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Otto Porte sul Delirio

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Consegna prevista Settembre 2025

Questo libro è composto da otto capitoli, otto storie totalmente diverse tra loro, accomunate da un unico punto: il desiderio e il bisogno di scrivere horror fuori dai soliti cliché, eliminando l’ordinario e abbracciando una sana follia.

L’obiettivo di questo libro è di lasciare il lettore con gli occhi incollati alle pagine, invogliandolo a leggere senza offrirgli alcun punto di riferimento. I racconti dell’orrore possono essere estremamente variegati, lavorando sulle paure soggettive di ogni singolo individuo. Il consiglio è di leggerli così come sono stati scritti: in silenzio, con una luce soffusa, lasciandosi trasportare da quella dolce-amara emozione che è la paura.

Provare paura ci ricorda costantemente di essere vivi, il che è piuttosto ironico leggendo un libro in cui si parla di morte.

Perché ho scritto questo libro?

Questo libro nasce dalla voglia e dal desiderio di condividere col mondo esterno la mia passione per il genere Horror.

ANTEPRIMA NON EDITATA

UN GIORNO ORDINARIO

Un martello pieno di sangue, urla, rabbia e paura, ma soprattutto l’immagine di suo marito Tommaso con i vestiti sporchi di sangue, tanto sangue.

Ormai per Teresa questo era diventato un sogno rincorrente, un brutto incubo, ma con cui ormai aveva imparato abilmente a convivere.

Inizialmente voleva dirlo al marito, ma poi, un po’ per paura di farlo preoccupare inutilmente e un po’ perché anche solo pensare a quel sogno le procurava un senso di angoscia profonda, decise di tenerlo nascosto, come un segreto che mai avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura.

A volte sembrava così reale da parere addirittura un ricordo o una premonizione di un orrendo futuro anziché un semplice ed innocuo sogno. Ne soffriva molto inizialmente, ma poi dovette obbligatoriamente farci l’abitudine. Diede la colpa allo stress e cercò di non dar peso alla cosa, anche se ormai erano quasi sei mesi che questo ripetuto incubo la torturava nella pace della notte.

Continua a leggere

Continua a leggere

Teresa fissava attentamente la televisione, la pace e il silenzio del primo pomeriggio la stavano cullando dolcemente in un relax totale, non aveva sonno, ma una pace interiore la pervadeva, era immersa a guardare il suo programma preferito, una serie televisiva che parlava di amori perduti, tradimenti, colpi di scena inaspettati e non si perdeva mai una puntata a qualunque costo.

Suo marito avrebbe sbuffato nel vedere quei programmi e si sarebbe addormentato per la noia pochi minuti dopo, ma lei ne era praticamente dipendente.

Ogni tanto buttava uno sguardo distratto all’orologio appeso al muro e sapeva bene che tra poco quella bellissima quiete si sarebbe trasformata in un dolcissimo insieme di grida e risate; tra non molto suo marito Tommaso sarebbe tornato a casa dal lavoro, avrebbe aperto la porta d’ingresso e sarebbero entrate Clara e Sofia, le due bellissime gemelline di otto anni, figlie nate da un enorme amore tra i due.

Il loro matrimonio durava da dieci anni; avevano deciso di volere un bambino e il Divino li aveva benedetti con due piccoli angeli. Tutto era perfetto, erano una famiglia bellissima che avrebbe fatto ingelosire qualsiasi coppia consumata che li avesse guardati.

Teresa non vedeva l’ora: ogni giorno verso quell’ora provava sempre un senso di agitazione positiva perché tra non molto avrebbe avuto quelle due piccole pesti in giro per casa, avrebbe chiesto loro cosa avessero fatto a scuola, se si fossero divertite, avrebbero mangiato tutti insieme qualcosa in cucina, poi le bambine sarebbero andate nella loro cameretta per fare i compiti.

In fondo era una giornata come tutte le altre.

In fondo era una giornata ordinaria.

Ancora sdraiata sul divano, era intenta a non perdersi nemmeno una parola che usciva dalle bocche degli attori in televisione, quando la sua concentrazione si interruppe sentendo dei passi vicino alla porta d’ingresso e poco dopo sentì la maniglia abbassarsi facendo aprire la porta.

Non aveva sentito come al solito la macchina parcheggiarsi nel vialetto, ma non ci pensò poi tanto. Si girò immediatamente e vide Tommaso entrare in stanza in modo silenzioso, chiudendo la porta.

