«Non te lo dico neanche, troppo. E poi abbiamo già speso centocinquanta dollari a Santa Monica!»
È il 29 settembre 2018 e siamo al Sequoia National Park, in California. Siamo arrivati qui dopo una settimana di viaggio in cui abbiamo visitato San Francisco, qualche cittadina sulla Pacific Coast, Los Angeles, Las Vegas (percorrendo anche la mitica Route 66) e la Death Valley. È il classico on the road che tutti i viaggiatori sognano di fare almeno una volta nella vita.
Da bravi avventurieri quali siamo, stiamo girovagando nel modo che più ci piace: senza vincoli né orari, prenotando dove dormire sempre all’ultimo momento. Finora ci è andata piuttosto bene, considerando anche i prezzi abbordabili e l’alta disponibilità della stagione autunnale. Ce la saremmo potuta cavare così bene anche in primavera o estate? Non lo sappiamo e, a dire il vero, al momento abbiamo altro a cui pensare.
«Ce la sentiamo? Davvero?»
Durante tutto il viaggio abbiamo vacillato solo una sera. A Santa Monica – città alle porte di Los Angeles da dove tra l’altro parte (o arriva, a seconda del senso di marcia) la Route 66 – ci siamo dovuti piegare allo status economico della contea di LA, triplicando la spesa prevista per la notte. Non mentiremo, ci siamo goduti quel posto: due letti queen size, doccia immensa, pulizia impeccabile e posizione strategica. Ma replicare sarebbe da recidivi, soprattutto se pensiamo al posto in cui siamo.
In California ci sono così tanti parchi nazionali che il Sequoia è spesso dimenticato, specie se messo in confronto con i più noti Yosemite, Death Valley o Grand Canyon (che è in Arizona ma spesso viene incluso nei tour californiani). Secondo il sito ufficiale dei parchi americani, siamo tra il milione e passa di persone che visiterà il Sequoia nel 2018. Nello stesso anno, invece, Yosemite farà registrare più di 4 milioni di visitatori. Tra qualche giorno comunque andremo anche nello Yosemite che è, e rimane, una meta imperdibile della California.
Entrare nel Sequoia National Park costa 35 dollari per auto. Una volta dentro si può restare un giorno, così come una settimana: il prezzo non cambia, e comprende anche l’ingresso nel Kings Canyon National Park, poco più a nord. È possibile accedere al Sequoia da diverse entrate: noi scegliamo quella di Ash Mountain, sul lato sud-ovest del parco, da cui arriviamo. Qui un ranger ci fa pagare l’ingresso e ci consegna una mappa molto dettagliata su cui è possibile vedere le strade percorribili in auto, i sentieri, i punti di interesse e tanto altro.
Insieme alla mappa ci viene dato anche un opuscolo con i comportamenti da tenere all’interno del parco. Una sezione è dedicata ai principali abitanti del Sequoia: gli orsi neri. Gli occhi ci cadono subito sulla foto di un orso all’interno di un’automobile, intento a mangiare di tutto e di più. Non lasciare cibo in macchina è infatti una delle regole principali. Insieme a non allontanarsi dai tavoli da picnic mentre si mangia e mantenere il cibo in contenitori di metallo. Ok, nasconderemo il cibo. Ma se dovessimo incontrare un orso? Le indicazioni sono: wave your arms – che potremmo tradurre con “sbracciarsi”, disciplina in cui Nadia è campionessa olimpica -, fare tanto rumore, tirare delle piccole pietre stando attenti a non prenderlo in testa, mantenere la distanza e non scappare lasciando il cibo alla sua mercé. L’ultimo consiglio è favoloso: se l’orso ruba del cibo, non andarlo a riprendere. L’opuscolo conclude spiegando che tutte queste raccomandazioni non sono solo per la nostra sicurezza, ma anche per quella degli orsi.
Superiamo la sbarra di ingresso leggendo con attenzione e curiosità il dépliant e guardando fuori dal finestrino per scovare già qualche animale. Lungo i primi chilometri non vediamo né orsi né le grosse sequoie che contraddistinguono la zona. Siamo ancora tra i 500 e i 1000 metri sul livello del mare e la vegetazione non è ancora quella tipica di alta montagna. Percorriamo una decina di chilometri in salita, lungo la General Highway, e finalmente entriamo dentro la foresta: l’aria si fa più fresca e iniziamo a vedere sequoie in tutte le direzioni. Ci sentiamo sempre più piccoli di fronte alla magnificenza della natura. È impossibile rendersi conto di quanto siano giganti le giant sequoia fino a che non le si ammira da vicino.
Dopo una trentina di chilometri, interrotti da numerose soste in altrettanti numerosi punti panoramici, finalmente scorgiamo il cartello che indica il parcheggio per uno degli alberi più famosi al mondo: il General Sherman Tree. Non è il più alto in assoluto, ma è ritenuto l’organismo vivente più grosso al mondo dal punto di vista volumetrico. È alto quasi ottantaquattro metri, con una circonferenza sul terreno di oltre trenta metri. Ottantaquattro metri sono tantissimi, ve lo assicuriamo. La Torre di Pisa arriva a cinquantasette; la Lanterna di Genova non supera i settantasette; la Statua della Libertà, giusto per rimanere negli States, è alta solo una decina di metri in più rispetto alla sequoia. Basamento incluso.
Appena lo vedo, il Generale Sherman non mi sembra così gigante. Sì, è un albero un po’ più grosso degli altri, ma nulla di più. Guardo Nadia perplesso (una delle facce che mi riesce meglio) e scopro nei suoi occhi che lei, al contrario, è meravigliata dalla visione. Evidentemente non mi sto rendendo bene conto. Forse perché siamo ancora piuttosto lontani? Comunque sia, al momento, non mi sto meravigliando più di tanto.
Ma poi, come Aldo con il dalmata nel mitico sketch della Subaru Baracca, mano a mano che ci avviciniamo lo vedo crescere proprio. Tanto che mi ci sto affezionando. Se l’avete letto con la sua voce, vi voglio bene. Non mi ci sto affezionando, dai. Però inizio ad apprezzare, inizio a sentirmi un po’ più piccolo.
A un certo punto non trovo più Nadia. Via, andata, persa per sempre. No, semplicemente è entrata dentro una sequoia. Voi siete mai entrati dentro un albero? Io non sapevo neanche che fosse possibile. In ogni caso Nadia è lì, non nella pancia del Generale Sherman, ovvio. Lui è recintato, venerato e, giustamente, non si può nemmeno sfiorare. Nadia è nascosta dentro un’altra sequoia, una comune giant sequoia senza nome ma ugualmente gigante. Quando la scopro, non mi resta che prendere la fotocamera, indietreggiare per far entrare nell’inquadratura tutto l’albero – non certo in altezza ma almeno tutta la base – e scattare. Ora capisco il significato della parola “gigante”. Mi giro verso il Generale Sherman e sì, ora lo ammetto anche io: è enorme.
In mezzo a questi giganti perdiamo un po’ la cognizione del tempo. È il tardo pomeriggio e non abbiamo ancora un posto dove dormire questa sera.
«Mi sa che è arrivato quel momento.»
Il momento di dormire in auto. In effetti la macchina presa a noleggio è enorme, molto più di quanto ci potessimo immaginare.
***
«Filippo ma non avevamo preso una macchina normale?»
«Eh sì, doveva essere tipo segmento intermedio.»
«No, ma dai, si sono sbagliati. Cos’è questa astronave?»
Siamo nel parcheggio dell’autonoleggio e increduli proviamo a premere il pulsante sulla chiave elettronica che ci hanno appena consegnato. Le quattro frecce dell’astronave si illuminano: è proprio la nostra auto. In Europa, la Toyota 4Runner – cinque metri di lunghezza e due di larghezza – farebbe fatica a districarsi nelle vie strette di molte città. Grossa, nera, cattiva, pronta a portarci dappertutto. Il problema è che noi, pronti, non lo siamo affatto.
Ancora increduli, saliamo in auto – e mai come in questo caso il verbo salire è opportuno – per la prima volta. È pieno giorno ma la macchina è ferma in un parcheggio sotterraneo, perciò è tutto buio. Filippo va al posto di guida, accende la lucina e prova a capirci qualcosa. Nadia, presa dalla sua mania organizzativa, inizia a riempire tutti gli spazi. Caricando le valigie nel bagagliaio e appoggiando gli zaini sui sedili posteriori, esclamiamo, a turno: «Filippo, in questo bagagliaio potrei starci coricata!», «Ma è un divano a tre posti questo!».
Finiamo di sistemare tutto: i cavi per ricaricare gli smartphone nelle apposite porte usb, le bottiglie d’acqua e i biscotti negli scompartimenti a portata di mano, la mappa della California aperta sulla plancia di comando e, finalmente, siamo pronti a partire. Peccato che la macchina non voglia schiodarsi. Certo, è a cambio automatico (negli Stati Uniti è la normalità) e noi non siamo abituati (anzi, è la prima volta): sarà per questo che non parte? Probabile, magari siamo proprio noi gli scemi. Togliamo la folle, pigiamo sull’acceleratore, sembra che qualcosa sia sul punto di muoversi e invece rimaniamo parcheggiati. Come se ci fosse qualcosa che ci tiene fermi. Un po’ come se ci fosse… il freno a mano! Ecco qual è il problema, ma dov’è la leva?
