Passò qualche istante prima che un secondo suono, molto più metallico del primo, rompesse ancora una volta il silenzio. La portiera si spalancò con un gemito e, tra la nube di polvere che ancora vorticava, si distinse una figura scendere dalla macchina, seguita da un’altra piccola sagoma. Quei due contorni rimasero avvolti dalla terra sospesa per qualche istante finché, nella dissolvenza, lentamente, apparve una donna che teneva per mano una bambina minuta.
Il vecchio pensò che la donna potesse essere l’apparizione di una divinità Inca, se non fosse per i vestiti che indossava. Spiccavano due occhi verdi come foglie nuove e qualche ciocca di capelli spuntava dal cappuccio di lana. Onde marroni. I lineamenti del viso s’intravedevano appena e gli zigomi furono i primi a definirne il contorno. La pelle aderiva perfettamente alle ossa, ne bilanciava gli spigoli creando chiaro scuri di estrema dolcezza.
La bambina, avvolta in un poncho rosso di qualche taglia più grande della sua, guardò il vecchio dal basso con aria stropicciata e sbadigliò; poi abbassò lo sguardo e ravanò dentro la borsa di tela che portava a tracolla, come per controllare che fosse tutto a posto. Era esile e aggraziata, il viso tondo e delicato era nascosto dentro al cappuccio. I suoi occhi erano scurissimi, due piccoli pozzi scavati in volto, biglie di piombo che potevano bucare il retro del cranio se solo potessero cadere.
Prima che la donna si avvicinasse, il vecchio si rintanò dentro la locanda, afferrò uno straccio logoro e finse pulire dello sporco che non esisteva. La donna lo seguì tenendo stretta per mano la bambina e attraversò la porta con una lenta falcata. Le due figure erano avvolte dalla luce del mattino che le illuminava alle spalle. La porta d’ingresso faceva da cornice a quell’insolito quadro umano.
“Mi chiamo Paula e lei è Magali”. La donna indicò la bambina inclinando di poco testa verso sinistra.
Il vecchio rispose a monosillabi. Quindi, con un sorriso abbozzato, si presentò: “io mi chiamo Jaime. Accomodatevi.”
Jaime, aggrappato con unghie salde al suo bancone come un rapace sulla vetta di una montagna. Era la vecchia aquila di Esperros, da lì aveva sempre osservato tutti e fiutato gli animi reconditi dei clienti. Figlio e nipote di agricoltori, portava avanti il piccolo bar ereditato da sua moglie, morta di malattia dopo pochi anni di matrimonio. Il dolore del lutto era ancora impresso sulla sua pelle, segnata da rughe talmente profonde, che la polvere rimaneva imprigionata nei loro solchi. Polvere che si addensava in ogni piega, incluse quelle dell’anima.
Jaime viveva solo in una piccola casa fatta di terra e legno che distava venti passi dal bar. Lui, come del resto tutti gli altri abitanti di quel piccolo villaggio, era un’anima rassegnata a seguire il tracciato del tempo, senza nessuna velleità di scoprire cosa ci fosse al di là dalle montagne che circondavano Esperros.
“Molto piacere signor Jaime. Siamo di passaggio qui e vorremmo andare verso la costa. Il motivo di questa visita è importante perché ho una lettera da consegnare a una donna. Si chiama Rosa, Rosa Mercedes. La conosce?” chiese Paula.
“Lei è una senderista, per caso? Lo dica subito sa, noi da queste parti non siamo con nessuno, né col governo, né con i terroristi!”.
“Io, no, io non sono nulla di tutto ciò, se è questo che la preoccupa” Paula abbassò leggermente il tono di voce e avvicinò appena il suo viso a quello del vecchio “sto solamente cercando Rosa Mercedes per questioni che la riguardano”.
Jaime la scrutò ancora, nel tentativo di trovare un dettaglio nella sua figura, nei suoi vestiti, nelle sue movenze, qualcosa che potesse rivelare la buona fede delle sue intenzioni. Tutto in lei sapeva di conforto; la voce calma, lo sguardo limpido nonostante le ore alla guida e un persistente odore di fiori freschi nonostante giorni di pellegrinaggio. Eppure qualcosa chiamava un dolore, un rumore di sottofondo sordo o una memoria difficile da rievocare, cicatrici nascoste sotto un lembo di tessuto.
Poi guardò la bambina che, come una bambola di pezza, teneva le braccia lungo il corpo, nascoste dal poncho che abbondava sulle mani.
