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Quella maledetta vacanza in alta quota

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Quando il commissario Bianchi interroga Alma Gori e Tommaso Sava, capisce che quella che i ragazzi hanno vissuto non è stata una semplice settimana bianca: qualcosa di terrificante si nasconde dietro la facciata dell’hotel Belvedere Astori. I due ragazzi riportano il commissario fra le montagne di Livigno, facendogli vivere, attraverso i loro spaventosi racconti, l’orrore che hanno affrontato e la fatalità che ha colpito il loro migliore amico Bryan, bruciato vivo in un fuoco nato direttamente dall’Inferno. Bianchi ripercorre insieme a loro quei giorni, venendo a conoscenza di uno spirito inquieto che si nasconde fra quelle mura, di segreti tenuti nascosti per anni e di sette regole non scritte che, una volta infrante, portano a ridosso di un baratro che odora di pericolo e morte.

PROLOGO

Il commissario Bianchi fissava la fotografia di quel gruppo di ragazzi senza trovare le parole giuste per spiegare l’angoscia che, solo facendo scorrere le dita sopra ai loro visi allegri, si sentiva nascere proprio al centro del petto. La foto era stata scattata in mezzo alla neve soffice e bianchissima di Livigno, la conosceva bene, nessun sciatore esperto avrebbe potuto confondersi. Ma ciò che attirò lo sguardo del commissario fu lo sguardo di Bryan Brandi.

Che cosa era successo? Cosa non avevano cercato nel modo giusto? Quali domande andavano fatte?

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Posò la fotografia e passò a rileggere il biglietto anonimo che gli era stato recapitato qualche giorno prima, scritto in corsivo sulla carta siglata con il logo dell’hotel Belvedere Astori. Gli vennero i brividi come la prima volta che l’aveva letto, e ancora ebbe la netta sensazione che, per quanto inquietante fosse, il biglietto avesse ragione.

Non è che avessero cercato nel posto sbagliato, il problema era che non avevano fatto le domande alle persone giuste.

Spinto da un nuovo, speranzoso, impulso, il commissario Bianchi alzò la cornetta del telefono e chiamò nel proprio ufficio il suo braccio destro. Era un ragazzo giovane, ancora piuttosto inesperto, ma estremamente sveglio e perspicace. Gli bastò un’occhiata del proprio superiore per capirne le intenzioni.

«Convochiamo i due ragazzi citati nel biglietto?»

Il commissario si sentì invadere da un misto fra orgoglio e soddisfazione; aveva fatto bene ad avvicinarsi così tanto quel nuovo ragazzo; avrebbe fatto strada. «Sì, saranno sicuramente ancora molto scossi ma abbiamo bisogno di loro. Convocami per il primo pomeriggio di oggi Alma Lia Gori e Tommaso Sava.» Prima che il ragazzo uscisse dalla stanza, Bianchi lo chiamò di nuovo. «Non spaventarli, fai in modo che questo sembri un semplice colloquio.»

«Non devo dire del biglietto, quindi.»

«No, non dire del biglietto.» Bianchi deglutì, improvvisamente terrorizzato. Tanti anni di esperienza non erano niente in momenti delicati come quelli e la verità, che non avrebbe mai confessato davanti al suo giovane braccio destro, era che temeva il momento in cui Alma e Tommaso l’avrebbero guardato dritto negli occhi.

La tristezza dei giovani faceva paura al commissario Bianchi, perché era un sentimento che sapeva prendere fuoco, con conseguenze drammatiche.

***

Era un sabato di pioggia. Gli studenti universitari di quella piccola città, poco lontana da Firenze, non andavano a lezione, quindi fu facile avere lì Alma e Tommaso. Arrivarono in due macchine diverse che parcheggiarono a poca distanza l’una dall’altra e dalle quali scesero prima i genitori, poi i due ragazzi. Ma era come se non ci fossero, tanto erano persi in loro stessi.

