Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Ricordati chi sei

Ricordati chi sei
0%
200 copie
all´obiettivo
0
Giorni rimasti
Svuota
Quantità
Consegna prevista Dicembre 2023
Bozze disponibili

Beatrice ha sete della vita, quella vera. Attende con pazienza il giorno del suo diciottesimo compleanno, quando potrà per la prima volta uscire dalla Casa degli Angeli e vedere il mondo. Ma cosa succede se si tarpano le ali da un uccello che vuole disperatamente volare? I freni inibitori smettono di funzionare e la forza del desiderio guida Beatrice fino ai confini della Casa, del suo mondo. Approderà ad una realtà nuova e onnipresente, dove Nove Cieli di etere circondano il pianeta, ospitando giovani vite troncate prematuramente. Le coordinate spazio tempo si apriranno verso un nuovo tipo di conoscenza: il mondo che Beatrice pensava di essere pronta a conoscere cela invece segreti antichi che devono essere protetti. Dovrà interfacciassi con nuove regole, ruoli sconosciuti e logiche incomprensibili, ultraterrene. Beatrice si accinge ad affrontare un viaggio per tornare alla Casa che tante volte aveva dipinto come una ‘gabbia’ e dovrà affidarsi e fidarsi di Edoardo, Zefiro e Ofelia.

Perché ho scritto questo libro?

‘Ricordati chi sei’ è la summa di tante storie che hanno incrociato la mia. Così sono diventata Beatrice e ho visto in Edoardo il peso dell’essere cresciuti in fretta e delle responsabilità che ne derivano; in Zefiro l’ombra dell’eterno bambino che non si è ancora spenta del tutto; In Ofelia ho visto la natura schiva e chiusa di chi ha sofferto pur avendo dato tutto se stesso; in Dalila l’affetto più puro e sincero di un’amicizia che, nel suo essere imperfetta, trova un immenso valore.

ANTEPRIMA NON EDITATA

1. Dieci piccoli indiani.

« …adesso e nell’ora della nostra morte, amen.»

In un nano secondo tutti i libretti delle lodi mattutine vengono chiusi e i più piccoli, seduti ai banchi davanti, sono già pronti ad uscire dalla stanza.

«Ho detto AMEN, non ‘potete uscire’!»

La voce stentorea di Suor Clara mi fa ancora accapponare la pelle, nonostante siano diciassette anni e mezzo che le mie orecchie hanno a che fare con lei.

E nonostante tu ti ritrova quasi sempre nel suo studio a giocare a ‘scala quaranta’ con lei.

Sorrido lievemente, pensando a come Suor Clara sia famosa per barare ad ogni maledetta partita, alla faccia dei suoi voti fatti al Signore.

«Mi inquieti quando ridi a caso.»

Dalila, al mio fianco, mi guarda con un sopracciglio alzato. Gli occhi azzurri della mia amica mi fissano con quell’aria di falsa accusa con la quale convivo ormai da anni. Dalila non è cattiva, veramente, ha solo un caratteraccio da tipo… sempre. Anche quando dice in faccia alle ragazze più piccole che la loro acconciatura fa schifo, anche quando fa la schizzinosa sul cibo della mensa e anche quando salta le preghiere della sera per incontrarsi con Edoardo.

Non è cattiva. É fatta così.

Continua a leggere

Continua a leggere

«Non stavo ridendo sguaiatamente…»

«Non importa. É inquietante.»

Roteo gli occhi e torno con lo sguardo sulla copertina del libretto dalla copertina azzurra plastificata con sopra scritto in un corsivo tremolante ‘Casa Degli Angeli – Preghiere’.

Dal brusio intorno a me, posso dedurre che le sorelle si sono messe a parlottare tra loro di nuovo, dimenticandosi di dare le indicazioni a noi ragazzi.

«Perché Suor Luciana deve sempre contraddire ogni mossa di Suor Clara»

Come volevasi dimostrare: Tra le teste che ho davanti riesco a scorgere il velo bianco di Suor Luciana, una donna sulla settantina che sembra essere nata con la Casa, dato che ne conosce ogni angolo e spiffero. A qualsiasi

mossa delle consorelle, lei ha qualcosa da ridire. E a quanto pare ora si sta lamentando con Suor Clara, che agita convulsamente il libretto in aria.

«Secondo te che ha fatto?»

«Avrà sbagliato la lettura, come al solito.»

Annuisco, continuando a fissare la lite tra le due suore. Poi, la copertina del libro che Suor Clara sta usando a mo’ di arma, come se lei fosse Caino e suor Luciana Abele, mi fa accendere una lampadina sopra la testa.

«Dalila? Alla fine hai controllato se hai tu ‘Dieci Piccoli Indiani’? Non riesco a trovarlo, ricordi?»

