La signora col carrello rosso
La signora col carrello rosso è morta, l’ho saputo oggi e mi è spiaciuto tanto. In effetti, non la conoscevo proprio, ma si sa, quando si vive in una città non molto grande, sembra sempre di conoscersi tutti, anche solo se ci s’incrocia qualche volta per strada: io non avevo nemmeno potuto incrociarla!
L’ho saputo dalla sua portinaia, Rosa, anzi no: Rosa l’ha detto a Gina che è la mia portinaia e lei l’ha riferito a me. Gina viene a casa mia due ore tutti i pomeriggi a fare i mestieri, così, nel frattempo, mi riferisce le morti, le nascite, i matrimoni, le corna e le separazioni di tutto il quartiere.
Mi ero affezionato alla signora col carrello rosso: non ci avevo mai fatto caso a quella donnina piccina che sembrava soccombere a un carrello della spesa più grande di lei, poi una mattina l’ho vista uscire dal portone della casa dall’altra parte della strada. Sarà stato circa un anno fa: la mia colazione inizia tutte le mattine alle 7,30 con uno yogurt tassativamente allo 0,1% di grassi. Mi piace gustarlo davanti alla finestra: allungo un po’ il collo e, cucchiaino dopo cucchiaino, mi riconcilio con la vita, guardando giù in strada la gente che già si è riavvitata nella realtà di tutti i giorni.
Quel mattino la vidi uscire: era la prima volta e non ci feci molto caso, ricordo solo di essermi domandato perché andasse col carrello della spesa dalla parte opposta dei negozi.
Il carrello, quasi più grande di lei, ma ancor più magro, la seguiva docile: faceva pochi passi e si fermava vicino al cassonetto della monnezza. I primi tempi, non essendo concentrato su di lei, mi guardavo intorno come solito: avevo notato quella sua fermata nelle vicinanze del cassonetto e avevo pensato che, come molte persone anziane, barboni o nomadi, le piacesse rovistare alla ricerca di chissà che.
Quando mi decisi a osservarla meglio, notai che no, non si fermava per rovistare: il carrello rosso passava rasente al cassonetto, la signora si fermava un momento e poi proseguiva. Era come un balletto, con tutti i passi prestabiliti: il cassonetto sotto casa, fermata, il palo della luce avanti dieci metri, fermata, lo spigolo del palazzo, fermata, e poi scompariva dietro l’angolo. Dieci secondi di fermata e poi via, strattonando il carrello come se le ruote fossero bloccate e non volesse seguirla.
Fu senza dubbio il carrello rosso ad attirare sempre più la mia attenzione, piano piano iniziai a seguirla con maggior concentrazione, sempre dalla mia finestra: appena usciva da casa il cucchiaino con lo yogurt si bloccava a mezz’aria e lì rimaneva fermo e immobile fino a quando la signora non scompariva dietro l’angolo. Solo a quel punto riprendevo la mia colazione: e, mentre mangiavo, la mente restava ancora occupata dalla signora col carrello rosso.
All’inizio provavo come un certo disagio, poi capii che non era disagio, ma era l’insensatezza del gesto che mi dava fastidio. Un giorno finalmente la mia mente arrivò al punto chiave: fu quando, alzatomi più tardi del solito e avendo fatto colazione senza vederla uscire, la notai mentre tornava qualche minuto prima delle otto, sempre seguita dal docile carrello rosso, sempre ineluttabilmente magro e vuoto. La domanda fondamentale era semplice: perché usciva tutte le mattine poco dopo le sette e mezzo col carrello vuoto, andava in direzione dei giardinetti, dove non ci sono negozi, e se ne tornava dopo nemmeno mezz’ora sempre col carrello vuoto? Perché a quell’ora, visto che nel nostro quartiere tutti i negozi aprono dopo le otto?
Un dubbio attraversò la mia mente: “E se ci fossero dei negozi che non conosco e che aprono prima delle otto?” Nello stesso momento in cui mi feci questa domanda, mi diedi dello stupido: il carrello tornava sempre vuoto, così com’era uscito dal portone. Un giorno presi il vecchio binocolo di famiglia che usava mio nonno quando andava alle corse di cavalli: niente, guardai con attenzione le pieghe all’andata e poi al ritorno, niente di niente… il carrello non era stato aperto!
