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Era un sabato di pioggia. Gli studenti universitari di quella piccola città, poco lontana da Firenze, non andavano a lezione, quindi fu facile avere lì Alma e Tommaso. Arrivarono in due macchine diverse che parcheggiarono a poca distanza l’una dall’altra e dalle quali scesero prima i genitori, poi i due ragazzi. Ma era come se non ci fossero, tant’erano persi in loro stessi.
Di Alma non si vedeva quasi il volto. Era vestita di nero da capo a piedi, il cappuccio di pelo di un piumino calato sulla testa ed i suoi capelli corvini le svolazzavano sulla faccia senza che lei si prendesse la premura di spostarli. I due adulti che scesero dalla sua stessa macchina la guardarono, poi si guardarono fra loro e scossero la testa con sguardi tristi e desolati. Infine, presero Alma sotto braccio e l’accompagnarono fin dentro il commissariato aprendole un ombrello sopra la testa.
Alma non se ne accorse nemmeno; sembrava che piovesse dentro di lei.
Tommaso scese solo quando Alma fu dentro l’edificio, non si scoprì mai se l’avesse fatto a posta per non doverla affrontare faccia a faccia. Lui non si era più fatto la barba da quand’era tornato dalla settimana bianca, da quel viaggio maledetto, una settimana prima, ed anche i suoi capelli erano tutti spettinati.
Sul viso giovane si leggeva un’angoscia profonda e difficile da spiegare.
Il primo sguardo fra i due avvenne nell’ufficio del commissario Bianchi e fu proprio lui a percepire l’atmosfera mutare nel momento in cui gli occhi verdi di lei scrutarono quelli nerissimi di lui, che al contrario la violentarono. Quello sguardo risucchiò tutta l’energia presente nel piccolo ufficio, tanto che il commissario venne percosso da un forte brivido.
Da quanto tempo non reagiva come loro, alla vista di una persona? Da quanto non veniva scosso dalle loro stesse intense emozioni?
Alma e Tommaso non si parlarono tra loro, ma si mostrarono educati nei confronti del commissario che li accolse e li fece sedere uno di fianco all’altra, davanti alla propria scrivania. Alma fece scivolare giù il cappuccio del proprio piumino che poi, aiutata dalla donna che l’aveva accompagnata, tolse del tutto.
Il maglione che indossava sotto era bianco con delle scritte nere, ma troppo grande per lei. Era una felpa da maschio, non di certo per una ragazza graziosa e bellissima come sembrava esser lei.
Colto da un’inquietudine crescente ed improvvisa, Bianchi ipotizzò che la felpa indossata da Alma fosse di Bryan Brandi.
«Ragazzi, mi dispiace molto per quanto successo» cominciò l’uomo, leggermente a disagio. «E mi dispiace anche per avervi fatto venire qui, ma avrei bisogno di sapere da voi tutto ciò che è successo durante quei dieci giorni, e credo che solo voi possiate aiutarmi».
Silenzio.
«Avete voglia di dirmi come sono andate le cose?».
Un altro silenzio, prima che Tommaso prendesse parola. Guardava il commissario con una leggera diffidenza, ma gli occhi rimanevano sempre molto malinconici e sfuggenti. In quelli verdi di Alma, Bianchi lesse invece una fortissima rabbia, un’energia singolare.
«Sì, lo voglio fare» mormorò il ragazzo, torturandosi le pellicine attorno al pollice. Lo fece con una violenza tale da farsi venire fuori sangue, quindi la madre corrucciò il viso in una smorfia di apprensione e gli accarezzò i folti capelli scuri.
Alma tossicchiò, lanciò un brevissimo sguardo a Tommaso che, come richiamato, si voltò verso di lei. Il tutto durò pochissimi secondi, ma ancora una volta Bianchi riuscì a percepire qualcosa di viscerale fra i due. Un dettaglio che, di nuovo, lo sconvolse; non pensava che i giovani fossero ancora capaci di vivere così intensamente le loro esperienze di vita.
«Va bene. Racconterò la mia versione dei fatti» rispose Alma, drizzando la schiena, con un tono posato e cordiale malgrado ciò che le stava bruciando nelle iridi vivaci.
Ciò che era successo aveva colpito in maniera differente i due ragazzi, ma ci doveva pur essere un particolare che li accumunava. Bianchi, a dirla tutta, fremeva segretamente dalla voglia di sapere che cosa ci fosse stato fra i due, ma poi si ricordò di non essere uno psicologo e di doversi basare solo sulle informazioni razionali ed episodiche che i ragazzi avrebbero fornito.
Dopo che Alma ebbe accettato di raccontare la storia, il padre fece al commissario un cenno modesto sopra la sua testa. Bianchi capì subito volesse parlargli in privato, così si scusò con i due ragazzi e scivolò fuori dall’ufficio insieme all’uomo.
«Io mi chiamo Antoine» si presentò quest’ultimo.
«Lei è il padre di Alma?» chiese Bianchi, per rompere il ghiaccio e poi anche perché l’altra parte della coppia sembrava davvero troppo giovane per esserne la madre.
Difatti, codesto scosse la testa. «Matilde era la babysitter di Alma e poi, quando è rimasta orfana, l’ha adottata. Io sono il suo compagno solo da qualche anno, ma tengo moltissimo ad Alma» spiegò, poi andò subito al sodo. Si percepiva il suo coinvolgimento affettivo nella storia. «E vorrei chiederle di interrogare i due ragazzi separatamente…».
«E perché mai?». Non era una richiesta così strana, ma il commissario voleva saperne il più possibile.
Antoine abbassò la voce, come a voler confidare un segreto. «Tommy ha una fortissima influenza su Alma, l’ha sempre avuta, e devo ancora capire se questa cosa mi piaccia oppure no».
«Questa cosa c’era già da prima che partissero per quel viaggio?».
Antoine sospirò. «Sì, temo di sì».
I due ragazzi vennero separati e ciò al quale il commissario Bianchi si trovò ad assistere fu un’altra scena strappacuore di due anime, probabilmente un tempo complici, che venivano strappate via una dall’altra. Quando Alma fu fatta alzare per essere portata nell’altra stanza ed essere interrogata, Tommaso sembrò riprendere vita, la seguì con lo sguardo affranto fino a che la porta venne chiusa nuovamente. Quando si trovò di nuovo solo, la sua malinconia si fece così intensa che venne percepita forte e chiara anche da Bianchi. Gli venne voglia di avvicinarsi a Tommaso e sussurrargli che tutto sarebbe passato, invece imboccò la strada della razionalità; prese il registratore dal primo cassetto e l’azionò.
«Sei pronto?».
Tommaso deglutì. La mascella stretta sotto la barba castana. «Sì, cominciamo».
«Bene, allora comincia pure a raccontarmi la tua storia dal primo giorno. Dal 26 dicembre, quando siete partiti per Livigno».
Nell’altra stanza il procedimento fu lo stesso per Alma. Da quando era stata portata via da Tommy, la ragazza aveva cominciato a non stare più bene. Se fino a prima era riuscita a nascondere il suo dolore sotto agli occhi di una tigre ed agli abiti neri, quando si trovò da sola con un altro poliziotto, una psicologa del tribunale ed i genitori adottivi, Alma non seppe più controllarsi.
«Sei pronta?» le venne domandato.
Prima di rispondere, la ragazza afferrò la mano di Matilde e la strinse così forte che la donna si contorse. Una lacrima scorse sul viso dolce di Alma, lei l’asciugò in fretta e poi, con un sangue freddo che recuperò in qualche angolo di sé stessa, iniziò il suo racconto partendo da ottobre.
Il poliziotto la lasciò fare, perché sapeva che le cose sarebbero venute fuori da sole, una dopo l’altra. Evidentemente, in cuor suo, Alma aveva cominciato quel viaggio molto prima rispetto a tutti gli altri.
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