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Perché scappi, don Giuseppe?

Perché scappi, don Giuseppe?
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Consegna prevista Dicembre 2023
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L’ ideale di vita di Don Giuseppe è al limite della monotonia. Giorni uguali, gente tranquilla e nessun problema. Tutto il contrario di quanto ogni mattina deve affrontare.
Insieme a Don Aldo, frenetico ed impegnato e a Don Michele, il saggio, il giovane prete vive nella piccola città di Cuneo. Ad accudire i tre sacerdoti c’è Clara, la bisbetica perpetua, divisa tra la vita infelice accanto ad un marito invalido e le faccende in canonica.
Sarebbe tutto accettabile se non ci fosse Marco, un ragazzo ventenne, che non perde occasione di rendergli la vita un vero inferno e di tutto questo don Giuseppe non ne capisce il motivo.
Al momento opportuno però il buon Dio sembra tendere una mano e mettergli sulla strada Mukunda, un misterioso indiano che porterà una ventata di nuova energia nelle giornate del giovane prete e dei suoi amici.
A tutti verrà dolcemente scompigliata la vita, dando l’occasione di scoprire il proprio potenziale per affrontare gioie e dolori della quotidianità.

Perché ho scritto questo libro?

Avete mai sentito in testa quella vocina che ronza come una zanzara?
Io sì! E in particolare, per il libro di Don Giuseppe, quella vocina ripeteva sempre la frase iniziale: “Don Giuseppe chiuse il pesante portone…”
Ogni volta mi dicevo che un giorno avrei scritto il libro di quel sacerdote timoroso e di tutta la sua cerchia di amici.
Un giorno, fino a quando la vocina mi ha detto fermamente: se non lo scrivi tu il libro, lo farà qualcun altro.Un momento! Don Giuseppe è mio, lo racconto io!

ANTEPRIMA NON EDITATA

1

Don Giuseppe chiuse il pesante portone della chiesa spingendolo con le sue lunghe ed esili mani. Il rituale si ripeteva ogni sera alle 7.30 ed era per lui il momento migliore.

“Nessuna scocciatura, solo silenzio. Tu ed io “ pensava ogni volta e rivolgeva lo sguardo al grande crocifisso posto sull’altare.

Attraversava la navata centrale con passo lento ed arrivava alla scalinata di marmo bianco della chiesa del Sacro Cuore dove si inginocchiava per l’ultima preghiera .

Anche quella sera , come ogni sera, gli stessi gesti, gli stessi pensieri e il solito senso di sollievo .

Don Giuseppe era un uomo sui trent’anni, alto, magro. Carnagione chiara, tendente al pallido, occhi azzurro chiaro e radi capelli biondi.

Aveva preso gli ordini con una convinzione rara ai nostri tempi. Si era sentito sacerdote fin da bambino, quando davanti al presepe celebrava la messa usando gli spicchi di arancia al posto dell’ostia e il chinotto invece del vino.

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Gli studi erano andati bene e, nonostante le lacrime di sua madre che , ripeteva sempre, non avrebbe avuto mai dei nipotini, era diventato sacerdote con una gioia che non pensava di provare.

All’inizio tutto era filato liscio. Aveva affiancato preti più anziani nelle varie parrocchie del Piemonte, soprattutto di provincia, e faceva di tutto per avere l’affetto dei suoi “superiori”.

Poi, proprio per via della considerazione che era riuscito ad ottenere, aveva avuto una parrocchia tutta sua.

Con enorme gioia e sollievo era ritornato alla sua città nativa, Cuneo, tanto cara e soprattutto molto tranquilla, e oltretutto era rientrato a pieno titolo proprio nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, dove era cresciuto.

La parrocchia non era proprio tutta sua, naturalmente, c’erano altri preti ad assisterlo, ma le grane, quelle erano tutte sue.

In primis, c’erano le donne addette alla pulizia della chiesa, alcune erano addirittura pericolose. Si immaginavano chissà quali intrighi ai loro danni, sintomo chiaro delle vite monotone che esse conducevano ogni giorno “perché poi la routine sia noiosa non me lo so proprio spiegare”, diceva lui.

Poi don Michele, anziano e sordo. Ci volevano le trombe del giudizio universale per comunicare con lui e non sempre la risposta era coerente , ma don Michele pretendeva di essere obbedito in quanto Anziano.

