La riunione del martedì mattina alle 9 in punto, su questo Noah era intransigente, serviva per fare il punto della situazione per la settimana entrante. Davanti a un vassoio di piccole brioche alla crema, che Vera faceva trovare calde al centro della tavola ogni volta, ognuno doveva dare il proprio parere su come era andata la settimana precedente, se c’erano punti critici su cui intervenire, aspetti da migliorare, danni da riparare, nuove idee da mettere in campo. Seduti vicini a capo tavola Greta e Noah ascoltavano in silenzio e prendevano appunti, e intervenivano solo per dirimere eventuali conflitti che fossero insorti o stessero per nascere tra il personale.
L’ampio tavolo di frassino, attorno a cui sedevano capi, cuochi, lavapiatti, cameriere e barman, era stato pensato per una quindicina di clienti. La saletta era riservata a cene private o a gruppi numerosi e guardava a nord, sul retro della costruzione. La finestra vasistas era aperta sul lato superiore e lasciava entrare il profumo del bosco vicino e del prato che stavano risvegliandosi, in quei primi giorni di aprile, dal lungo inverno alpino.
– Ok ragazzi. – Disse Noah riponendo la sua tazza di caffè sul piattino – Abbiamo qualche variazione sul menu. Goran, esce il prosciutto di cervo ed entra il coregone, metti il prosciutto che è rimasto sottovuoto e portalo in cantina. Ok?
– Ok chef. – Rispose il croato addetto agli antipasti.
– Alex, – riprese Noah – dai primi escono i ravioli al capriolo ed entrano i cappellacci di lumache. Quante porzioni abbiamo ancora di ravioli?
– Circa otto porzioni, chef. – rispose.
– Ok. Le cuoci per noi con qualcos’altro. Milo – disse rivolgendosi al giovane veneziano sulla sua sinistra – tu giochi in casa. Facciamo uscire gli astici e introduciamo l’anguilla.
– Chef, sei sicuro che alla nostra gente piaccia? – obiettò il suo braccio destro, indicando con un dito le colleghe di sala che sedevano di fronte – Guarda le facce delle nostre ragazze.
– Tranquillo. Ci pensa Greta a istruirle per bene, loro. Ma poi, mica dovete mangiare voi l’anguilla, voi dovete solo venderla. Anzi, Milo, quando arrivano porta la cassetta in sala, le signorine devono prendere confidenza con questo pesce.
Un coro schifato si levò dall’altra parte del tavolo, scatenando l’ilarità e le battute oscene dei colleghi di cucina.
– Mi pare sia tutto. – intervenne Noah a sedare il subbuglio – Ah no, per te Vera, stavo dimenticandomi: eliminiamo il fondente con il peperoncino e mettiamo dentro un cioccolato nocciola al sesamo, sempre con il peperoncino. Più leggero per questa stagione.
– Io mi fermo ancora un po’ con Greta, voi fate pure cinque minuti di sigaretta e poi partiamo. Appena arriva la merce sono da voi, – aggiunse guardando negli occhi i suoi cuochi – e vediamo insieme come fare questi piatti nuovi. Ok?
Tutti abbandonarono la sala e loro due rimasero soli. Greta aprì una cartelletta che teneva davanti a sè e analizzarono gli incassi della settimana appena passata, le scadenze in programma e l’andamento dei coperti, soddisfatti di come andassero le cose. Noah ammise dentro di sé che senza di lei non avrebbero potuto arrivati dov’erano arrivati, e forse anche il loro divorzio, visto a posteriori, aveva un senso. Si erano sposati troppo giovani, ansiosi di raggiungere quella meta, ma già dopo un anno avevano capito che la loro unione non avrebbe potuto reggere. Stavano bene insieme, si volevano bene, potevano essere due amici, ma mai marito e moglie. Senza drammi avevano scelto la strada del divorzio come famiglia, ma non come società: neppure amanti, ma soci sì.
– Quante prenotazioni abbiamo per questa sera? – chiese Noah scuotendosi dai ricordi.
– Il secondo turno è pieno. – Controllò Greta sulla sua agenda – Per il primo abbiamo ancora tre tavoli vuoti.
Noah si accarezzò la barba brizzolata, guardando un punto indefinito oltre la sala.
– Pensavo…
– No, per favore – lo interruppe ridendo – non pensare. Quando cominci così mi preoccupi sempre. Cos’è che ti sei inventato adesso?
Noah alzò le mani in segno di resa.
– No, pensavo una cosa. Vieni.
Si alzarono entrambi, la precedette prendendola per mano ed uscirono all’aperto.
A metà primavera il sole era ancora basso. Le cime delle montagne erano già illuminate, ma mancava ancora una mezz’ora perché anche la casa venisse inondata dai raggi. La terra del prato attorno al vialetto che collegava l’entrata con la strada era bagnata dall’umidità della notte e dalla neve che si andava sciogliendo. Qua e là appariva il verde brillante delle prime ciocche dell’erba nuova: fra poco sarebbe stato tempo di raccolta delle erbe spontanee.
