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E invece quella notte le acque si ruppero, ed Ernesto corse a chiamare Maria che, preoccupata, arrivò subito con la sua borsa degli attrezzi.
A parto concluso, Concetta, coperta solo con una trapunta e distesa su un materasso adagiato sul tavolo della cucina, era stremata dalle doglie e dalle spinte.
Maria, che per ore aveva strillato: «Spingi, Concè, si no sta criatur’ nun’esce», era ormai sfinita e rauca, mentre Ernesto, che per tutto il tempo del travaglio e del parto era rimasto seduto su una sedia in un angolo della cucina, era esausto e pieno di scrupoli, visto che la colpa di quei dolori, lui si diceva, era soltanto sua: aveva sempre desiderato un figlio maschio ma, a quarantanove anni, si era trovato a essere padre di due figlie, perciò aveva tanto insistito con Concetta, che per farlo contento aveva ceduto.
Ernesto aveva affidato le bambine ai vicini, per evitare che assistessero a quello strazio.
Mettere al mondo quel bambino fu una fatica per tutti.
Il nuovo arrivato era un bel maschietto, che alla fine riuscì a nascere strillando come tutti i neonati. La levatrice, dopo le prime cure e il taglio del cordone ombelicale, mise il neonato tra le braccia della madre che, sia pure stremata, rimase estasiata alla vista di quel viso già così bello. Lo considerò un dono del Padreterno come risarcimento per il suo lungo penare, in più proprio nel giorno dell’Epifania.
«Ernè,» lo incoraggiò Maria «Ernè, vuliv’ tant’ ’o maschio e mo’ che è arrivato non vieni neanche a salutarlo? Alzati e vien a verè quant’è bello stu piccirill’!»
Ernesto, come un automa, ubbidì; si alzò e, dopo essersi avvicinato timidamente, diede una carezza lieve e tenera sulla testolina di suo figlio, e alla moglie, che stringeva al seno il bambino, sussurrò: «Grazie, Concè, t’ vogl’ ben’». E le diede un bacio sulla fronte. Poi andò in bagno a rinfrescarsi il viso, stravolto dalla contentezza.
Il giorno successivo, un raggio di sole sfiorò il piccolo Vincenzo, e Concetta pensò che quella luce infiltratasi tra gli scuri sconnessi del basso fosse un beneaugurante saluto al figlio. Era felice, Concetta, anche perché era riuscita a regalare a suo marito il dono a lui più gradito.
Appena si riprese dalle fatiche del parto fece il giro dei bassi, desiderosa di far conoscere ad amici, conoscenti, e anche ai passanti, quell’amore di figlio; si godeva i complimenti, i regali ricevuti dalle amiche, ed esprimeva la sua felicità con una voce piena di allegria: «A quarantadue anni ci so’ riuscita. È arrivato proprio il giorno della befana ’stu maschio, e guardate quant’ è bello».
Insomma, Concetta aveva occhi e attenzioni solo per il figlio, non si accorgeva degli sguardi tristi delle due sorelline di Vincenzo, Carmela e Rosaria, la prima di dodici e l’altra di sette anni, che dimostravano, senza neanche provare a nasconderla, tutta la loro gelosia per il nuovo arrivato: l’intruso.
Ernesto era soddisfatto, aveva desiderato tanto un figlio maschio e ne era arrivato uno così bello da farlo inorgoglire. L’avevano chiamato Vincenzo, come suo padre, seguendo così la tradizione napoletana. La gioia per quella nascita non la spartiva con nessuno, a differenza della moglie, che invece preferiva condividerla con tutti. Voleva anche molto bene alle figlie, e capiva che la moglie, con il suo comportamento, le stava allontanando, correndo il rischio di creare le prime due nemiche di Vincenzo.
«Concè,» le diceva quando le figlie dormivano «tu la devi finire di glorificare Enzuccio. Ma non te ne accorgi che le stai facendo soffrire? Anche loro sono figlie tue, e se tu hai occhi solo per Enzuccio, loro ne soffrono.»
«Ernè, Enzuccio deve crescere bene, perciò adesso deve essere seguito e curato, e solo io lo posso fare. Le bambine so’ crisciute, e nun’ capisco pecché mo’ hanna suffrì.»
