I due “centauri” hanno il casco in testa per cui non è possibile riconoscerne l’identità.
La Ducati sale sul marciapiede per accorciare la distanza e così facendo riprende la strada saltando quasi addosso al suo avversario con cui sgomita per mantenere l’equilibrio senza perdere aderenza col terreno.
Davanti a loro si presenta adesso un lungo rettilineo e il pilota della V4S, che sa di possedere la moto più veloce, apre il gas al massimo per staccare l’altro.
Supera la sua rivale appena prima della rotonda che incrocia l’ingresso nella parte alta della città su viale Magellano
Ai bordi della strada vi è una lunga fila di longevi alberi di eucalipto che, come spettatori di un gran premio motociclistico, voltano i propri rami al loro passaggio e sembra quasi che vogliano incitarli sollecitati dalla forte scia di vento che lasciano.
Il più grande e antico di questi arbusti, posto al centro della rotonda, sembra essere il padrone assoluto del viale e per “esperienza” attende, senza ormai più preoccupazione che i due spericolati corridori lo raggiungano, senza “muovere una foglia”.
Il pilota della “rossa” si sente ormai sicuro di vincere la corsa e abbassa gli occhi sul contachilometri per essere certo di portare al massimo le lancette del contagiri e del tachimetro che supera difatti i 260 km orari.
Quando rialza lo sguardo sulla strada un brivido freddo e rapido gli percorre la schiena perché si accorge che per terra c’è una macchia scura.
Ha un istante per realizzare che si tratta di olio e quando lo fa non ha più altro tempo per rallentare né per evitarla.
Ci passa sopra.
Le gomme perdono aderenza con l’asfalto e di conseguenza lui perde il controllo del mezzo che comincia a sbandare.
Prova a fermarsi premendo le leve dei freni ma peggiora solo la situazione.
La moto tira dritto sul bordo bianco dell’aiuola saltando in aria e atterrando a gran velocità sul grosso fusto dell’eucalipto.
Londra
L’ultimo palazzo sulla Addison Bridge è fatto di mattoni rossi e finestre con le cornici bianche e si innalza su un piccolo parcheggio delimitato da alti fusti di Tilia che lo separano dalla linea ferrata.
La luce è scarsa lungo tutta la via perché è notte fonda.
Spiccano soltanto i grossi lampioni appesi sotto le tettoie davanti ai massicci portoni di legno dei lussuosi palazzi collegati uno all’altro in un elegante gioco di sofisticata architettura.
Nessun rumore disturba gli inquilini dei numerosi appartamenti che compongono le palazzine neanche i freni dei treni della stazione di Kensington a quell’ora fermi ad attendere la prima corsa dell’alba.
Tutte le stanze sono buie.
Una di quelle finestre con le cornici bianche poste al secondo piano del numero 16 della rinomata strada della capitale ha le tendine aperte ed è la sola che, in quel comune dormire, si accende all’improvviso destando quell’atmosfera soporifera.
Dopo pochi istanti un’ombra passa veloce davanti il davanzale e scompare per riapparire ancora due volte.
Dalla sua forma si percepisce che è un uomo e che si muove avanti e indietro come fosse agitato.
Si ferma.
Osservare il vetro che riflette la propria immagine e si avvicina ad esso fino a farla scomparire e fargli visualizzare il panorama che ha davanti e che conosce bene, dato che abita quella casa da ormai qualche decennio.
C’è qualcosa di diverso oltre l’orizzonte; c’è qualcosa di nuovo dentro la sua testa.
Catania
L’eucalipto al centro della rotonda del lungo viale alberato, di quella che è chiamata comunemente circumvallazione, muove i suoi rami lasciando cadere qualche foglia ingiallita sull’erbetta verde e bagnata dell’aiuola.
Non è il vento ad aver mosso le sue lunghe “braccia” ma qualcosa che sembra lo faccia tremare come se avesse preso un brutto spavento.
Una tenue nuvola di fumo nero risale i suoi tralci e si innalza verso il cielo stellato.
Il silenzio di quiete ora diventa un suono ovattato e ogni movimento lì attorno appare rallentato.
Il tempo sembra sospeso in uno spazio indefinito dove piccoli rumori indistinguibili lasciano interdetti anche i gatti fermi sul ciglio della strada che assistono impotenti ad una tragedia appena consumata.
A riportare tutto alla sua triste normalità è il verso di una sirena che si avvicina velocemente all’albero che capeggia la strada deserta e che ora sembra quasi perdere il suo orgoglio assieme alle foglie che continuano ad andare giù lentamente dalla sua mesta fronda.
Londra
L’abat-jour bianca con la base in cristallo, posta sulla massiccia scrivania di legno massello, illumina un’intera stanza completamente rivestita dello stesso elemento in rovere laccato e di colore leggermente più chiaro suddiviso in pannelli quadrati sul tetto e rettangolari alle pareti.
