Vestiva un paio di jeans blu aderenti ed una camicetta in cotone bianca. Dallo scollo intravide un top che da un lato nascondeva un seno prosperoso, dall’altro lo valorizzava. Un gran bel vedere.
Marco le strinse la mano in preda alla confusione. Così ripeté un po’ biascicando : — Sig.na Fonda? — Senza volerlo le aveva anche dato della signorina, come naturale conseguenza del fatto che non fosse sposata.
–Esatto.- Poi, inclinando un po’ la testa: –Aspettava qualcun altro, forse?
–No, no di certo. Molto piacere. – Aveva un leggero accento anglosassone. – Parla bene la mia lingua, complimenti!
–Grazie. Diciamo che… essendo sempre in viaggio, ho fatto di necessità virtù.
Marco chiuse la porta e si accomodarono entrambi al tavolo.
–Posso chiederle cosa la porta da queste parti?
–Ha ricevuto la comunicazione?
–Sì, poco fa. Abbastanza criptica direi.
Lei sorrise. – Ho necessità di consultare dei documenti le cui tracce mi hanno portato proprio qui.
–Quali?
–Quali documenti o quali tracce? – disse inclinando leggermente il capo.
–Entrambi, diciamo…
Intravide della curiosità nel suo interlocutore. Decise tuttavia di mantenere un profilo basso. Poi, in base all’evolversi degli eventi, avrebbe deciso le informazioni che avrebbe o meno condiviso. Allo stato delle cose non conosceva ancora il Professor Marco Rodio. Certo, aveva letto una scheda informativa su di lui che la sua agenzia le aveva fornito. Ma non puoi dire di conoscere una persona leggendo una scheda…
–Mi risulta che tra i documenti archiviati in questo istituto ve ne siano alcuni riguardanti Bonaparte.
–Napoleone Bonaparte? L’imperatore dei Francesi?
–Esatto.
— In un archivio dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia? – le disse con tono canzonatorio.
–Le sembra tanto strano?
–Non crede sia fuori luogo? Cosa le fa pensare di trovare quel che cerca proprio qui? Forse dovrebbe provare in un archivio storico.
–Oh, no. Credo invece di essere nel posto giusto.
Marco rimase perplesso. L’aveva punzecchiata per cercare di carpire ulteriori informazioni. Jane si era mantenuta sul vago. L’avrebbe portata a sbottonarsi di più sul perché era lì. Sbottonarsi… Un sorrisetto tradì i suoi pensieri.
–Cosa la diverte?
–Oh, nulla. Non ci faccia caso.
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La magione era una struttura dove malta, mattoni e cemento si fondevano col legno in un tutt’uno. Lasciarono le valigie nell’androne e raggiunsero una stanza con un grande camino e scaffali in rovere pieni di libri lungo tutte le pareti.
Al centro vi era un tavolo in legno massello, tutto intarsiato, con il piano ricoperto di pelle marrone. Ad illuminarlo un neon che pendeva dal soffitto. Vicino al camino spento, due divanetti e due poltroncine con un tavolino basso completavano l’arredo.
L’uomo si alzò da uno dei divanetti e andò loro incontro. –Bentornato ragazzo mio. Vieni qua. Riuscirai a sopportare l’abbraccio di un povero vecchio…
–Se mi prometti che ci andrai piano… — con un sorriso tra il felice ed il malinconico.
Il professor Anselmo Belotti aveva tra i settanta e gli ottanta anni. Almeno questa era l’impressione che ebbe Jane. Fisico asciutto, alto quanto Marco, brizzolato. I suoi occhi piccoli e scuri, dietro quegli occhialini da lettura rotondi, ti scrutavano fino al midollo. La stanza, con tutti quei libri, calzava a pennello con la sua immagine che irradiava acume e conoscenza.
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