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Ammetto di essere metodico e non potrebbe essere diversamente vista la mia condizione: tutte le giornate sono legate a un metabolismo svizzero cui ho dato mano libera e che mi condiziona. Così normalmente alle otto della sera ascolto le notizie alla radio: le preferisco rispetto ai telegiornali, sono più essenziali e posso immaginare fatti e situazioni come voglio senza lasciarmi influenzare dalle immagini.
Una sera però mi trovai per caso vicino alla finestra ed erano da poco passate le otto: era forse un inizio di primavera, i primi giorni di aprile. Ciò che vidi ebbe l’effetto di farmi cambiare un poco le mie abitudini: la signora col carrello usciva anche la sera tirandosi seco il rosso vuoto “compagno”. Decisi di tenerla sotto controllo per alcuni giorni, mentre la radio cercava inutilmente di richiamare la mia attenzione sulle notizie dal mondo: tutto uguale a ciò che avveniva al mattino! Cassonetto sotto casa, fermata, il palo della luce avanti dieci metri, fermata, lo spigolo del palazzo, fermata e poi scompariva dietro l’angolo. Tutte le sere, come tutte le mattine. E soprattutto sempre quando i negozi erano chiusi.
La signora col carrello rosso è morta: anche stasera la radio cercherà inutilmente di attirare la mia attenzione con notizie che non possono cambiare la mia vita, mentre i miei occhi guarderanno fuori dalla finestra aspettando inutilmente di vedere una piccola donna col suo “amico” carrello uscire dal portone. La mia portinaia era di fretta oggi, così mi ha detto che domani mi racconterà un po’ di cose: so già che dormirò male stanotte.
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Stamattina ho fatto colazione fissando il portone di fronte bardato a lutto: finito lo yogurt, ho preso il piccolo binocolo di mio nonno e ho cercato di leggere il nome della donna col carrello rosso sul cartello delle pompe funebri. Anna, si chiamava Anna, il cognome era più difficile da leggere, ma non ne valeva la pena, Anna era più che sufficiente.
Niente, non ho combinato niente tutta la mattinata, ho cercato di leggere un po’, ma dopo poche righe alzavo lo sguardo che andava alla finestra: aspettavo con trepidazione che arrivasse il pomeriggio e che con esso salisse Gina; non m’interessava che facesse i mestieri, la casa poteva attendere, volevo mi raccontasse tutto ciò che sapeva.
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E Gina finalmente è arrivata: sono in corridoio ad attenderla sulla mia carrozzella, condannato da ormai troppo tempo, in attesa direttamente davanti alla porta d’entrata.
“Non si lavora oggi, signor Scrittore?” mi domanda, stupita di trovarmi lì: d’altro canto alle tre del pomeriggio io sono sempre nello studio e lei entra autonomamente con il suo mazzo di chiavi.
“Gina, secondo lei, come faccio a lavorare sapendo che mi ha promesso di raccontarmi la storia della signora morta nel palazzo di fronte?”
“Già, ma è strano: lei non mi è mai sembrato avere l’animo del pettegolezzo come noi portinaie… cos’è? Adesso pensa di rubarmi il mestiere sostituendomi nella guardiola?” e scoppia a ridere come solo le donne di un certo peso e stazza sanno fare, mentre ci spostiamo in salotto.
Arrivati, mi volto e le sorrido. “Sarei di poca utilità in guardiola: ma ora non pensi ai mestieri, si sieda sulla poltrona e mi racconti quello che sa!”
Gina è sorpresa, guarda la poltrona che mille volte ha spolverato, vista la sua palese inutilità in una casa dove raramente entrano ospiti; poi si volta e domanda “Sì, ma mi paga lo stesso come se i mestieri li avessi fatti, vero?”
“Stia tranquilla, il suo tempo è sempre prezioso per me, ma ora racconti!” L’attesa è stata lunga e ora mi sta snervando.
Le pesanti terga della portinaia si adagiano sulla poltrona con un’inusitata leggerezza e oserei dire una certa eleganza.
“Allora cosa vuole sapere?” dice fissandomi.
“Gina non perda altro tempo e mi racconti tutto ciò che sa!”
La mia frase è accolta con un momento di silenzio: per Gina è un’ occasione importante di gratificazione personale, da vivere con una certa emozione… incredula che una semplice portinaia possa assumere un tal valore per uno scrittore. Non sa l’importanza che le portinaie hanno avuto nelle opere di molti famosi scrittori del passato.
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“Dunque… si chiamava Olimpia e…” il racconto di Gina inizia subito con un colpo di scena.