Si fermarono ad una decina di metri dall’edificio.
– Cosa volevi dirmi?
Noah si girò a guardare la facciata ed estrasse dal taschino della giacca bianca il pacchetto di sigarette, lo aprì e ne sfilò una che accese, assaporandone il fumo.
– Pensavo che quest’anno dovremmo riverniciare l’esterno della casa. Vedi che il legno sta perdendo il colore? – E indicò con la sigaretta la parte superiore della casa.
– Ci pensavo anch’io. Ti arrangi tu a sentire il pittore?
Rispose con un grugnito mentre un grosso furgone bianco entrava nella proprietà e si dirigeva sul retro della casa dov’era sistemata la cucina.
– Arriva il pesce – indicò Noah con il mento – vado a controllare.
Rientrarono insieme. Greta si diresse a sinistra verso la sala dove le ragazze stavano sistemando la mise-en-place, Noah tirò diritto verso la doppia porta basculante che portava alla cucina.
Se c’era una regola, la numero uno, su cui non ammetteva eccezioni o scuse era la pulizia e l’ordine. La cucina, il cuore nevralgico di tutta l’organizzazione, doveva essere sempre e comunque pulita ed ordinata, ne andava della salute dei clienti e della serenità di chi ci lavorava. Era situata al centro di tutto il complesso, equidistante tra le sale rivolte a est e a ovest, per rendere il percorso dei piatti il più breve possibile.
Appena al di là delle porte basculanti un lungo bancone. in acciaio come tutto il resto dell’arredamento, separava la zona di accesso del personale di sala dal resto dell’”officina”, come spesso la chiamava Noah. Le cameriere prelevavano dal bancone i piatti da portare ai tavoli o, sulla sinistra, depositavano quelli da lavare. Dietro al pass, lungo le pareti di destra e di sinistra erano disposti altri banconi, da una parte il reparto dei primi piatti, dall’altra lo spazio riservato alle carni e al pesce. Sulla parete in fondo, sotto alle ampie finestre, c’era il reparto verdure e antipasti. Al centro della stanza, sotto l’enorme cappa aspirante, erano disposti i fuochi, gli uni di fronte agli altri in forma simmetrica, i bollitori, le friggitrici, le piastre e le griglie.
La cucina si allungava, poi, in altri due locali comunicanti: a destra il laboratorio di pasticceria, a sinistra la plonge, la postazioni dove piatti, posate, pentole ed utensili entravano sporchi e uscivano puliti e brillanti. Su tutto, anche in pieno giorno, grandi plafoniere illuminavano ogni angolo mentre piccoli altoparlanti diffondevano playlist di musica che cambiavano, in stile e in volume, a seconda dei momenti di lavoro, più intense durante le preparazioni, più tranquille durante il servizio. O addirittura spenti, se la tensione era al massimo, ma succedeva di rado.
Entrando in cucina Noah fece cenno ai suoi ragazzi di seguirlo sul retro dove stavano scaricando le casse con le derrate. Ognuno ne prese una e le depositarono sul bancone del pass, come se dovessero essere vendute al mercato. Noah le esaminò con cura e, passato l’esame, firmò la bolla di consegna, ne trattenne una copia e consegnò la seconda all’autista della ditta che salutò e scomparve.
Un coro disordinato di urla e schiamazzi lo avvertirono che qualcosa stava succedendo in cucina: attorno alle casse del pesce, ma soprattutto davanti alle anguille, si era formato un capannello di cameriere; guardavano inorridite i capitoni che si dimenavano ancora vivi dentro il contenitore, come dei serpenti in attesa del fachiro che li addormentasse.
– Bene, ragazze, queste sono le anguille che stasera servirete. I commenti teneteveli per voi, ai clienti dovete proporle con il massimo dell’entusiasmo. Ok? Lo spettacolo è finito, al lavoro.
Il gruppo uscì dalla cucina e Noah si apprestò a istruire i suoi cuochi sul trattamento degli alimenti. Per tutto il giorno ai fuochi si alternarono padelle e tegami, pentole e casseruole, mentre nell’aria si diffondeva il profumo della cipolla e dell’aglio soffritti, del pomodoro che ribolliva lento, dell’aroma del rosmarino e del timo. A ciò si aggiungeva, in un inebriante connubio, la fragranza del cioccolato fondente proveniente dalla pasticceria.
Alle sette di sera tutto era pronto. Ognuno nella sua postazione aveva davanti a sè i piatti immacolati, i contenitori in policarbonato con le guarnizioni, pinze e forchettoni, mestoli e coltelli, tutto il necessario per partire. Mancavano solo i clienti.
Che arrivarono di lì a poco, a coppie o a gruppetti di quattro. Greta e Noah avevano deciso fin dal primo momento di apertura che il loro ristorante non avrebbe mai accolto bambini e animali: anche se il loro breve matrimonio non aveva prodotto dei bebè, non per questo avevano in antipatia i piccoli. Pensavano solo che figli e cani distraessero i commensali, creassero solo disordine che ostacolava la degustazione dei piatti e dei vini.
La loro era, quindi, solo una clientela adulta, quella che poteva permettersi se non proprio un lusso, almeno la tranquillità di una cena di qualità superiore e Greta ci aveva messo molto del suo. La scelta dell’arredamento, la disposizione dei tavoli, le luci soffuse e sparpagliate in ogni angolo, i fiori freschi che ogni giorno, in qualsiasi stagione, venivano posti sopra le tovaglie, i bicchieri in cristallo e le posate ricercate, tutto era frutto del buon gusto e della fantasia della padrona di casa a cui l’ex marito aveva concesso carta bianca.
2
Il primo turno delle sette aveva finito da un pezzo, rimpiazzato dai “nottambuli” delle nove, quelli che tiravano fino a mezzanotte, e oltre certe volte, finendo le bottiglie di Chardonnay e di Müller Thurgau della cena, senza farsi mancare uno o due giri di Grappa di Nosiola. La serata era andata bene, come al solito d’altronde. I clienti erano soddisfatti e le risate che riempivano la sala ne erano la conferma; anche la cucina aveva lavorato sul velluto nonostante i nuovi piatti inseriti nel menu (ammesso che per velluto si intendesse servire non meno di novanta coperti). I grandi numeri non erano un problema quando tutto il team – in cucina e in sala – si muoveva in perfetta coordinazione.
Noah cominciò a sfilare la doppia fila di bottoni della giacca di servizio per indossarne una pulita, come faceva sempre quando si recava in sala. Guardava i suoi ragazzi che, scomparsa ormai la tensione del servizio, stavano prendendosi in giro mentre sparecchiavano i banconi, pulivano i fuochi e si accingevano a lavare pareti e pavimento.
– Qualcuno ha bisogno di un passaggio in città? – chiese Milo – Goran, sei a piedi?
– Con te non andrei neanche all’inferno. – rise sonoramente. – Ok, Milo, ma magari ci fermiamo a farci un’altra birra prima di andare a casa.
– Aggiudicato. Bart, Alex, venite anche voi? O avete altri impegni?
– Vera? Ti unisci anche tu alla banda dei maschi?
La pasticcera sporse il capo da dietro il muro della sua postazione e strinse l’occhiolino.
– Volentieri, ma ho di meglio da fare. Passano a prendermi.
– Wow – gongolò Bart in quel misto di italiano e olandese. – Stasera si scopa.
Fece appena in tempo a schivare uno straccio bagnato che passò sopra le teste e finì per essere preso al volo dallo chef.
– Ragazzi, mi raccomando, puntuali e soprattutto svegli domani mattina.
– Come sempre, chef, buonanotte.
Noah uscì dalla cucina soddisfatto della sua brigata. Quand’erano in borghese e soprattutto quando stavano davanti al bancone di un pub alla terza o quarta birra, sembravano un banda di periferia, con i loro tatuaggi sulle braccia, gli orecchini all’orecchio, la coda di cavallo o il berrettino da baseball calato sulla fronte, gli occhiali da sole anche all’una di notte. Una banda da cui girare alla larga.
Erano invece dei seri professionisti che aveva cercato uno ad uno, che si era portato via da dove aveva lavorato in giro per mezzo mondo, che condividevano i suoi stessi obiettivi.
Si assestò i grandi occhiali sul naso, si rassettò i capelli in cima al capo – quelli davanti erano già caduti lasciando l’ampia fronte libera – controllò che la doppia abbottonatura della candida giacca bianca fosse a posto e diede una rapida occhiata in giro. C’erano due tavoli da quattro persone, uno da otto e tanti tavolini con coppie giovani e meno giovani. Dall’aria rilassata dei loro sguardi, dai sorrisi che si scambiavano capiva che la serata era stata, e continuava a essere, piacevole per tutti.
Renato Bevilacqua (proprietario verificato)
Il protagonista è uno chef stellato,amante della vita e dei piaceri che ci rìserva. E’impegnato nel lavoro, che svolge con passione, in solidarietà ed amicizia con i suoi collaboratori. Ci racconta i suoi viaggi, i suoi amori, il suo profondo legame con la natura.E’ un esempio di solidarietà e di accoglienza, che ascolta la voce della coscienza
fino all’eroismo .Un bel racconto che, con originalità, richiama al valore dell’amore, degli affetti, della legalità, in un mondo che sembra spesso dimenticarsene.