Perfetto, senza neanche accorgersi aveva già perso tre minuti preziosi; ora gli restavano solo ventitré ore e cinquantotto minuti e poi sarebbe diventato maggiorenne.
Prese un respiro profondo e si diede una calmata; stava diventando paranoico e non era affatto un bene.
Il ragazzo camminava senza una meta precisa, assorto nei suoi pensieri; doveva già essere a letto da un pezzo, il coprifuoco era scattato da parecchio, ma poco gli importava perché poche ore e sarebbe stato ufficialmente eletto principe ereditario, quindi il secondo uomo più potente del Paese dopo suo padre, e nessun maggiordomo, ossessionato dalla ricchezza e dai soldi, si sarebbe imposto su di lui, o almeno questo era quello che sperava.
Nico ispirò a fondo cercando di mantenere la calma; accadevano cose brutte quando perdeva il controllo e quella non era la situazione, tanto meno il luogo o il momento, per avere una crisi.
Si lasciò avvolgere dalla musica, che ancora suonava come annoiata nelle sue orecchie, e corse alla ricerca di un posto nel quale poter stare in pace con se stesso per un po’.
Avrebbe voluto correre fuori, all’aperto, e prendere fiato nel grande giardino del castello, ma sapeva che non gli era concesso; era già un lusso che gli fosse stata data una terrazza privata nei suoi appartamenti.
Era un principe, eppure restava prigioniero della sua stessa casa.
La frase che aveva sentito più spesso negli ultimi due anni era proprio “i pericoli sono ovunque”; una volta udita, si rassegnava al fatto che non avrebbe potuto insistere ulteriormente.
Quasi a occhi chiusi percorse il lungo corridoio pieno di dipinti, prese le scale e raggiunse il terzo piano, poi corse silenziosamente in un intricato labirinto di stanze, dedicate a eventuali ospiti, e aprì una porta dedicata alla servitù, salì una piccola e traballante scalinata a chiocciola e infine si intrufolò all’interno di una botola che richiuse alle sue spalle.
Sicuro che lì, nel posto più dimenticato del castello, nessuno l’avrebbe trovato, si rilassò; poteva finalmente essere se stesso.
La musica, che fino a quel momento era stata un semplice sottofondo, iniziò a evocare ricordi che gli facevano male, pensieri dal quale tentava di scappare continuamente.
Lì, dove poteva essere se stesso, Nico si concesse di piangere in preda a quelle memorie che proprio non riusciva a digerire.
Poggiò la schiena su alcuni cuscini che aveva portato in quel luogo col passare degli anni e si mise a guardare fuori dalla finestra.
La città era silenziosa e le luci erano tutte spente: il suo popolo dormiva.
Non che avesse tanta scelta; chi non rispettava il coprifuoco, rischiava di passare una notte o due all’interno di una cella gelida.
A Nova Italia le regole erano rigide, più che in qualsiasi altro Stato, eppure non c’era stata una sola volta in cui aveva sentito il suo popolo lamentarsi; tutti erano consapevoli che gli abitanti del piccolo regno di Nova Italia fossero tra i più fortunati del mondo intero.
Negli altri Stati vigevano regole blande, ma la vita era così caotica e confusionaria che il nuovo piccolo Stato, l’ultimo a essere stato creato dopo Nova Grecia, era considerato il posto più felice della Terra.
Nova Italia, che nome stupido.
A seguito della Terza guerra mondiale, l’Italia aveva contratto dei debiti talmente alti che era letteralmente fallita. La guerra era scoppiata a seguito di una pandemia che aveva messo in crisi tutto il mondo durante i primi anni Duemila. Era esplosa una crisi economica che aveva messo in ginocchio un pianeta corrotto e malato, dove ogni giorno morivano milioni di persone a causa del virus.
Gli italiani, così come gran parte del resto del mondo, dopo anni e anni di sottomissione, si erano ribellati al governo e per quasi un secolo avevano vissuto nella più totale anarchia, fino a quando l’ennesima guerra aveva colpito la Terra.
Se la Terza guerra mondiale era stata devastante per il numero di vittime, la Quarta aveva letteralmente decimato gli abitanti che ora, a cinquecento anni dalla pandemia, erano poco più di un miliardo in tutto il mondo.
Suo nonno, Samuele I, durante il periodo buio del conflitto più recente, era riuscito a riportare la calma e la pace e i cittadini lo avevano scelto come re del nuovo regno.
Il nome era stato studiato dagli Stati più potenti e nessuno si era mai ribellato, nonostante tutti fossero coscienti che il termine nuovo in realtà significasse debole, lo sapevano loro come lo sapeva Nova Grecia.
Erano i più giovani, i più piccoli, i più deboli e, soprattutto, i più facili da attaccare e distruggere.
Nico odiava la storia.
Trovava noioso rimuginare su ciò che era stato, ma sapeva che per essere il futuro re, quelle nozioni gli servivano, perciò si sforzava con tutto se stesso di ascoltare; erano, però, più le cose che gli sfuggivano dalla mente di quelle che gli restavano in testa e così lui iniziava a inveire mentalmente contro quella orribile materia e si convinceva sempre di più di essere stupido.
Guardò ancora una volta tra le piazze e le vie e gli venne malinconia a vedere quelle strade vuote.
Si disse che lo facevano per loro; le risorse erano poche così, dalle dieci di sera alle cinque del mattino, la corrente veniva staccata in tutto il regno, così come le forniture d’acqua, e per questo era stato posto il divieto di uscire di casa per evitare che, col buio della notte, potessero accadere inconvenienti.
Quando il re Samuele II, suo padre, aveva emanato quella legge non era stato da meno nel mantenere la parola data e così, anche nel palazzo, erano entrate in vigore le stesse regole.
Il popolo amava suo padre perché era un re leale ed era evidente che tutte le sue decisioni venissero prese col fine di correre in soccorso ai suoi cittadini; Nico non sapeva se sarebbe riuscito mai a esserne il degno successore.
Temeva la sua gente, sapeva bene come lo chiamavano; lui era il principe triste.
Non che si sbagliassero, anzi, tutt’altro; non era caratterizzato da un’altezza imponente ed era particolarmente magro nonostante i muscoli che aveva per via dei suoi allenamenti. Il suo incarnato era sempre pallido e i capelli neri spettinati contornavano degli occhi che erano notoriamente tristi e scuri.
A quel pensiero, un’altra lacrima gli bagnò il viso e il principe si mise a osservare le stelle, rammentando quante leggende fossero legate a loro.
Sapeva che erano solo chiacchiere eppure non smetteva mai di ripensare a quei racconti perché erano l’unico modo per riavere, anche solo per un po’, sua sorella.
Rimase in silenzio ad ascoltare le parole di una canzone di un paio di secoli prima, che allora doveva essere molto di moda, e a fissare una piccola stella abbastanza buia che stava al fianco di una molto più grande e brillante.
Sua sorella Ginevra gli aveva sempre raccontato che la piccola stella era apparsa il giorno in cui era nato e il popolo gliel’aveva dedicata.
Si diceva che fosse un segno raro e che colui a cui fosse capitato avrebbe regnato saggiamente.
Aveva sempre odiato quella stella quasi quanto odiava se stesso; proprio come la comparsa del corpo celeste aveva condannato la sorella alla morte, consegnando il regno nelle sue mani alla scomparsa del padre, così lui aveva ucciso la madre venendo alla luce.
Com’era possibile che la sua vita fosse così ingiusta?
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