Subito Teresa andò ad accogliere il marito che sicuramente era stanco dopo una giornata dura di lavoro, lo baciò e lo abbracciò con tutto l’affetto che potesse dare, ma dall’altra parte la risposta fu inaspettatamente fredda. Tommaso sembrava quasi meravigliato della reazione della moglie, preso da un misto tra spavento e meraviglia, forse anche imbarazzo.

Tommaso, poco dopo, chiese alla moglie se stesse bene e Teresa si meravigliò di quella sua strana domanda, soprattutto perché fatta in quello strano modo e momento, ma lei rispose con un enorme sorriso mostrando la pulita dentatura, probabilmente una reazione un po’ troppo esagerata per manifestare il proprio benessere, ma a lei era sembrato naturale rispondere in quel modo, con un sorriso a trentadue denti, quasi dolcemente maniacale.

Però il disagio di Tommaso sembrava destinato a non placarsi e allora Teresa, un po’ per rompere quel silenzio imbarazzante che inaspettatamente si era creato tra loro, chiese perché le bambine non fossero con lui, ma dall’altra parte non ci fu una immediata risposta.

Tommaso pareva un po’ strano e, senza che Teresa capisse perché, continuava a fare il vago, eppure solitamente era uno molto solare, il classico uomo che ti fa sorridere anche quando hai avuto una brutta giornata.

Allora nella testa della donna cominciò a balenare l’idea che magari si potesse trattare di uno scherzo organizzato da suo marito e dalle bambine: le gemelle probabilmente si erano nascoste e lei doveva trovarle. Cominciò a ridere rumorosamente all’improvviso, tanto che anche il marito ne fu sorpreso e ancora col sorriso stampato sulle labbra chiese ancora dove fossero le bambine, ma la serietà di Tommaso non si interruppe, le bambine non c’erano, Tommaso era tornato a casa da solo.

Improvvisamente, quasi come se si fosse svegliato da un dormiveglia, le disse che le bambine erano a casa di una amica, che avrebbero mangiato lì da lei, che avrebbero fatto i compiti assieme e che sarebbe andato a prenderle prima di cena. Tutto a posto dunque, tutto normale, ma invece no: Teresa inspiegabilmente non si fidava di quelle parole, eppure non era la prima volta che le gemelle si fermavano a casa di un’amica e non le era mai successo di dover dubitare delle parole del proprio consorte. Quella volta era diverso, non convinceva quello strano comportamento del marito, quelle risposte vaghe e soprattutto quella innaturale serietà, ma non poteva fargli capire le proprie preoccupazioni e i propri dubbi, voleva cercare di dominare le proprie emozioni e i timori.

Spento ormai il sincero sorriso di pochi istanti prima, Teresa decise di sfoggiare il sorriso più falso che potesse. La preoccupazione era tantissima, anche se non ne capiva nemmeno lei il motivo, soprattutto dopo che anche all’ennesima domanda fatta, ricevette una risposta che doveva essere semplice: in fondo era anche normale chiedere il nome dell’amica con cui, a detta di Tommaso, le gemelle a quell’ora stavano mangiando. Eppure anche quella semplice domanda non ebbe una risposta altrettanto semplice. Tommaso pareva nervoso, confuso, distratto e ovviamente poco rassicurante.

Dopo che Teresa insistette nella domanda, ricevette finalmente la risposta, ma purtroppo non era la risposta giusta che l’avrebbe fatta calmare, anzi quella era la risposta che nella sua testa le fece scattare un enorme campanello d’allarme. A detta di Tommaso, le gemelline Clara e Sofia in quel momento stavano mangiando con una bambina di nome Giulia, ma il problema era che nella loro classe nessuna bambina si chiamava Giulia. Giulia era la risposta sbagliata, Giulia era l’ennesima dimostrazione che qualcosa in Tommaso non andava. Ora non era più il momento dei falsi sorrisi. La felicità aveva lasciato spazio ad angoscia e paura. Teresa cominciò ad agitarsi e chiese a gran voce dove fossero le bambine, visto che nessuna loro amica rispondeva al nome Giulia. Nella testa di Teresa succedeva di tutto: le bambine erano in ospedale e Tommaso non sapeva come dirglielo? Si erano fatte male? Stavano bene? Ma soprattutto, Tommaso, in tutto questo, c’entrava qualcosa?

Possibile che la gioia di pochi minuti prima si fosse trasformata in pura paura?