Su queste ultime sono ricavate, nella parte sinistra del vano, numerose mensole che formano una grande e ordinata libreria ricca di volumi antichi e moderni e oggetti d’argento che riflettono il resto dell’arredo dentro la stanza: una comoda poltrona in tessuto a strisce rosso, nere e arancio attaccata al suo poggia gambe in tinta; il camino con il rivestimento in marmo di Carrara con il porta-alari in ferro battuto che reca sulla mensola sopra il focolare con la legna spenta, due candelabri di swarovski con le candele anch’esse non accese; accanto, una grande specchiera con la cornice dorata posta sopra un comò, della stessa fattura del tavolo, con alcuni bicchieri in vetro colorato di verde smeraldo a forma di calice basso e un altro candelabro a due coppe e con le lampadine spente; in mezzo una bottiglia di scotch whisky artigianale contenuto in una ampolla di Boemia; a lato della finestra un quadro raffigurante scene di caccia in litografia racchiuso un’altra pomposa cornice d’orata.
Sulla scrivania oltre al paralume vi è uno scrittoio in pelle di colore marrone, un porta oggetti in argento e un’immagine, che raffigura un uomo e una donna abbracciati davanti un antico castello scozzese, in un portafoto argentato.
Dietro la scrivania vi è la finestra che dà sulla Addison Bridge e dalla quale arriva la luce delle pertiche alogene che illuminano la strada.
Un quarantenne, con una folta barba grigia e lunghi capelli argentati, occhi verdi e fisico longilineo ma poco muscoloso, è immobile là davanti con un’espressione turbata stampata sul viso.
Respira affannosamente.
Gira lo sguardo sul pannello di legno alla sinistra della finestra e sofferma lo sguardo su una targa dorata che premia “lo scrittore dell’anno” nel 2018.
La fissa per qualche istante poi si volta verso la libreria per rivedere la colonna di libri che recano sul dorso il nome dell’autore Steve La Piana.
Nella sua testa girano mille pensieri e per spezzare quella condizione porta su il braccio per osservare l’orologio stretto al suo polso che segna le 3:08.
Si stropiccia gli occhi e capisce che ha bisogno di destarsi meglio quindi raggiunge il comò afferra la bottiglia di scotch e riempie un bicchiere; porta entrambi alla scrivania e va a sedersi sulla massiccia sedia di legno rivestita da morbidi cuscini di gommapiuma, ricoperta da stoffa di color porpora, preda di un’angoscia che sembra stringerlo in una morsa indistruttibile.
È sudato ed ha tutta l’aria di uno che ha appena fatto un incubo.
Beve tutto d’un fiato il whisky e superato il bruciore che la sua gola ha appena patito, fissa la bottiglia e subito riempie nuovamente il bicchiere ma stavolta non lo butta giù perché viene attratto dallo scrittoio di pelle.
Posa il bicchiere e apre lo scrittoio da cui prende alcuni fogli bianchi.
Li posiziona sulla sul caldo rivestimento che copre l’asse di legno e aspetta.
Sente il bisogno di scrivere qualcosa anche se sembra più confuso che convinto.
Alla fine decide di assecondare quella sensazione che ha dentro e così estrae la sua preziosa Montblanc stilografica Muses Marlene Dietrich edizione speciale dal porta oggetti ed inizia a scrivere.
16 gennaio ‘22
Non riesco a respirare.
Un liquido mi riempie la bocca.
Ha un sapore ferroso.
I miei occhi sono coperti.
Il suono è debole e non distinguo i rumori.
Non capisco dov’è il resto del mio corpo, non lo sento, non mi muovo.
Qualcuno mi libera la testa dal casco e percepisco un minimo di aria in più.
La mia vista è ancora oscurata ma non so più da cosa.
Un morbido oggetto pulisce le mie palpebre e finalmente riesco a scorgere qualcosa.
Ci sono degli uomini in tuta gialla fosforescente che mi girano intorno e una luce intermittente di colore blu che si riflette sulle foglie appese ai rami di un albero che ho sopra la testa.
Uno di quei tipi “sgargianti” mi mette una mano sul collo e poi dice cose che non comprendo.
Mi libera le labbra con qualcosa di soffice ed io vorrei chiedere che chi è e cosa è successo ma le mie corde vocali sembrano paralizzate.
Qualcosa mi stringe forte il braccio e nel frattempo una spia luminosa si muove avanti e indietro davanti le mie pupille.
Sento una puntura sulla mano e un cuscino che mi ammanta il collo mentre vengo sollevato e adagiato un qualcosa di rigido simile a una tavola da surf.
Uno di quegli uomini indaffarati a spacchettare siringhe e cerotti mi parla ed io non ascolto; provo a leggere il labiale ma sono troppo stordito per capire.
Ecco che alla fine mi muovo…o forse no.
Da che ero sotto un grande albero all’aperto mi ritrovo dentro posto pieno di luci al neon, borse rosse, bottiglie con i fili che pendono, monitor con le linee a zig zag sullo schermo e mani che si agitano sul mio corpo in cerca di non so cosa.
Il tetto di quel luogo freddo e austero mi reprime e vorrei alzarmi e scappare via ma non mi è possibile.
Le palpebre diventano improvvisamente pesanti e un sonno profondo si impadronisce di me.
Sento un rumore prolungato, come un lungo bip che si affievolisce lentamente finché chiudo completamente gli occhi e tutto diventa muto e buio.
Londra
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.