“No aspetti, in che senso Olimpia? Mi risulta che si chiamasse Anna…”
“Come fa a sapere che il suo vero nome era Anna? Da qui è impossibile leggere il cartello che hanno affisso al portone di fronte quelli delle pompe funebri”. Adesso è Gina ad essere sorpresa.
“Ho miei trucchi, trucchi da handicappato: un vecchio binocolo di mio nonno” confesso.
Gina ride. “Per un momento ho pensato che avesse mandato qualcuno a vedere, per capire se quello che le raccontavo era vero o no.”
“Ma no! Tranquilla!” la rassicuro sorridendo.
“Dunque… in effetti, si chiamava Anna Palizzi, ma tutti la conoscevano con il soprannome di Olimpia: sembra che da giovane avesse partecipato alle Olimpiadi, ecco il perché di quel soprannome. Da circa trent’anni si era stabilita nella nostra città: sembra ci sia venuta a vivere qui una volta andata in pensione. Non si sa dove fosse nata e non risulta fosse mai stata sposata, ma ha lavorato per parecchi anni prima come postina poi come impiegata delle poste in città, prima di venire in provincia: sembra che fosse famosa per il fatto di sbagliare a dare il resto alla gente.”
“In che senso?”
“Sì, quando dava il resto sbagliava a far di conto: pare che fosse una specie di malattia.”
“Ah! Sì! Forse aveva la discalculia…”
“Disché?”
“La discalculia è una malattia… come quando uno che non riesce a leggere bene si dice che ha la dislessia” le spiego.
“O’ mamma! Allora è quella che ha il nipote di Rosa, il figlio della sorella della portinaia di fronte”.
“Va bene, ma vada avanti se no stiamo qui fino a domani!” sono sempre più impaziente di saperne di più sulla signora dal carrello rosso.
“Però, comoda la poltrona! Viene voglia di star qui seduti per ore!” dice sorridendo.
“GINA! Andiamo avanti!”
“Come disse qualcuno “obbedisco”! Allora Olimpia-Anna partecipa chissà quando alle Olimpiadi e poi viene giù in città a fare prima la postina e poi l’impiegata delle poste, infine va in pensione e con la liquidazione compra la casa della vedova dell’ex sindaco, Carlotta Benedetto. Vive da sola con un gatto che chiamava Tobia: una vita tranquilla, andava a passeggiare nel parchetto qui vicino, andava a fare la spesa…”
“Col carrello rosso…” aggiungo io.
“No! Il carrello rosso è venuto dopo!”
“Dopo cosa?”
“Dopo il secondo Tobia!”
“No, aspetti Gina, non la seguo… aveva il gatto che si chiamava Tobia…”
“Che è morto! Sa la vecchiaia…”
“Ah! Certo, certo… ma poi ne ha preso un altro che ha chiamato anche lui Tobia” dico io, ipotizzando.
“No, il secondo Tobia era un cane, un cocker completamente rintronato.”
“Ah ecco, un cane… che strano un cane, normalmente, chi ha un gatto continua con i gatti.”
“E invece no, lei si prende un cane, il cane in rosso.”
“Aspetti un momento Gina! Adesso non capisco più niente! Aveva un gatto, Tobia, muore e si compra un cane che chiama Tobia come il gatto, un cocker rosso… non ho mai visto un cocker rosso!”
“Non ho detto che era un cane rosso, ho detto “in rosso”!”
“In che senso ‘in rosso’? Il cane aveva un conto in banca?” ormai mi sono perso tra cani, gatti e Tobia.
“Ah! Ah! Spiritoso!” Gina ride. “I primi tempi si vedeva in giro con Tobia-cane, così come si vede in giro chiunque col cane, andava a destra, a sinistra, di qua, di là con lo stupido quadrupede, due volte al giorno. Poi un bel giorno ha iniziato a mettergli una specie di cappottino rosso…”
“Rosso? Come il carrello?”
“Ah! L’ha notato anche lei che ultimamente aveva il carrello rosso?”
“Se siamo qui a parlare di Olimpia-Anna è proprio per via del carrello rosso, gliel’ho già detto prima” rispondo.
“Giusto! Ecco… comunque ha iniziato a mettere sti cappottini e impermeabilini rossi al povero Tobia: ne parlavamo ieri con Rosa, la sua portinaia, deve aver iniziato quando ha incominciato a farle visita il “nano”.”
“Oh! Signore! Chi è ‘sto nano adesso?” non ero preparato a tutto ciò, pensavo a una storia lineare, ma qui tra gatti, cani “rossi” e nani si stava andando nel grottesco.