Improvvisamente le venne in mente quel suo sogno: nella sua testa vide quel martello pieno di sangue, vide suo marito Tommaso con i vestiti totalmente insanguinati, sentì le urla provenire dal piano di sopra, sentì le bambine piangere, percepì la paura. Quello che fino a poco prima considerava solamente un sogno ora era pronta a scommetterci che si trattava di una premonizione, un avvertimento.

Col passare dei secondi le convinzioni di Teresa si facevano sempre più forti: Tommaso nascondeva qualcosa, qualcosa di molto brutto…mio Dio, aveva forse fatto qualcosa alle gemelle?

Uno scatto improvviso d’ira s’impossessò di mente e corpo della donna e lei cominciò a lanciare tutti gli oggetti a portata di mano addosso a Tommaso, il quale decise di non reagire, mentre lei, piangendo, continuava a chiedergli dove fossero le bambine, le sue adorate bambine. Nella sua mente cominciavano a farsi spazio piccoli flashback della loro nascita, momenti felici di famiglia insieme, tanto amore, ma tutto questo improvvisamente si cancellava dando spazio a paura, terrore, all’immagine del marito con i vestiti sanguinanti e a quel maledetto martello pieno di sangue. Ancora scatti d’ira e di odio incontrollati si manifestarono verso Tommaso, il quale però ora si trovava proprio davanti a lei, immobile, impassibile, forse con gli occhi leggermente lucidi e le mani che tremavano.

Prima cercò in tutti i modi di calmarla come poté, poi alzò le sue mani lentamente e le appoggiò sulle spalle della moglie, le baciò la fronte e semplicemente le disse che era ora di andare. Le voltò le spalle e si diresse verso la porta della stanza, la aprì e si girò, fissò Teresa per un attimo quasi infinito e se ne andò senza aggiungere altro.

Teresa cadde in ginocchio in mezzo alla stanza. Inizialmente il suo sguardo era ancora fisso alla porta, ma ormai le speranze di vederla riaprirsi e veder entrare le figlie erano completamente sparite. Gli scatti improvvisi d’ira la pervadevano e ancora nella sua mente riaffiorò quel dannato sogno che ormai si era tramutato in una vera e propria visione di morte, ormai vedeva sangue ovunque, sentiva colpi di martello spaccare qualcosa o qualcuno, vedeva anche i propri vestiti macchiati di sangue, aveva paura.

Cominciò ad urlare, piangere, lanciare oggetti in direzione della porta, si strappò perfino una ciocca di capelli dalla disperazione, rideva e urlava allo stesso tempo, ormai era totalmente in preda all’isteria. Sentiva vicino a lei dei passi veloci, come se qualcuno stesse correndo in corridoio e dalla porta entrarono velocemente due persone vestite con un camice bianco; uno di questi aveva una siringa nella mano destra; sembravano dottori, anche se dalla frenesia non fece caso a troppi dettagli. Teresa urlò e si dimenò più forte che poté, chiese aiuto, ma non aveva fatto nemmeno in tempo ad alzarsi dal pavimento che subito quei due erano sopra di lei; li implorò di fermarsi, era terrorizzata.  I due uomini erano troppo più forti di lei e, quando sentì il siero della siringa entrarle dentro piano piano, provò un senso di quiete, i pensieri iniziarono a diminuire e farsi più leggeri, la stanza si fece sempre più piccola, molto più piccola. Il suo sguardo si fermò sulla televisione che stava trasmettendo ancora il suo programma preferito, ma piano piano la sua televisione sparì nel nulla. Teresa spostò leggermente lo sguardo e si concentrò sulla finestra con quelle sue tende color crema che adorava…ma pochi secondi dopo sparirono anche loro. Cosa stava succedendo?

Si guardò attorno senza spostare la testa, ma solamente gli occhi, e lentamente la sua sala sparì, tutto stava prendendo un’altra forma; ora la vista si stava annebbiando sempre di più, ormai il siero che sicuramente si era rivelato un tranquillante aveva preso il sopravvento, aveva calmato totalmente la sua furia, lasciandola in uno stato catatonico, tanto da veder solamente nero. Ormai era questione di secondi e avrebbe perso totalmente i sensi, ma la sua mente continuava a lavorare ancora per qualche istante. In quegli ultimi secondi di lucidità sentì ancora le urla e sentì ancora un pianto disperato. Stava facendo ancora quel sogno, vedeva ancora suo marito sporco di sangue, tutto era molto confuso, colpa anche sicuramente del fatto che ormai stava cedendo completamente al tranquillante, vedeva ancora un martello, il sangue che invadeva tutto…e poi più nulla.