«Concè, prima stavi sempre con loro, gli raccontavi tutti i fatti del vicolo, gli insegnavi a cucinare, a fare la maglia, le portavi con te, le aiutavi a fare i compiti, e mo’ è come se non esistessero più per te. Statt’ attient’ pecché primm’ o poi puoi perdere la loro confidenza e creare gelosie che in una famiglia finiscono sempre per far nascere guai.»
Quando le figlie gli chiedevano perché la mamma badasse solo a “lui”, Ernesto le tranquillizzava spiegando invano che la mamma, in quei giorni, era impegnata ad allattare e ad accudire il fratellino, ma che voleva sempre molto bene pure a loro. Anche lui però non riusciva a nascondere del tutto la sua gioia. Spesso si alzava dal suo banchetto da ciabattino e, facendo finta di cercare qualcosa sugli scaffali, andava a rimirare il figlioletto nella culla. Lo guardava a lungo e, non resistendo alla tentazione di accarezzarlo, si puliva le mani alla bell’e meglio sul grembiule e gli sfiorava il viso con leggerezza, per non fargli sentire la ruvidezza delle dita callose. Poi, soddisfatto, andava a sedersi di nuovo.
christine.ober
Bellissima storia di come due giovani possono vivere in questi 108 capitoli il loro amore.
Una poesia sull animo umano, sulle zone d’ombra, i confini e le insidie di questa cosa strana e indefinibile che si chiama AMORE.
diego.maniacco (proprietario verificato)
La storia d’amore dei due giovani protagonisti apre il racconto, incuriosisce e spinge nella lettura. Lentamente però Napoli prende il ruolo di protagonista. Esperienze personali emergono dalla vivace narrazione dell’avvento delle dittature in Europa prima, della Seconda Guerra Mondiale e delle violenze che la città e i suoi abitanti subiscono da fascisti, tedeschi e truppe americane poi. Diversi legami che ancora oggi relazionano Italia e USA vengono illuminati dalle brevi riflessioni che l’autore inserisce nel testo, senza mai appesantirlo. L’organizzazione del romanzo in oltre cento brevi capitoli narrati da diversi punti di vista fa pensare ad una scenografia pronta per andare in scena. Per concludere: un libro fresco ed attuale, che mescola elegantemente amore, sofferenza, eventi sociopolitici e profumi di sole e mare.
giulio.finzi (proprietario verificato)
Il profumo dei limoni di Capri è un vivido affresco di un periodo storico cruciale per la nostra storia, che riviviamo attraverso il racconto in prima persona di Vincenzo e Ornella, eroi minori di una tragedia più grande di loro. Particolarmente accurata la ricostruzione degli avvenimenti storici che fanno da sfondo alla storie personali dei protagonisti, senza però mai sovrastare lo sviluppo della trama o appesantire il ritmo della narrazione. Impossibile non aver voglia di andare subito a Capri dopo aver letto queste pagine, per ritrovare i luoghi, i colori e i profumi descritti nel romanzo.
Fabio Raffaelli (proprietario verificato)
Bel libro, curato sia nella forma (diversi sono i punti di vista che costituiscono la storia) che nel contenuto. Fa conoscere parte della storia di Napoli grazie allo sguardo di due giovani ragazzi che s’innamorano nonostante il contesto non favorevole.
Consigliato a chi piacciono le storie ambientate in un contesto reale.
ivanasavino-7181
Bellissimo romanzo cattura subito il lettore trasportandolo in un viaggio fatto di amore, lealtà,disperazione,cattivetia, volontà di emergere, narrato in una Napoli in guerra con fatti realmente accaduti che trasmettono il vissuto dell’epoca.
Matteo Daccordo (proprietario verificato)
Una storia d’amore sofferta in una Napoli in ginocchio per la guerra. Si intrecciano e si scontrano queste due realtà: l’amore giovane e acerbo dei protagonisti dovrà affrontare una realtà che non fa differenze morali o di età. Il tutto narrato con una prosa elegante ed evocativa.
Molto consigliato.
Maria Grazia Calvani (proprietario verificato)
Un romanzo dal sapore antico, dove parlano le voci dei due protagonisti, coinvolti loro malgrado nelle vicende della guerra. Ma protagonista del libro è soprattutto la città di Napoli, ferita a morte ma sempre capace di rialzarsi, anche nei momenti più difficili