“Ah! Chi può dirlo! Rosa mi raccontava che si era presentato come un lontano nipote di Olimpia. Passava tutte le settimane e le portava la spesa, o almeno le cose più importanti. Così diceva lei…”
“La spesa? Non andava col carrello rosso a fare la spesa?” Nemmeno il tempo di riprendermi da una stranezza e zac, compare qualcosa ancora più insensato.
“Visto che mi ha detto che aveva notato il carrello rosso le faccio una domanda: l’ha mai visto pieno quel carrello?” anche Gina l’aveva osservato.
“Certo che l’ho notato, il carrello rosso sempre vuoto… e sempre a spasso con il carrello in orari in cui i negozi sono chiusi!”
“Ha notato anche questo, bene! Vede che ho ragione quando dico che sarebbe un’ottima portinaia. Comunque mi sta facendo venire il torcicollo: da quando sono qui seduta, non è stato fermo un momento con la carrozzella!”
“Ha ragione mi scusi: come tutti, quando sono nervoso, vado su e giù nella stanza, solo che io posso farlo solo sulle mie ruote.”
“Non volevo offenderla: d’altro canto vedo che si ferma spesso alla finestra a guardare di sotto… penso sia un bel diversivo per lei che non esce quasi mai.”
“No, tranquilla, ci mancherebbe… ma torniamo a Olimpia-Anna.”
“Ah, Sì! Certo! Dove ero rimasta? Dunque, il nano, sì e il cane, Tobia, vestito di rosso! Da quel momento ha notato niente?”
“In che senso? Io la signora ho iniziato a notarla quando usciva col carrello… prima era solo una delle tante persone che portavano fuori il cane, vestito o meno.”
“Allora le dico io una cosa: da quando ha iniziato a vestire il cane di rosso, ha iniziato ad andare solo a sinistra, si fermava a fargli fare la pipì dove c’è il cassonetto, poi si fermava al palo della luce, all’angolo e il cane ne faceva un po’ anche lì, poi spariva.”
“Come spariva? Dove andava?”
“Andava ai giardinetti, si sedeva su una panchina e aspettava.”
“Aspettava chi?”
“Dei giovanotti!”
“Aspettava dei giovanotti? Alla sua età? Ah! Giusto! Che età aveva?”
“Quasi ottantasei! Era ancora in gamba per la sua età, d’altro canto una volta noi donne si andava in pensione presto, a cinquantacinque anni.”
“Eh, sì! Bei tempi allora… ma lei come fa a conoscere tutte queste cose?” in effetti, ero sorpreso che potesse sapere perfino chi incontrava al parchetto, dovendo stare quasi tutto il giorno in guardiola, a fare le pulizie del condominio e su da me a tenere a posto la casa.
“Portinaie Connection!” e ride di gusto all’utilizzo di questa parola straniera. “La nostra amica e collega Giovanna fa la portinaia proprio nel palazzo di fronte al parchetto: la prima cosa che fa il mattino è scopare la scala e la vedeva spesso dalle finestre che ci sono ogni metà piano, affacciate proprio sul parchetto. Dice che si sedeva sulla panchina e sembrava sempre che aspettasse qualcuno: di solito arrivavano dei ragazzi, qualche volta una ragazza, si sedevano al suo fianco, ma se ne andavano quasi subito.”
La marcia trionfale dell’Aida risuona nel mio salotto: non ne sono sorpreso, altre volte l’ho sentita rimbombare in casa mentre Gina fa i mestieri in casa, è la suoneria del suo cellulare. Risponde.
“Sì…! O mamma!” si alza di scatto “Arrivo subito!” è già in corridoio mentre la inseguo come posso con la carrozzella “Mi ha chiamato la signora Genzini del quarto piano… mi sono scordata aperta l’acqua per le piante dell’attico, in cortile c’è il diluvio universale, corro, ci vediamo domani!”
Il mio “Come domani?” è sovrastato dal rumore della porta d’entrata che si chiude fragorosamente alle spalle di Gina.
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“Buonasera! Questo il riassunto delle principali notizie del nostro giornale…”
Sono le otto di sera, la radio è accesa e io sono alla finestra: guardo la strada illuminata dai lampioni e dal faro posto sopra il portone di fronte. Lo so che non uscirà nessuno, tutti sono a casa a mangiare, gli orari in questa città sono sacri.