L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu una forte costrizione ai polsi. Poi, il buio.

Tommaso era dentro l’auto ancora parcheggiata. Piangeva, ma, dopo un po’, con ancora gli occhi pieni di lacrime, mise in moto l’auto e partì.

Per tutto il tragitto non disse una parola e non pensò a nulla. Sembrava confuso, aveva la faccia di uno con mille sensi di colpa, mille paure e sembrava che guidasse senza una meta, invece aveva ben in testa il percorso da fare.

L’auto si fermò circa dieci minuti dopo. Tommaso parcheggiò frettolosamente ed uscì. Davanti a lui un grosso cancello aperto. Entrò in modo sicuro, nonostante chi lo guardasse potesse notare un uomo con la disperazione negli occhi.

Camminò veloce per qualche metro, quando improvvisamente si fermò, guardò in basso, occhi fissi in un punto ben preciso e scoppiò in un pianto isterico ed inconsolabile.

Davanti a lui, la lapide di Clara e Sofia.

Fiori messi da poco vicino alle due piccole foto di quei due angeli biondi. Vedendo i loro sorrisi in fotografia non ci si poteva non innamorare all’istante di quei due adorabili faccini.

Tommaso, dopo aver trovato un piccolo momento di calma, baciò le due foto e dalla sua bocca uscirono tre semplici parole: “Papà sta arrivando”.

Tirò fuori una pistola dal giubbotto, la puntò alla tempia e premette il grilletto.

Nessun rimorso.

Nessun tentennamento. Solamente una inesorabile decisione: quella di farla finita e di raggiungere le proprie figlie.

Pochi giorni dopo, la polizia avrebbe trovato a casa sua una lettera: era il testamento, probabilmente scritto il giorno stesso del suicidio; lasciava tutti i soldi e averi alla sorella Elena, la quale però avrebbe dovuto pensare alle cure e al mantenimento di sua moglie Teresa.

Teresa era internata da sei mesi in un manicomio dove probabilmente non sarebbe mai più uscita. Fu rinchiusa dopo aver ucciso a colpi di martello le figlie Clara e Sofia di notte, mentre dormivano, colpendole ripetutamente sul volto, togliendo loro l’innocente vita, tradite da chi le aveva messe al mondo. Finito l’atto criminale, rimboccò loro le coperte, le baciò dolcemente alla fronte o a quello che ne rimaneva e chiuse senza fare rumore la porta della loro cameretta, in modo da non svegliarle dal loro eterno riposo e, come se non fosse successo nulla, andò in cucina dove cominciò a preparare la colazione per il marito che a momenti sarebbe rientrato a casa dal lavoro. Quella settimana faceva il turno di notte e Teresa ogni tanto si faceva trovare sveglia facendogli trovare la colazione già pronta, come sorpresa, appena arrivava. Anche quel giorno lo fece.

Tommaso, dopo una lunga notte di lavoro, tornò a casa e, vedendo le luci accese, capì subito che avrebbe trovato sua moglie già sveglia, intenta a preparagli la colazione. Seguì quell’invitante profumino che nel frattempo aveva invasa l’intera casa, ma, appena entrò in cucina, quel suo felice sorriso si cancellò trasformandosi in puro terrore.

Teresa era davanti a lui, teneva il vassoio con la colazione tra le mani sporche di sangue, con il vestito letteralmente impregnato di sangue e di brandelli di tessuto dei vestitini delle gemelle, la faccia terribilmente sorridente, macchiata del sangue delle bambine, che mostrava quella sua dentatura perfettamente pulita.

FINE

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Mattia Giaquinta
Mattia Giaquinta nasce a Mulazzano, un paese in provincia di Lodi, nel 1993 e già dai primi anni di vita si avvicina con grande curiosità al mondo del cinema horror, ammirando le pellicole dei grandi registi italiani e stranieri. Anni dopo, la stessa passione si manifesterà per la letteratura.
Per Mattia, però, l’horror diventa una vera e propria ossessione: non gli basta più leggere libri né guardare film; il suo desiderio di addentrarsi in questo cupo genere non conosce limiti, e ben presto capisce che l’unico modo per saziare la propria fame di horror è scrivere lui stesso.
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