Don Aldo invece era sempre assente. Non solo fisicamente, visto che si era preso l’incarico di occuparsi delle pratiche e dei rapporti con la curia, ma anche quando era presente in carne ed ossa, sembrava pensare a tutt’altro ed era pressoché inutile intavolare un qualche discorso.

Anche i parrocchiani erano un peso non indifferente: perché non si rassegnavano ad entrare nel confessionale e dopo aver sciorinato i loro peccati si recavano di buon grado nei banchi per recitare le preghiere impartite?

Ora la moda imponeva un faccia a faccia con il proprio confessore! Ma così facendo non si finiva mai di discutere. Alcuni poi arrivavano addirittura all’ora di cena e si fermavano fino a sera tarda per cercare conforto o una soluzione, più che un’assoluzione.

-Come se non ne avessi anche io di problemi!

I problemi di don Giuseppe erano quei ragazzacci. Figli di papà, gente facoltosa che perde tempo a torturare i preti .

-Drogati!- Perditempo! non faranno mai nulla di buono nella vita!- si ripeteva sempre don Giuseppe, e stringeva i pugni fino a farli diventare bianchi.

Il cuore gli balzava in gola quando pensava a loro. L’ultima volta lo avevano inseguito fino alle porte della chiesa e gli avevano urlato dietro delle oscenità ridendo di lui.

Non sapeva nemmeno perché ce l’avessero con lui. Non faceva niente di male a nessuno. Non aveva mai parlato male dei loro genitori, mai parlato male di nessuno!

–Ognuno percorre la propria strada, pensava ,perché loro sono sulla mia?

Ogni volta che usciva dalla chiesa si guardava intorno e camminava a passetti svelti e sguardo basso nella speranza di non incrociare, o di non vedere quei disgraziati. Soprattutto uno di quei disgraziati: Marco Arnaudo.

E dire che con quel ragazzo c’era quasi cresciuto! Marco aveva frequentato la parrocchia assiduamente fin da quando era bambino e la madre Domenica era una persona che Don Giuseppe ricordava sempre con grande affetto. Tra loro due c’era stata una bella amicizia ed era facile per lui, timido ed impacciato con tutti, sentirsi a suo agio con quella donna così garbata, a volte materna.

Il piccolo Marco era cresciuto e più cresceva, più diradava le visite in Chiesa, ma non Domenica, che con il marito erano presenti alle funzioni domenicali e spesso si attardavano a chiacchierare con i preti anche dopo la messa.

Ma da quando la signora Domenica era venuta a mancare, Marco aveva iniziato ad esprimere nei confronti del giovane prete una sorta di astio che via via sembrava crescesse.

Don Giuseppe non ne capiva il motivo, ma pensava che sarebbe stato da folli andarglielo a chiedere, e quindi cercava di tenersi alla larga da quel ragazzo e dai suoi amici.

2

La cena era semplice , condivisa in silenzio o urlando, a seconda di chi era presente.

Don Aldo era il più mondano, pur essendo di mezz’età era sempre coinvolto in qualche attività esterna.

Amava ogni tipo di sport soprattutto il calcio e qualche volta andava allo stadio , durante le partite notturne e tornava a notte fonda.

Quando però era suo compito celebrare messa al mattino seguente, non riusciva nemmeno a leggere degnamente le Sacre Scritture.

Don Michele mangiava in silenzio, a suo dire per una pratica meditativa, ma don Giuseppe sapeva che era perché il suo apparecchio acustico sibilava durante il masticamento e quindi lo toglieva.

Ma andava bene così.

Terminata la cena si guardava insieme la televisione, oppure si andava nella saletta dove si leggeva un po’. Ci si ritirava presto.

Stesse cose tutte le sere, stesse cose tutti i giorni. Ma a don Giuseppe quella vita monotona piaceva.

Quanto alla giornata, poi, era scandita sempre dalle stesse azioni: sveglia, preghiera, colazione, messa del mattino, qualche incombenza burocratica o amministrativa e se tutto filava liscio, l’umore era alle stelle.

I fine settimana erano più intensi ma a don Giuseppe piacevano perché con le funzioni pomeridiane e preserali del sabato e le messe della domenica, non c’era spazio per altro .

D’estate invece la cosa era ben diversa. I ragazzi si iscrivevano alle attività ricreative e durante tutto il giorno non c’era un momento di pace. Giochi, urla, litigi rendevano insofferente don Giuseppe fino a farlo pensare all’eremitaggio. A lui non piacevano i bambini.