Chiedo alla mia amica, ma nel voltarmi non incontro Dalila e il suo cipiglio, bensì quel pallone gonfiato di Enrico. Sobbalzo sul posto, non essendo stata psicologicamente pronta a questo scambio repentino di persona.

«Avvisa la prossima volta che ti avvicini a me di minimo dieci metri.»

Il ragazzo arriccia il naso e si passa una mano sotto il mento, come se stesse progettando qualche losca mossa futura, cosa del tutto probabile dato che ovunque lo trovi è in compagnia di qualche macello.

«Ma dolcezza, non ci sarebbe gusto.»

«Mi chiamo Beatrice.»

«Okay dolcezza

Mi spalmo le mani sul viso, frustrata dal suo atteggiamento sfacciato. Da uno spiffero tra le dita do’ un’occhiata ad Enrico, chiedendogli poi:

«Ma perché non te ne vai?»

«É divertente.»

«Cosa è divertente, Enrico?»

So che ho il tono di una mamma che rimprovera il figlio sbadato, me lo sento.

Aspetto che mi illumini con una sua tipica risposta idiota. Il ragazzo si sistema bene sul banco della Chiesa, accavallando le lunghe gambe che non ci stanno nel misero spazio tra la panca e l’inginocchiatoio.

«A spaventarti.»

«Non mi hai spaventata.»

Inarco un sopracciglio e libero il viso dai palmi delle mie mani.

«Ci sono due possibilità, dolcezza: O sobbalzi perché sei una fifona, una variante non da escludere, o io ti faccio perdere il respiro.»

Trattengo un conato di vomito.

«Se mai dovessi perdere il respiro a causa tua, allora vorrà dire che soffro di asma e mi porterò dietro l’inalatore.»

Enrico poggia una mano grande quanto la mia cavolo di faccia sul cuore, sfoggiando la sua espressione più contrita e falsa.

«Ehi, grazie per avermi tenuto il posto… Ora ho fatto con Edoardo.»

Mi giro e scruto tra le file di banchi infondo a destra, destinate ai soli maschi e in particolare a quegli individui che a quanto pare si trovano in alto sulla scala gerarchica. É proprio tra loro che incontro la figura di Edoardo Salienti. Chissà perché ogni volta che incrocio il suo sguardo, il mio primo istinto è quello di darmela a gambe: É da quando è arrivato qua che quel ragazzo ha automaticamente assunto il ruolo tipico dei giovani imperatori al trono. Edoardo però vive in un mondo tutto suo, fatto di silenzi e sguardi lanciati da lontano… che ti inceneriscono. Enrico è il suo braccio destro. O meglio, gli sta addosso come una sanguisuga. Viaggiano in coppia, quei due. L’unica cosa che li distingue è che se Enrico passa la vita a fare il giullare di corte, Edoardo è una sfinge dal cuore di pietra.

In un attimo gli occhi ambrati di Salienti, che fino a poco fa stava con la testa china sul libretto, mi trapassano e istintivamente mi giro di scatto, andando addosso ai capelli giallo uovo di Enrico

Si è tinto questa massa lunga e disordinata di ciuffi qualche settimana fa, di nascosto nel bagno che condivide con Salienti. Sì, sono pure compagni di stanza, quei due. Che poi, ovviamente, la prima volta che ha avuto il permesso di uscire di qua perché maggiorenne, ne approfitta per fare bravate: comprarsi una tinta gialla. Non bionda, gialla. Inoltre si è tatuato delle strane fiamme che gli partono dalle dita.

Per dire, io sto spettando il mio diciottesimo compleanno solo per vedere come è il mondo esterno alle mura della Casa. Pianifico ogni mia futura mossa da quando ne ho memoria. E lui, tra tutte le cose che avrebbe potuto fare, ha scelto di comprarsi una tinta, per lo più scadente, e si è tatuato le dita.

Idiota.

«Dolcezza?»

So che si sta riferendo a me: è tipico della sua natura da homunculus chiamare con stupidi nomignoli persino una sedia.

«Cosa c’è?»

«Mio dio, un tono più carino non riesci proprio ad usarlo con me?»

«No, non riesco proprio, perdonami.»

Dalila, vicino a Enrico, rotea gli occhi blu e con un cenno del capo mi intima di essere più dolce.

Solo perché i suoi amici non sono miei amici, non significa che io odi tutti. Le suore mi stanno simpatiche, tipo.

«Dicevo, ieri in camera stavo cercando il mio orologio. Sai, quello che ho comprato quando sono uscito…»

Ah, giusto. Adesso che è maggiorenne e può uscire da questa Casa deve ricordarlo a tutti gli esseri abitanti il pianeta Terra.

«Sì, vai avanti.»

Lo sprono con un gesto della mano.