“Politica interna: il premier…”
E così la chiamavano Olimpia per via del fatto che aveva partecipato alle Olimpiadi: quando Gina è scappata a gambe levate, mi sono domandato se mai avremmo saputo in che disciplina aveva gareggiato, così ho iniziato la mia ricerca sul computer.
“Passiamo ora alle notizie dal Medio Oriente…”
Per quanti sforzi abbia fatto non ho trovato in nessun elenco di partecipanti alle Olimpiadi il nome di Anna Polizzi: niente di niente, non dico tra i vincitori delle medaglie, ma nemmeno nelle gare di qualificazione o nelle semifinali. Niente. Chissà com’era nata questa storia: forse trovava il suo nome banale e aveva semplicemente pensato di farsi chiamare con un nome che le piaceva di più.
“Per le notizie sportive passiamo ora la linea…”
La storia di Tobia, prima gatto e poi cane, quasi una storia di animali mitologici in questa metamorfosi… e poi il rosso dei cappottini di Tobia-cane, povera bestia, costretto a portarlo tutte le stagioni, col caldo e col freddo, il cane in rosso come il carrello…
“Passiamo ora la linea per le previsioni del tempo…”
Cane rosso, carrello rosso, cane, carrello, rosso e rosso… ecco! Come un fulmine che illumina il cielo notturno! Povera donnina! Con il cane aveva preso l’abitudine di uscire due volte al giorno per fargli fare i bisogni, cassonetto sotto casa, fermata, il palo della luce avanti dieci metri, fermata, lo spigolo del palazzo, fermata e poi scompariva dietro l’angolo, persino il leggero strattonamento come quando Tobia-cane non si voleva staccare da qualcosa che stava studiando col suo fine olfatto.
Forse con l’età non se la sentiva di sostituirlo con un’altra creatura e così si è comprata un carrello, rosso naturalmente… e ha continuato come se nulla fosse con la sua abitudine di uscire due volte al giorno, cassonetto sotto casa – fermata – il palo della luce avanti dieci metri – fermata – lo spigolo del palazzo – fermata – e poi scompariva dietro l’angolo per andare al parco a chiacchierare con i giovanotti, che ormai la conoscevano. Tanto la spesa gliela portava il nipote nano: chissà che fatica faceva… e povero anche il nano!
chiarabertola
«Scrittore buongiorno!
“Noi prima di noi” è un piccolo capolavoro e “Riunione di Condominio” geniale! Amo tutti i tuoi personaggi! Vorrei svegliarmi tutte le mattine leggendo un tuo racconto. Le giornate sarebbero decisamente migliori!»
Questa recensione non è mia, ma di mia mamma Monica Zanalda che ha potuto leggere il libro in anteprima…
Purtroppo ci ha lasciati troppo presto… a fine maggio di quest’anno… ma ci avrebbe tenuto a dare questa testimonianza…
f.bertif
“Quante storie, mio scrittore” può essere definito come l’evoluzione del noir verso una narrazione che unisce il torbido ad un intelligente umorismo. Là dove Simenon ci lascia con il dubbio e una sensazione di nebbiosa inquietudine, Gandini si riaggancia e va oltre, offrendoci scorci di insospettate quotidianità, misteri urbani e misfatti della porta accanto, ma il tutto con grande ironia e senso di familiarità, che fa venire voglia di farsi invitare a prendere un the con i pasticcini dallo Scrittore, ovviamente servito dall’inarrestabile Gina. Un consiglio: non leggetelo in treno! Anni fa, immersa nella lettura di un racconto di Gandini, non sono scesa alla mia fermata, dovendo poi tornare indietro con un altro treno, e perdendo in totale un paio d’ore per un viaggio di appena venti minuti!
guendalina.giurato (proprietario verificato)
“Libro stupendo, allegro e fantasioso. Ogni storia ti strappa almeno un sorriso e un oh di sorpresa. Super consigliato per tutte le età. Dovrebbe essere un privilegio di tutti poter vivere personalmente almeno una di queste storie. Il mio personaggio preferito è Gina, pagherei oro per averla come vicina di casa. Un gioiellino da leggere e rileggere!
Grazie Mio Scrittore per le tue storie!”
elena.marta (proprietario verificato)
“Gentile Mauro ho finito ora di leggere il suo libro: veramente molto molto bello complimenti! Oltre allo stile – che le invidio un po’, in senso buono – la storia è proprio bella e sorprende sempre – come piace a me! Adoro Gina!”