Di Alma quasi non si vedeva il volto. Era vestita di nero da capo a piedi, il cappuccio di pelo di un piumino calato sulla testa e i suoi capelli corvini le svolazzavano sulla faccia senza che lei si prendesse la premura di spostarli. I due adulti che scesero dalla sua stessa macchina la guardarono, poi si guardarono fra loro e scossero la testa con sguardi tristi e desolati. Infine, presero Alma sotto braccio e l’accompagnarono fin dentro il commissariato aprendole un ombrello sopra la testa.

Alma non se ne accorse nemmeno; sembrava che piovesse dentro di lei.

Tommaso scese solo quando Alma fu dentro l’edificio, non si scoprì mai se l’avesse fatto apposta per non doverla affrontare faccia a faccia. Lui non si era più fatto la barba da quand’era tornato dalla settimana bianca, da quel viaggio maledetto, una settimana prima, e anche i suoi capelli erano tutti spettinati.

Sul viso giovane si leggeva un’angoscia profonda e difficile da spiegare.

Il primo sguardo fra i due avvenne nell’ufficio del commissario Bianchi e fu proprio lui a percepire l’atmosfera mutare nel momento in cui gli occhi verdi di lei scrutarono quelli nerissimi di lui, che al contrario la violentarono. Quello sguardo risucchiò tutta l’energia presente nel piccolo ufficio, tanto che il commissario venne percosso da un forte brivido.

Da quanto tempo non reagisco come loro, alla vista di una persona? Da quanto non vengo scosso da emozioni così intense?

Alma e Tommaso non parlarono fra loro, ma si mostrarono educati nei confronti del commissario, che li accolse e li fece sedere uno di fianco all’altra, davanti alla propria scrivania. Alma fece scivolare giù il cappuccio del piumino che poi, aiutata dalla donna che l’aveva accompagnata, tolse del tutto.

Il maglione che indossava sotto era bianco con delle scritte nere, ma troppo grande per lei. Era una capo da maschio, non di certo per una ragazza graziosa e bellissima come sembrava esser lei.

Colto da un’inquietudine crescente e improvvisa, Bianchi ipotizzò che la felpa indossata da Alma fosse di Bryan Brandi.

«Ragazzi, mi dispiace molto per quanto accaduto» cominciò l’uomo, leggermente a disagio. «E mi dispiace anche avervi fatto venire qui, ma avrei bisogno di sapere da voi tutto ciò che è successo durante quei giorni, e credo che solo voi possiate aiutarmi.»

Silenzio.
«Avete voglia di dirmi come sono andate le cose?»

Un altro silenzio, prima che Tommaso prendesse parola. Guardava il commissario con una leggera diffidenza, ma gli occhi rimanevano sempre molto malinconici e sfuggenti. In quelli verdi di Alma, Bianchi lesse invece una fortissima rabbia, un’energia singolare.

«Sì, lo voglio fare» mormorò il ragazzo, torturandosi le pellicine attorno al pollice. Lo fece con una violenza tale da farsi venire fuori sangue, quindi la madre corrucciò il viso in una smorfia di apprensione e gli accarezzò i folti capelli scuri.

Alma tossicchiò, lanciò un brevissimo sguardo a Tommaso che, come richiamato, si voltò verso di lei. Il tutto durò pochissimi secondi, ma ancora una volta Bianchi riuscì a percepire qualcosa di viscerale fra i due. Un dettaglio che, di nuovo, lo sconvolse; non pensava che i giovani fossero ancora capaci di vivere così intensamente le loro esperienze di vita.

«Va bene. Racconterò la mia versione dei fatti» rispose Alma, drizzando la schiena, con un tono posato e cordiale malgrado ciò che le stava bruciando nelle iridi vivaci.

 

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Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Un libro da leggere a tutte le età. Fresco, coinvolgente e scritto molto bene.

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Silvia Perin
nasce a Vittorio Veneto nel 1998. È laureata in Psicologia, ma è fortemente e da sempre appassionata di libri, in particolare dei generi thriller e giallo. Scrive il suo primo romanzo, Quella maledetta vacanza in alta quota, ispirandosi a uno strano viaggio vissuto da adolescente.
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