“Oh, mi scusi, signorina! L’ho spinta io col piede per aiutarla, ma forse le ho fatto male!” esclama una vocina così dolce e flebile che si fa fatica ad associarla a quel calcio forzuto.
Flora, distesa sul selciato con la valigia sulla pancia, non sa se ringraziare chi ha parlato o se sperare che se ne vada via col treno. La vocina appartiene ad una donna minuscola e un po’ paffuta, la signora Catina Deodoranti, famosa pettegola di Carabattole. È di ritorno dal salone di bellezza. Con quei capelli azzurri e vaporosi e il viso truccato, sembra un clown con lo zucchero filato in testa.
Sorride sfoggiando dei bei denti impiastricciati di rossetto. Il treno riparte fischiando. Flora si alza e si presenta controvoglia.
“Mi chiamo Flora, sono la nuova maestra della quinta elementare”.
La signora Catina si illumina di gioia: ha finalmente trovato qualcuno a cui riferire tutti i pettegolezzi riguardanti la vecchia maestra, sparita nel nulla la settimana precedente. Riferisce che c’è dice che la maestra che c’era prima, la Mangialenticchie, abbia vinto alla lotteria se ne sia scappata di notte senza donare nemmeno un soldo ai poveri del paesino e alla scuola che ha le tapparelle rotte e il riscaldamento che non funziona, senza nemmeno degnarsi di salutare i suoi bambini che le erano tanto affezionati. Flora, frastornata dalle chiacchiere impetuose della vecchietta, cerca di tagliar corto e chiede dove si trovi via delle Copertine n° 8.
“Ma è proprio di fronte a casa mia! Che bello! Saremo vicine di casa!” esclama felice la vecchietta.
“Cominciamo bene…” borbotta Flora tra sé.
E così le due donne escono insieme dalla stazione. Flora immagina di trovare ad aspettarla un paesaggio da favola, come quello nella palla di neve che ha comprato alla stazione precedente. Si aspetta un panorama verde, fiorito, ma ovviamente senza neve, dato che è marzo e splende un bel sole tiepido. Infatti, fuori dalla stazione, c’è…il nulla! Solo una strada brulla e male asfaltata che porta ad un piccolissimo paese di poche case arroccate su una collina.
“Per mille vermi infangati, l’hanno fatto apposta!” esclama Flora adirata .
“Come dici cara? Hai dimenticato di mettere la supposta?”.
Flora inventa qualcosa riguardo a quanto la valigia sia pesante e la salita sia tosta.
“Non si preoccupi, cara maestra, gliela porto io la valigia. Lei prenda i suoi bagagli leggeri!
Sono allenata, sa? Guardi che bei polpacci sodi che ho!”
La signora Catina mostra fiera i suoi bei polpacci muscolosi stretti in un paio di calzini di nylon color carne. Poi prende per il manico la pesante valigia di Flora e la trascina sulle rotelle con la facilità con cui si trascinerebbe un sacco vuoto.
Durante il tragitto, la signora Catina, più arzilla che mai, racconta a Flora vita, morte e miracoli di tutti gli abitanti del paese: si dice che il signor Fabrizio Latticino abbia preso in prestito dalla signora Fernanda Cerchielli una grattugia per limoni e che non gliel’abbia più restituita; la simpatica signorina Camilla Spilletta invece, campionessa regionale di torta di mele ad ostacoli, sa cucinare solo torte e le regala ai vicini che stanno diventando sempre più paffuti.
“Guardi quell’uomo un po’ strambo nel giardino di quella casa sperduta! Lo vede? È Pippo Eliofanti. Dice di essere stato rapito dagli alieni qualche anno fa e da allora sta cercando di mettersi in contatto con loro perché si era trovato bene. Dice che erano molto simpatici. Che
avventura incredibile!”
Infatti un tizio magro e spettinato, dallo sguardo spaurito, si aggira per il giardino con uno strano strumento in mano, una specie di antenna parabolica fatta con uno scolapasta, una radio e una forchetta.
Flora, tramortita dalle chiacchiere, anziché guardare l’uomo osserva ammaliata i fluttuanti capelli cotonati della vecchia, che ondeggiano ad ogni movimento del capo, alti e soffici come una montagna di dolce zucchero filato azzurro. Quasi quasi le viene voglia di assaggiarli.
Durante la camminata che a Flora sembra interminabile, le due passano davanti ad una bella casetta arroccata su una collinetta alla quale si arriva attraverso un grazioso viale di gradini di pietra. Flora è felice che quella non sia la sua nuova casa, dato che è pigra e odia fare le scale e loro lo sanno!
“Oh, che sbadata! Chiacchierando non mi sono accorta che abbiamo passato la sua meravigliosa casettina! È chiusa da un po’ ma io la trovo deliziosa
anche se ad alcuni sembra inquietante”.
Flora si ferma imbronciata e cammina all’indietro fino alla casa. Controlla il numero civico: 8. “Accidenti ai loro denti marci! L’hanno fatto apposta, anche questo!”
“Prego?”
“No, dicevo, grazie per il bel gesto! Ora me la caverò da sola, arrivederci!”
La cara signora, mostrando a Flora i muscoli delle braccia, insiste per portare la valigia fin su in casa.
“Tocchi, signorina, senta che bicipiti! Le altre vecchie del paese se li sognano, questi bicipiti!”
Flora, imbarazzata, tasta con un dito i muscoli della signora Catina. Effettivamente quella donna è dotata di una forza inusuale. Flora, però, insiste a far da sola e si libera in fretta della vecchia palestrata.
“Come vuole, ora vado che tra poco ho lezione di danza moderna. A dopo!”
Ora che la signora se ne è andata, Flora si gode qualche attimo di silenzio e fa dei respiri profondi.
“Devo stare calma, tutto ciò finirà presto”.
Osserva la casa: è un piccolo castello in pietra, con tanto di torre ricoperta di edera. “Bah, pensavo meglio”.
Apre il piccolo cancello cigolante e sale la lunga scalinata, trascinando la pesante valigia, sbattendola ad ogni gradino, senza cura alcuna, sbuffando e borbottando come una pentola di fagioli.
Arrivata in cima trova le chiavi sotto allo zerbino, come le era stato detto. L’interno della casa è tutto di un delizioso color pastello, i mobili e le tende sono fatti di romantici tessuti floreali e un mazzo di fresche rose profumate le dà il benvenuto. Di fianco al vaso di fiori appoggiato sul tavolo della cucina, c’è una grossa chiave antica con un cartellino attaccato con su scritto torre.
“Che orrore. Mi viene da vomitare. Me ne vado su nella torre, sperando che sia meglio di queste stanze piene di disgustosi fronzoli!”
Riprende, quindi, tutti i suoi bagagli e va di sopra. Ovviamente, per salire sulla torre, deve fare una ripida rampa di gradini alti e stretti. Procede sbattendo la valigia dalla quale, ad ogni passo, provengono rumori di
cocci e ferraglia. Stanca e sudata raggiunge la grossa porta di legno e la apre, anzi, la aprirebbe se avesse preso la chiave.
“Per mille crani tarlati! Ho dimenticato di prendere la chiave. Che seccatura”.
Poi si ferma a pensare. “Beh, lo so che non dovrei farlo ma, dopotutto, sono stanca e il viaggio è stato lungo e faticoso, quindi, perchè no? Me lo merito un aiutino!”
Detto ciò fissa intensamente la maniglia della porta ed emette un forte grugnito, proprio come un vero maiale.
“Oink oink!” e la porta si apre.
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