Pongo è una raccolta composta da centouno brevissimi racconti umoristici, romantici, poetici, ironici, esistenziali, assurdi e anche un po’ caustici.
La proposta è varia, così come lo sono gli stati d’animo e i contenuti. Da improbabili interviste a personaggi famosi come Willy Il Coyote, a tipici scenari anni ottanta come in “I’m waiting for my man”, passando per storie che ribaltano il senso comune come “Non fatelo a casa… e neanche a scuola”, o che toccano il cuore come “Alda”.
Un libro da leggere a piccole dosi, perché composto da storie che, prese nella loro unicità, danno il meglio.
Perché ho scritto questo libro?
Prima di tutto sono un lettore. Sono arrivato alla scrittura occupandomi di teatro e scrivendo testi per le rappresentazioni. Come molti lettori, a volte sento il desiderio di misurarmi con la scrittura. Pongo vuole rispondere a un bisogno che i ritmi odierni hanno evidenziato: storie che si leggono in poco tempo e che trasmettono emozioni, stimolano riflessioni o magari fanno solo sorridere. Anche solo quest’ultimo risultato mi ripagherebbe del lavoro.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Fuga d’amore.
Aspettarono di essere vicini l’una all’altro. Volevano cambiare il loro destino, fuggire e chiudere per sempre con le famiglie che si opponevano al loro amore. Si presero per mano e si aggrapparono a un punto di domanda, saltarono da un trattino all’altro, scivolarono su una virgola, aprirono una parentesi, si diedero un bacio, chiusero la parentesi. Proseguirono la loro fuga, riga dopo riga, verso la fine della pagina. Quando fecero l’ultimo salto non si voltarono. Fuori dalle pagine del libro però i loro corpi non avevano forma, non potevano esistere, cominciarono a svanire perché il loro era un amore impossibile.
La voglia.
Odiava il suo lavoro e l’odore che si portava appresso. A casa lavava tutto: gli abiti, sé stessa, le mani. Soprattutto quest’ultime le lavava in continuazione. Costringeva gli amici ad annusarle e tutti concordavano col dire che il puzzo di pesce era dentro la sua testa e non sulle sue mani. Una notte, al rientro da una serata in discoteca, ebbe un incidente e batté forte la testa. Perse prima i sensi e poi la memoria. Al risveglio in ospedale non ricordava nulla: chi fosse, che lavoro facesse. Aveva fame. Si annusò le mani e le venne voglia di pesce.
Il gufo alla Warner.
Quando Harry si riprese era solo. Non ricordava nulla di quanto successo. Si chiese dove fossero i suoi amici. Raccolse la bacchetta magica e cominciò a girare per la casa. Alla fine del lungo corridoio vide due bambine gemelle. Sentì un cigolio e si voltò, era un bambino sul triciclo. Appena il bambino si accorse della loro presenza girò il triciclo e se la diede a pedalate. Sulla porta c’era la targa con scritto Overlook Hotel. Si ricordò dove aveva visto quelle scene e si ripromise di mandare il gufo ai fratelli Warner per sapere chi aveva fatto il montaggio.
Garbato, coraggioso, ma…
Il signor Hood è un galantuomo, acconsente a fare l’intervista telefonica. È un uomo garbato e coraggioso. Il suo è ovviamente un nome di fantasia, perché il signor Hood è un testimone d’accusa contro la mafia e gode del programma protezione testimoni. Vive in un luogo sconosciuto tra Lampedusa e lo Stelvio. Comincia l’intervista. Cosa è cambiato nella sua vita? Beh, per esempio il nome, ora mi chiamo Luigi Settembrini. Come il patriota? Mi dispiace, ma non posso dirlo. Capisco, cos’altro è cambiato? L’indirizzo, adesso vivo in via Bini 42 a Pallanza. Silenzio. Garbato, coraggioso, ma non intelligente, pensò l’intervistatore.
Un angelo.
A che piano va? disse la voce. L’uomo trasalì, stupito guardò la ragazza e pensò: quando è entrata? Non si era accorto di essere in compagnia. Guardò il display a cristalli liquidi che indicava il numero cinque e disse: all’ultimo. Ripensò al mistero della sua apparizione. Non si era nemmeno accorto che l’ascensore si fosse fermato da quando era salito al piano terra. Osservò la ragazza. Capelli chiari, carnagione di alabastro, bei lineamenti. Sembrava un angelo. Lo stiamo perdendo dissero i medici in sala operatoria. L’uomo esalò l’ultimo respiro. Siamo arrivati, disse la ragazza. L’uomo sorrise. Si sentiva in pace.
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