“Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei…”. Silvia piangeva. “Certe notti la strada non conta…”. Era distrutta. “Quello che conta è sentire che va…”. Era la sua vita che non andava. “Certe notti la radio che passa Neil Young…”. Sarebbe stato meglio Neil Young. “Sembra avere capito chi sei…”. No, nessuno capiva il suo dolore. “Certe notti somigliano a un vizio che tu non vuoi smettere, smettere mai…”. Spense la radio. “Non smettere mai di piangere, ecco di cosa” pensò. Si sedette sul letto asciugandosi le lacrime. Perché si innamorava sempre delle persone sbagliate? Eppure non andava a cercarsele. Simone era sembrato un tipo a posto. Lui l’aveva chiesto a lei e lei ci si era messa. E si era innamorata. E era stata tradita. Cadde con la testa nel cuscino. Con la faccia affondata lo prese a pugni. Le lacrime avevano ricominciato a scorrere inarrestabili. Ma le lacrime non lavano le ferite. Non quel tipo di ferite.
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“Silvia…” chiese timidamente sua sorella Elena dalla porta. “No, non voglio sentire nessuno. Chiunque sia non ci sono”. “Nemmeno se sono io?” chiese Simone mentre Elena se la dava a gambe. Lei alzò di scatto la testa. “Vattene” sibilò. Simone non si mosse. “Vattene ho detto” ringhiò. Simone si avvicinò. “Vattene all’istante!” abbaiò. “Silvia…”.“Sei solo un figlio di puttana, ti spaccherei la faccia. Potevi almeno evitare di farmi innamorare. E ora va’ via e subito, questa è casa mia e ti sbatto fuori”. “Non mi vuoi proprio ascoltare?”. “No, sarà una frase fatta ma quello che ho visto parla per sé”. “Potevi almeno evitare di farmi innamorare hai detto”. “Già, ma dato che lo hai fatto e io sto male per questo spero non mi biasimerai”. “No, hai ragione, ma ascoltami”. Silvia si alzò a sedere e lo guardò con rabbia. “Vai a quel paese Simone. Ti odio perché mi hai chiesto di metterci insieme. Ti odio perché ci ho creduto. Ti odio perché ti ho dato fiducia. Ti odio perché con te ero felice. Ti odio perché mi hai fatto stare bene. Ti odio perché sei simpatico. Ti odio perché sei carino. Ti odio soprattutto perché ti amo”. Simone si avvicinò ancora e si sedette sul letto. “Perché lo hai fatto Simone?” chiese Silvia alzando verso di lui un viso bagnato di lacrime. “Perché le sue labbra erano rosse. Perché erano rivolte verso di me. Perché i suoi occhi erano azzurri. Perché i suoi capelli erano neri. Perché la musica era soft e dolce. Ma sai una cosa?”. “Cosa?”. “Ti amo perché sei in lacrime. Ti amo perché so che sono per me. Ti amo perché sei una pagliaccia. Ti amo perché mi fai ridere. Ti amo perché con te sono felice. Ti amo perché mi odi. Ti amo perché sei simpatica. Ti amo perché sei carina. Ti amo perché sei Silvia. Ti amo perché sei tu e non lei. Ti amo e ti vorrei baciare”. “Ti odio perché anche io vorrei baciarti…’
“Sono o non sono idiota July?”. “Sì, lo sei Silvia, al 100%”. “Beh, sei la prima a cui leggo come ci siamo rimessi insieme. E ho trovato il coraggio solo perché siamo al telefono, se tu fossi stata di fronte a me non lo avrei fatto”. “Silvia, in tutta sincerità, se Nico facesse una cosa del genere e mi desse una spiegazione del genere lo farei volare fuori dalla finestra con un calcio”. Silvia rise. “Lo so, sono fessa, Simone mi ha completamente rimbecillito”. “Ma perché scrivi?”. “Non so, mi piace scrivere, tutto qui. Chissà, magari un giorno qualcuno pubblicherà le mie idiozie e tutti sapranno cosa vuol dire veramente essere fessa”. “Silvia, io non credo che tu sia fessa, ma che faccia di tutto per esserlo”. “Cosa vuoi dire?”. “Che tu sei una grande, sei forte, dinamica e tutto, ma quando c’è di mezzo Simone cambi, e fai di tutto per essere un’idiota”. “Non è così, è che con Simone, intendo quando siamo solo io e lui perché se siamo in pubblico o al collettivo no, faccio la bambina. Sai, quando stavamo insieme lui era protettivo, e così lui era il mio papà e io la sua bimba, e mi comporto ancora così. E poi a un papi si perdona tutto. Comoda come cosa, no?”. “Idiota come cosa”. “Già, comoda per lui, idiota per me”. “Silvia?”. “Mh”. “Ma tu lo sai che piaci a molti dei ragazzi del collettivo?”. “No, non piaccio a nessuno”. “Ma sì ti dico”. “E io ti dico che non piaccio io ma cosa sono io”. “Scusa, la differenza?”. “Io sono la vice-capa del collettivo e rappresentante d’istituto per loro, non Silvia”. Ci pensai un attimo. Nico non aveva detto così, aveva parlato della personalità di Silvia, ma era innegabile che Silvia non avesse detto una cavolata. “Non lo so Silvia, non so proprio”. “È così, fidati. Io sono innamorata di Simone anche perché pure lui è capo del collettivo e rappresentante d’istituto, quindi di sicuro non è condizionato dalla mia posizione”. “Mh. Silvia ti posso dire una cosa?”. “Cosa?”. “Sono contenta di non essere te!”. Silvia scoppiò a ridere. “Sai, io sono io da 18 anni, e probabilmente lo sarò per altri 50 minimo, quindi ho imparato a non volere essere un’altra. Se tu fossi me avresti imparato a convivere con il casino che è la mia vita. Sai, a me è finito per piacere il casino. In fondo io stessa se ci pensi sono un casino unico. Poco fa ho scritto una poesia su Milano in cui parlo del caos, vuoi sentirla?”. “Certo”. “Allora,
MILANO:
Mi guardo intorno, ecco la mia città
le strade trafficate
la gente indaffarata
tutto intorno a me il caos di Milano.
E io non riuscirei ad andare via,
questa è la mia città
questo caos è mio
è mio come lo è la mia vita.
E la mia vita è legata a questo,
per me è indispensabile,
perché io sono il caos,
e sono confusa come Milano.
Rispecchio questa amata metropoli
gomitolo di strade
madre di dolci sogni,
per me è tutto quello che ho vissuto.”
“Bella. Sì, tu sei un casino unico è vero. Sei proprio così, come Milano”. “Non è poi tanto male essere me, ci sono dei lati positivi”. “Per esempio?”. “Tu sei figlia unica vero?”. “Sì”. “Io ho due sorelle maggiori, 27 e 28 anni, due mamme fantastiche e due alleate favolose, e poi non so il tuo, ma mio padre è un grande. È uno psicanalista che non sa nemmeno cucinarsi una pasta, ma se ci parli scopri un cervello incredibile. Mia madre invece è pratica, concreta. È molto simile a me, forte caratterialmente, decisa, attiva. Ho preso da lei e paradossalmente litighiamo dalla mattina alla sera perché non fa altro che criticare, ma lo devo a lei se ogni volta che cado mi so rialzare. Mi ha dato la sua forza. Credo di stare un po’ degenerando, che ore sono?”. “Si sono fatte le 11”. “Beh, allora è chiaro il degenero, mi sa che la stanchezza sta parlando al mio posto”. “Già, credo sia meglio salutarsi”. “Decisamente. Ciao July, a domani”. “Ci si vede idiota” e misi giù. La telefonata era stata pazzesca.
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