«Excuse me!» cerchiamo aiuto. Il tizio del noleggio, dopo averci consegnato le chiavi, ci ha abbandonati a noi stessi.
«We can’t find the… come cazzo si dice… hand brake.» “Non riusciamo a trovare il freno a mano” nel nostro inglese scolastico e un po’ arrugginito. Solitamente non siamo così scarsi ma, in questo momento di difficoltà e grosse risate, faticheremmo a trovare le giuste parole anche in italiano.
Ci viene in soccorso un uomo ispanico sulla quarantina, tracagnotto, di forma quasi rettangolare. Dalla visiera del cappellino intuiamo che lavora per un’altra compagnia di autonoleggio. Entra in auto, dà un’occhiata a tutti i comandi che sono dove solitamente si trova la leva del freno a mano, inizia a premere il premibile, guarda sotto i sedili, apre addirittura il parasole – chissà perché – e dopo qualche istante anche lui rinuncia. La macchina rimane piantata. Il nostro amico ispanico se ne va sconsolato e biascicando qualcosa che non capiamo. Siamo soli, in balìa di questo mostro che non vuole muoversi. Sempre ridendo, quasi alle lacrime, cominciamo anche noi a cercare il fantomatico freno a mano, fino all’illuminazione.
«Se nella macchina non c’è la frizione, ci sarà ben dello spazio dai pedali, no?»
La pensata è vincente. Ci pieghiamo, infiliamo la testa tra i pedali e, con l’aiuto di una torcia, riusciamo a scovare una leva. È seminascosta, proprio nell’angolino, leggermente rialzata rispetto ai pedali di freno e acceleratore. In realtà la posizione è molto comoda da raggiungere col piede… se sai dov’è. Agli occhi, invece, si nasconde benissimo. Ce l’abbiamo fatta: abbiamo trovato il freno a… piede. Ora si parte, davvero, ignari ancora delle numerose avventure che questo veicolo ci farà vivere.
Già dopo qualche chilometro, nelle iconiche vie saliscendi di San Francisco, cominciamo a stupirci di quanto sia rumorosa questa macchina. Non è un rumore di motore quello che sentiamo, piuttosto sembra che tutta la città sia dentro il nostro veicolo. Sentiamo perfettamente le persone parlare ai semafori, i rumori degli altri mezzi sulle strade, pure le biciclette hanno un volume troppo alto rispetto al solito.
Questa cosa del rumore comincia a sembrarmi strana: abbiamo praticamente un’astronave e perfino la mia vecchia Peugeot 106 era molto più silenziosa! Eh, son strani ’sti americani! Filippo è impegnato a guidare nel casino di San Francisco e non ci fa troppo caso. Io comincio ad ammirare la nostra macchina californiana. È bellissima, è proprio l’auto che ho visto in mille serie ambientate in America e comincio già a volerle bene, mi sembra di essere proprio inserita nel contesto delle highway a stelle e strisce. Mi giro dal mio posto da navigatore e guardo verso il bagagliaio. Caspita, è veramente immenso. I sedili dietro potrebbero benissimo essere staccati e inseriti in qualsiasi salotto nostrano, sono neri, larghi e sembrano molto comodi, peccato che siano già invasi dalla nostra roba: zaini, giacche, sciarpine, felpe, macchine fotografiche e libri sulla California. Mentre guardo tutta eccitata l’auto, noto una cosa…
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INDICE
- Ricordati il costume (capitolo introduttivo, chi siamo, cosa facciamo, di cosa parliamo)
- Cercando il sole, trovando la pioggia (nostre sfighe costanti in ogni viaggio)
- Canarie (i posti in cui abbiamo dormito)
- Sicilia (il viaggio in camper)
- California (quella notte a dormire in auto…)
- Marocco (mercanti dal cuore d’oro)
- Capo Verde (via dal turismo di massa)
- Abruzzo (maggio 2021, si torna a viaggiare?)
- Disfare le valigie (tornati a casa, routine, montaggio video, ecc)
Chiara ferretti (proprietario verificato)
Da anni seguo i video di Filippo e Nadia sul loro canale YouTube e sono felice che abbiano deciso di scrivere un libro per raccontare tutti i backstage dei loro viaggi. Sono curiosa di leggerlo, sono sicura completerà il loro già magistrale lavoro. Grandi ragazzi!! Non vedo l’ora di riceverlo!!
Alice Corsi (proprietario verificato)
Ordinato! Non vedo l’ora di conoscere i retroscena, che poi forse sono la parte più vera del viaggio! La paura di qualche inconveniente mi frena da alcuni tipi di viaggio e sono curiosa di scoprire se, invece, visti attraverso i vostri occhi appariranno diversi aprendomi altri posti nel mondo! Intanto attendo l’arrivo di questo libro che sono sicura sarà bellissimo e ricco del vostro stile!