario Roberto Villani viene scelto dall’assassino come interlocutore di un discorso delirante: riceve brani musicali dal significato oscuro mentre i volti dei morti diventano quadri di orrore e malattia.
Gli omicidi si susseguono mentre flebili indizi appaiono e scompaiono bloccando le indagini in una pozza di incertezza.
Catania è una città scura, di un nero che sbiadisce solo di notte.
La crudeltà cui assiste Roberto viene mitigata dall’amico fraterno che come una valvola di sfogo o con una birra al pub lo libera dall’orrore della morte e dalla ferocia umana.
I messaggi diventano sempre più crudeli e disperati mentre il rapporto con l’ex moglie sembra riaccendersi di passione.
Ma il sangue chiama altro sangue, in un inseguimento che finirà solo quando l’otto sarà completo.
Perché ho scritto questo libro?
Dopo diversi anni dalla sua pubblicazione, mettendo da parte un pregiudizio ingiustificato, ho letto Io uccido di Giorgio Faletti, innamorandomene. Quel romanzo era potente e disarmante. L’affetto provato per l’assassino mi ha messo, alla fine del libro, di fronte a un dilemma straziante. Questa sensazione è stata il seme che mi ha spinto a scrivere una storia che neanche io conoscevo nei dettagli. Pagina dopo pagina, mi sentivo un lettore curioso di sapere come “sarebbe andata a finire”.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Accompagnato dal suono dei suoi passi sull’asfalto, arrivò al portone e da qui si avviò su per le scale. Aprì la porta di ingresso ma non venne nessuno ad accoglierlo se non la solitudine e il vuoto che abitavano in quella casa insieme a lui.
In una notte muta come quella, il silenzio imprigionato nell’appartamento sembrava gridare a un volume assordante, assomigliando a un ronzio incessante e continuo.
Come per non voler svegliare le fotografie appese ai muri, Roberto si diresse nella camera da letto senza accendere le luci del lampadario e nella stessa oscurità si spogliò e si infilò sotto le coperte. Esausto.
Sono stanco, Carlo. Non sopporto più questa vita.
Da quando Stefania era andata via da casa e dalla sua vita, tutto sembrava procedere per inerzia sfruttando una spinta ricevuta chissà quanto tempo prima. Le donne che si erano succedute una all’altra, senza rimanere il tempo necessario perché ne potesse ricordare il nome o il colore degli occhi, rappresentavano un’inutile fuga dalla sensazione opprimente di abbandono. Tutte scomparivano il mattino seguente quando nei suoi pensieri ricomparivano i volti e i nomi delle vittime per le quali si affannava a cercare colpevoli e assassini.
Continua a leggereDa tutte scappava dopo aver ricevuto quel niente di cui aveva bisogno per dimenticare e tutte venivano abbandonate e tradite dalle ossessioni che gli avevano portato via la moglie tanto tempo prima.
La sua vita era un palloncino leggero che volava nel cielo trasportato dagli eventi nefasti che macchiavano le mani della sua città, una vita in cui l’unica certezza era quella di non averne neppure una. Nessuna donna, nessuna vita, nessuna famiglia, solo un’unica ossessione che lo stava consumando lentamente con la meticolosa pazienza di un orafo.
Sentiva di odiare quell’esistenza vuota, spesa a rincorrere qualcuno che aveva interrotto la vita di altra gente e tanto più cresceva l’odio per quella costrizione tanto più questa si faceva più stretta e opprimente. Ne era invischiato e annientato al tempo stesso, allettato e distrutto in un lampo accecante.
Una vita di solitudine, da solo contro il male che si nutre dell’energia del mondo. Solo nella sua casa circondato da fotografie di persone che non erano più reali ma che erano diventate dolorosi ricordi e inutili rammarichi. Solo alla sua scrivania in questura dove, oltre la visita veloce di qualche collega, era circondato da fotografie di persone che non erano più vive ma che erano diventate, anch’esse, dolorosi ricordi nella mente di chi li aveva amati e martellanti rammarichi nella sua testa mentre si sforzava di dare un volto a chi li aveva portati via per sempre.
Le uniche persone che gli ricordavano di appartenere ancora al regno dei vivi con dei desideri e delle necessità rimanevano Carlo e Dolores, una ragazza spagnola che per mantenersi gli studi si adoperava in piccoli lavoretti domestici. Una volta alla settimana si recava a casa di Roberto dove, più che semplici pulizie, era costretta ad un vero e proprio lavoro di restauro per riportare a un’apparenza di ordine e pulizia la casa di Roberto.
Immerso nei suoi pensieri chiuse gli occhi nel buio della stanza e cercò riparo in un sonno che non si decideva ad arrivare.
Sarà una lunga notte! pensò sospirando.
Nello stesso momento Alessio Mandarà percorreva svelto il viale XX Settembre. Aveva passato la serata a casa di amici, avevano cenato e poi si erano messi a giocare alla Playstation con un gioco di calcio strepitoso, dimenticando il tempo che scorreva, estraniandosi in quel mondo virtuale contenuto all’interno del televisore piazzato davanti ai loro occhi.
Alessio è uno studente di chimica da parecchi anni fuori corso. Viene da un paesino dell’entroterra siciliano e, non appena arrivato in una città come Catania, ha considerato lo studio come un hobby da curare nel tempo lasciato libero dai suoi svaghi.
Se mio padre sapesse a che ora rientro in casa la notte! E soprattutto se sapesse a che ora mi sveglio la mattina!
Un sorriso gli si accese sul viso al pensiero del padre infuriato che rimpiangeva tutti i soldi che era costretto a spendere per mantenerlo all’università. Alessio era il primo di una generazione di braccianti agricoli che aveva deciso di frequentare l’università e staccarsi dalla campagna che aveva dato da sempre i mezzi per vivere alla sua famiglia. I suoi cugini più grandi aiutavano i loro padri nei campi, svegliandosi all’alba e lavorando fino a quando il sole mandava luce a sufficienza per vedere dove mettere le ruote del trattore.
Le donne, madri e figlie, svolgevano i lavori in casa, non meno faticosi e importanti. Vivevano di una vita semplice ma tranquilla e felice. Lontano dalle luci della città e dei suoi orrori.
Come quasi ogni studente universitario fuori sede, nonostante i continui aiuti economici dei genitori, anche Alessio non disponeva di mezzi di locomozione se non delle proprie gambe e così anche quella sera stava tornando a piedi nell’appartamento che condivideva con altri quattro colleghi universitari nei pressi della facoltà di chimica. Tre stanze da letto, un bagno e un cucinino che da anni non vedeva uno straccio bagnato a pulirne il pavimento. Come tante altre abitazioni di studenti maschi, anche qui la pulizia non rappresentava il primo pensiero degli inquilini. Il cestino, usato come canestro da basket, tracimava di ogni sorta di rifiuto, diffondendo nel piccolo ambiente della cucina un leggero odore di muffa e di marcio. Nelle stanze da letto, le lenzuola stropicciate stavano adagiate sui vecchi materassi anche per un mese intero. E sui pavimenti grigi i batuffoli di polvere si sfidavano in avvincenti gare sospinti da momentanei aliti di vento che filtravano da sotto le porte.
Nonostante stesse percorrendo una delle vie principali della città non sembrava esserci nessuno in giro a quell’ora. Passava meno di una macchina ogni tanto, forse di qualcuno che come lui tornava a casa tardi oppure di qualcuno che invece usciva di casa molto presto.
Perso nei suoi pensieri quasi non si accorse di un’auto che gli passò accanto procedendo ad andatura sostenuta come se chi guidasse, come lui, avesse fretta di arrivare a casa. La macchina lo superò distrattamente e, svoltando a destra dalla via principale, si infilò in un vicolo stretto poco davanti a dove si trovava Alessio.
Nello stesso vicolo camminava un uomo. L’auto gli passò accanto indifferente. Camminava vicino alle macchine posteggiate al lato della strada e, avvicinandosi all’incrocio da cui aveva appena svoltato l’auto, si nascose nel cono di oscurità lasciato da un lampione guasto, in silenzio. In attesa.
Alessio si trovava lì per caso mentre il destino era lì proprio per lui.
Seppur procedendo svelto aveva freddo. Le mani strette dentro le tasche del cappotto chiuse in un pugno, il naso gelato e gli occhi sconfitti dal sonno che reclamava il suo turno.
Camminava di corsa, specialmente adesso che era quasi arrivato vicino casa, quando passando accanto all’incrocio col vicolo, un sussurro freddo sbucò dall’ombra di quel lampione spento accompagnando una frase dall’innocenza diabolica.
«Scusa, sai che ore sono?»
«Cosa?» chiese stupito Alessio come svegliato da un torpore profondo e poi in un istante lungo appena il tempo di un battito di ciglia tutto accadde. Tutto successe rapido, fulmineo, inevitabile come la morte senza speranza.
Uno strattone violento di una mano, ferma in una morsa sul suo braccio, lo fece letteralmente balzare di lato. Incespicando sui suoi stessi passi, barcollò trascinato dalla forza di un’oscurità che lo attirava verso di sé.
Alessio venne ingoiato dallo stesso cono buio in cui stava nascosto l’uomo che in quel momento sembrava pervaso da un fremito di eccitazione mentre una goccia di sudore gli accarezzava una tempia scendendo verso la pelle morbida della guancia.
Una mano stretta sulla bocca ad attutire ogni lamento, ogni urlo. E poi uno sparo silenzioso, soffocato, avvertito soltanto da una coppia di piccioni sonnecchianti su un filo elettrico dell’illuminazione stradale che immediatamente si allontanarono in cerca di un riparo più sicuro e tranquillo.
serjedi (proprietario verificato)
Un must per gli amanti dei gialli. L’autore descrive le ambientazioni, i personaggi e gli eventi in maniera sublime. Una volta cominciato il libro lo si vuole finire al più presto per capire chi sia l’assassino.. una storia molto originale e dalle note dark. Vivamente consigliato!! Non vedo l’ora di leggere il prossimo..!