«Beh, ho controllato più volte in diversi posti, ma poi ho deciso di dare un’occhiata sul comodino…»

Qua andrà per le lunghe. Comincio a tracciare segni invisibili sulla superficie lignea del banco, ascoltando svogliatamente il racconto epico di Enrico.

«E c’era il tuo nome scritto sulla prima pagina quindi…»

«Eh?»

Fisso ostinatamente il biondo con un cipiglio.

«C’era il tuo nome sul libro.» Ripete.

«Che libro?»

«Quello sul comodino, ma mi ascolti quando parlo?»

«Sinceramente no. Il titolo del libro?»

«Eh mi chiedi troppo dolcezza.»

«Il.titolo.Enrico.»

Il ragazzo si stiracchia in maniera scomposta come se la sua risposta alla mia domanda gli costasse la vita.

«Allora?»

«Calmati dolcezza, credo fosse ’I Dieci Comandamenti’ o una roba simile.»

«’Dieci Piccoli Indiani’…»

«Si, dai quello… Edoardo lo sta leggendo da qualche giorno, non so cosa ci trovi di divertente. Che poi, cosa te ne fai di un libro?»

Non rispondo alla blasfemia appena pronunciata da questo rozzo umano, perché il mio cervello si è bloccato al solo pensiero che il mio libro ora sia in camera di Salienti ed Enrico e che Edoardo lo stia leggendo. Dopo avermelo rubato a quanto pare. Vorrei tanto urlare e dire una parolaccia di quelle brutte, ma l’unica cosa che riesco a dire è:

«Io lo ammazzo.»

La velocità con cui mi volto è strepitosa. Tutti sanno che mai nella vita farei sì che un mio libro possa sfuggire dalla mia libreria. Mai. A meno che non sia io a deciderlo. Edoardo ha il capo chino su un volume dalla copertina gialla e credo abbia notato il mio sguardo insistente, perché alza un sopracciglio nella mia direzione.

«Non sai quante risate quando l’ho scoperto leggere quella roba

Okay, ora è troppo Enrico.

«Quella ‘roba’ è uno dei capolavori gialli di Agatha Christie. Ed è mio il libro, non suo.»

Mantengo la mia attenzione sulla figura di Edoardo, che nel frattempo è tornato a leggere, ignaro della Terza Guerra Punica che si sta svolgendo attorno a lui: Sembra che sia rinchiuso nella sua bolla fatta di parole d’inchiostro mentre dei ragazzi privi dei freni inibitori si stanno dedicando dolci spintoni tra i banchi. Poi è un attimo: Con una mossa un po’ troppo violenta ed incontrollata, un ragazzo al fianco di Edoardo gli dà una gomitata proprio mentre è intento a sfogliare una pagina. Vedo al rallentatore quella carta sottile stracciarsi, recidendo così le righe nere, unite indissolubilmente dall’autrice. Automaticamente, una sequenza di ricordi connessi a quel libro mi passano davanti agli occhi: Io che sfoglio quel volumetto giallo in camera, lontana da tutti e da tutto, io che divoro le sue pagine con gli occhi, io che unisco le mie lacrime all’inchiostro stampato.

Mi alzo in piedi e in un baleno sono davanti al ragazzo, le braccia tese che poggiano sul banco davanti al suo. Non penso al fatto che potrebbe uccidermi con un pollice.

«Ridammelo.»

Ma la mia voce suona come quella di un colibrì, in mezzo a tutto quel fracasso.

Mi schiarisco la voce, mentre fisso i ciuffi corvini di Salienti, che ha ancora il naso tra le pagine, e sembra essere ignaro della mia presenza. Per ora.

«Salienti!»

I ciuffi neri vengono rimpiazzati da due occhi d’ambra, dai quali posso percepire una nota di fastidio, probabilmente per avere interrotto la sua lettura.

«Quesitori.»

Mi saluta con un cenno del capo. Ogni volta mi mette in soggezione.

«Hai sentito cosa ho detto?»

Il ragazzo sbuffa per poi chiudere con un colpo secco il libro.

Il mio sguardo saetta immediatamente sulla copertina giallognola, oggetto del mio desiderio.

«No.»

Bene, allora te lo ripeto.

«Non ho tempo da perdere, Quesitori.»

Cerco un sostegno nel legno sotto i miei palmi, per non far sì che in un secondo momento trovi il collo del ragazzo al posto del banco.

«Cercherò di essere più chiara… hai preso il mio libro, senza chiedermelo tra l’altro.»

Ammicco verso il libro chiuso sul suo grembo e Salienti porta il suo sguardo proprio su di esso.

«Quindi, saresti così gentile da restituirmelo? Non aspetto un ‘no’ come risposta.»

«No.»

Abbandono la mia presa e mi alzo per bene in piedi, guardandomi in giro.

«Ti sto facendo perdere la pazienza? »

Edoardo mi guarda impassibile in volto.