Quando era piccolo, era sempre stato il classico bambino “attaccato alla gonna della mamma” come diceva suo padre. Lui lo avrebbe voluto mandare nell’esercito e magari la mamma avrebbe anche accondisceso, se una morte prematura non lo avesse portato via.

Quasi non se lo ricordava il papà, e non c’erano stati altri uomini in casa a farne le veci, non perché la mamma non fosse una bella donna, ma perché tra il negozio da parrucchiera e tirare su un figlio, non c’era tempo per occuparsi di altro.

E così Giuseppe era cresciuto con la mamma, la nonna e la sorella della nonna. Tre donne, tutte e tre vedove e un solo maschio:lui!

Qualche volta si scopriva a ripercorrere con la mente i ricordi della sua infanzia, chiedendosi se i suoi timori, le sue incertezze fossero le conseguenze di quell’assenza maschile o di quella mancata carriera militare.

3

Come ogni venerdì Dongi,come lo chiamavano i parrocchiani più giovani, si apprestava a fare il programma della settimana entrante.

Le messe comandate, le visite agli anziani del mercoledì e degli infermi il giovedì.

Ad un tratto la voce di Clara, la perpetua che si occupava delle pulizie, della canonica e dei pasti dei sacerdoti, echeggiò nel corridoio.

Oltre alla sua voce, Don Giuseppe riconobbe quella tonante del signor Botta, un omone di 2 metri e 100 chili , macellaio ormai in pensione da 10 anni.

-In cosa posso esserle utile signor Botta?- chiese don Giuseppe

-Mia madre sta morendo, Dongi – gli disse guardandolo negli occhi.

Don Giuseppe odiava farsi chiamare con quel soprannome, sembrava un nome da cane, ma non osava ribattere al signor Botta .

-Com’è possibile? Fino alla scorsa domenica era al suo posto nel primo banco, come sempre, e scoppiava di salute.

  • Un ictus. Così dicono i medici. Ci hanno detto che si sta spegnendo come una candela. Non l’hanno nemmeno portata in ospedale. Venga a darle l’estrema unzione, Don Giuseppe. Mia madre ci teneva. Sa, i vecchi ci tengono a queste cose.

  • Vengo subito, se mi aspetta.

  • Non posso accompagnarla, sto per andare alle pompe funebri. Devo farmi fare dei preventivi, altrimenti quelli ci spennano come polli!

-Ma sua madre non è ancora morta! – Don Giuseppe era frastornato. Pianificare va bene, ma sua madre non era ancora morta!

  • Ci vediamo don. Mi faccia un preventivo del funerale. Lo lasci a mia moglie.

  • Un preventivo?….

Il signor Botta era già fuori dalla canonica, ma don Giuseppe non riusciva a capacitarsi di quanto aveva sentito.

Era affezionato alla signora Adele, una signora molto elegante e con uno sguardo sempre sereno. Aveva aperto con suo marito la “Premiata macelleria Botta” e da 50 anni godeva di un’ottima reputazione per le sue carni di qualità.

Ora era il nipote a portarla avanti con orgoglio.

Don Giuseppe prese i paramenti e gli oli sacri e li sistemò saldamente nel cestino della sua bici.

Si diresse verso corso Giolitti,dove abitava la signora Adele e, arrivato davanti al palazzo, citofonò pensando alla sua amica sventurata.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Nadia Lucia Musso
Nasco a Cuneo 57 anni fa e anche se continuo a considerarla la mia città, da 35 anni vivo altrove.
Sono felicemente sposata con Claudio,ho due figlie meravigliose Alessia e Monica, due figli acquistiti, Cèsar e Arturo,una cagnolina Babuccia, con cui faccio bellissime passeggiate e Enchufe, il "marito" di Babuccia parte integrante della famiglia
A costo di sembrare smielata, confesso di avere intorno a me persone splendide, parenti e amici che mi rendono una persona fortunata.
Le mie giornate si dividono tra il lavoro amministrativo nell'azienda di famiglia, la casa, la famiglia e i miei hobbies.
Amo leggere, spazio dai testi esoterici ai romanzi gialli, ovviamente ho scoperto che amo anche scrivere.
Ho un bisogno vitale di aria aperta e di verde e per fortuna vivo dove non mancano gli spazi per rigeneranti camminate.
Adoro gli animali, soprattutto i cani.
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