Ha detto Rosa? Certo che la conosco. Tutti conoscono tutti qui, signora”.
“Ah, bene. Il viaggio almeno non è stato vano”, si rallegrò Paula voltandosi verso la bambina. “E mi sa dire dove vive?”.
Dopo qualche istante di esitazione, Jaime rispose “non molto distante, basta che segua la strada fino alla fine, la sua è l’ultima casa, proprio al confine con i campi di mais”.
“Noi siamo dirette verso Pingales. Secondo lei, il viaggio è ancora molto lungo da qui?”.
“La costa è lontana sì! Siamo sulle Ande. Credo che ci vorrà ancora qualche giorno di viaggio”.
Jaime servì il tè, fece accomodare Magali su un piccolo tavolo in fondo alla sala e le portò una fetta di torta al mais. Poi tornò dietro al bancone, si guardò intorno sincerandosi che la bambina non ascoltasse e disse: “Mi permetta ma lei sa dove si trova? Ha fatto testamento per caso? Perché questa è la “zona roja”, la zona rossa dei senderisti, settacciata dai militari! E le strade qui sembrano non finire mai, sono trappole disegnate per terra signora mia, non ci sono indicazioni e tutt’intorno è deserto. Lei viaggia sola, con una bambina, non crede che sia un po’ pericoloso? I guerriglieri si nascondono tra le montagne, sono terroristi sanguinari, uccidono donne e bambini. E se non sono loro a uccidere, lo fanno quelli del governo. Perché non prende la corriera? Dopo Esperros, ferma a San Juan, e prosegue verso la costa”.
“Una corriera? Il nostro furgone forse resiste ancora per qualche centinaia di chilometri, spero. Ma se così non fosse potrebbe essere un’idea. Quando passa?”.
“Considerando che è passata venerdì scorso…” fece una pausa e alzò gli occhi verso il soffitto, talmente basso, che la risposta arrivò subito di rimando, “ripassa dopodomani, sempre che passi”.
Paula guardò Magali. Erano in viaggio da due giorni e non avevano ancora dormito in un letto. Forse era il caso di fermarsi.
“Potremmo dormire qui nel villaggio per una notte e ripartire l’indomani. C’è qualcuno che può ospitarci, che affitta una camera?”.
“Affitta camere? Ragazza mia, questo villaggio è piccolo, non vede? Le case sono semplici, scolpite con la stessa terra che ci da da mangiare. Siamo famiglie di agricoltori!”.
Paula si guardò attorno con aria desolata. Quello che doveva essere il bar principale della città, non solo era piccolo e fatiscente, ma era anche l’unico.
“Forse può chiedere alla signora Estrella di ospitarvi. Lei vive sola nella sua casa e ha due camere vuote“, disse Jaime.
Gli occhi di Paula e della bambina s’incontrarono per un istante. Sarebbe stato molto più opportuno fermarsi una notte. “Quel vecchio ha ragione”, pensò Paula. Perché era troppo pericoloso stare in giro, i senderisti si nascondevano nelle zone più remote della sierra, dove andavano a reclutare seguaci, dove si esercitavano e complottavano, per poi colpire con la lotta armata nella capitale.
E una volta lì, a Lima, la parabola rivoluzionaria diventava ancora più sanguinosa: decapitazioni pubbliche, impiccagioni ai pali della luce, omicidi in teatro, sacerdoti squartati, lingue tagliate, massacri a colpi di machete. Chi non era con loro, era contro di loro e meritava la morte.
La violenza a cui ricorrevano i senderisti era brutale, anche se le popolazioni della sierra non erano da meno perché adottavano metodi difensivi a dir poco cruenti: quando un senderista veniva catturato, era bastonato a morte e poi sepolto verticalmente, ad indicare lo spregio per il cadavere e per l’anima che, in quella posizione, non avrebbe trovato mai pace nell’aldilà. Essere scambiati per senderisti, da quelle parti, non sarebbe stato conveniente.
“Sì, credo di non aver altra scelta, spero solo di non creare scompiglio”.
“No, Estrella sarà sicuramente felice di darvi ospitalità. Abita dietro la chiesa, in fondo a questa piazza. La casa la riconosce, perché è l’ultima della stradina”.
Paula lo ringraziò, prese per mano Magalì e uscì dal bar seguita dallo sguardo lungo di Jaime.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.