«Non lo chiederò un’altra volta. Il libro.»

Allungo il braccio verso di lui, aspettando che lui ci posi sopra ‘Dieci piccoli indiani’.

Ma non arriva proprio un bel niente.

«Salienti. Quanti anni hai? Diciannove? Non fare il bambino e passami il libro.»

Una scintilla attraversa i suoi occhi e per un secondo penso abbia capito cosa deve fare.

Ma il moro posa il volume al suo fianco per poi alzarsi. Male male male.

In piedi, Edoardo mi supera di un bel po’ e metterebbe in soggezione chiunque. Me compresa.

«A chi hai dato del bambino?»

Apro la bocca per replicare ma la porta della cappella viene bruscamente spalancata e una piccola figura vestita di bianco attraversa a piccoli ma veloci passi la navata che separa i due gruppi di banchi lignei, colmi di ragazzi in piena baldoria.

Oh no.

«Devo tornare al mio posto.»

«Misericordia divina, l’Inferno in terra!»

É Suor Patrizia, la madre superiora, a cercare di far sentire la sua voce tra il caos generale.

Non appena arriva all’altare, dove le due consorelle se ne stanno dicendo di tutti i colori, afferra il microfono, abbandonato su una sedia lì vicino.

«UNO!»

Il rumore e le chiacchiere non cessano.

Cerco di allontanarmi velocemente dai banchi maschili, zampettando quindi fino al mio posto, ma una mano avvolge saldamente il mio polso.

«DUE!»

É Edoardo.

«Sei impazzito? lasciami!»

«Non volevi il tuo libro?»

«Ah! Adesso lo hai capito?»

Salienti non molla la presa e mi avvicina a lui.

«Mi vuoi ridare il libro?”

Il moro socchiude in modo malevolo gli occhi e in un lampo capisco che non mi vuole restituire un bel niente.

«Nessuno mi chiama ‘bambino’ senza passarla liscia.»

«Stai male.»

«No, proprio perché sto bene ti dico questo.»

Qualcuno tra i più piccoli, terrorizzati dalla superiora, comincia a sibilare, indicando di fare silenzio, ma niente. Risate sguaiate provengono da dietro e non appena mi volto trovo Enrico sganasciarsi mentre lascia il posto al fianco di Dalila e torna dalla parte maschile. La mia amica mi sta fulminando con gli occhi.

Dannazione.

Riesco benissimo a comprendere il labiale sibillino della mia amica: ‘lascialo’.

«Non riesco Dalila! É lui!»

Le urlo impotente. La presa di Salienti è ferrea.

«Ragazzina alzati e vai al tuo posto.»

Il compagno vicino ad Edoardo mi ammonisce in malo modo. Tipico dei ragazzi più grandi.

«Il mio posto, come vedi, è al momento non raggiungibile.»

Indico con la mano libera Salienti. Il ragazzo si volta verso Edoardo.

«Dai amico, lasciala.»

Dal canto suo, Edoardo mantiene lo sguardo su di me, non voltandosi un istante verso il tipo che lo ha appena richiamato.

«Cosa vuoi fare?»

«Gli chiedo sbuffando.»

«Guarda e impara.» Proclama con ovvietà.

«Cosa?»

«TRE!»

Allo scoccare del numero, vedo in diretta la mossa più insensata della storia: Salienti che con uno strattone potente mi fa sbilanciare e in un attimo sono seduta malamente sulle sue ginocchia. E come se tutti cartelli stradali di indicazione del mondo fossero puntati su di me, come se fossi in mutande in mezzo ad uno stadio, come se stessi urlando ‘sono qui!’ In tutte le lingue esistenti… Suor Patrizia punta i suoi occhietti su di me.

Ed è la fine.

«VOI DUE! SPORCHI E LURIDI RAGAZZINI! NEL MIO UFFICIO! E voi altri, andate a studiare!»

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Ricordati chi sei”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Francesca Baltieri
Sono Francesca, ma a chiamarmi così é solo mamma quando é veramente arrabbiata. Ho 21 anni, amo il caffè, farmi i tatuaggi senza dire niente a nessuno, tagliarmi i capelli in bagno mentre tutti dormono e far perdere anni di vita a mia madre. Ho il vizio di rimanere in un museo fino all'ora di chiusura spaventando le persone perché piango davanti a un Botticelli. A causa di ciò, leggenda narra che io stia studiando beni culturali per poter entrare gratis nei musei. Il pallino della scrittura é nato quando a 8 anni, impreparata nella verifica di italiano sulla poesia, ho trascritto pari passo una filastrocca dell’avanti Cristo che mi ripeteva mia mamma: la maestra ha visto in me la bisnipote di Leopardi e, nonostante non fosse affatto farina del mio sacco, da quel giorno ho continuato a scrivere.
Francesca Baltieri on Instagram
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors