Molti dei miei compagni avevano vissuto storie simili alla mia eppure se ne stavano tutti lì, lobotomizzati da una fede tanto cieca quanto incrollabile in un sistema marcio, tutti tranne due.
Mark era un ragazzo magro, zoppo e coi capelli scuri, indossava vecchi vestiti lisi troppo piccoli per la sua altezza e portava degli occhiali spessi a cui mancava un’asta. Era nato da una grande famiglia benestante caduta in disgrazia in quanto accusata di opporsi al regime. Era l’unico sopravvissuto. Era l’unico sopravvissuto e doveva starsene lì a sentire elogiare i carnefici dei suoi cari. E se ne stava lì, immobile, senza sbattere le palpebre, fissando il professore con lo sguardo iniettato di sangue.
Yumi invece era una ragazza minuta e molto carina con un sorriso così meraviglioso che passavo ore intere a fissarla scordando di essere in quel posto di merda. Era sempre sulle sue e guardava spesso fuori dalla finestra assorta nei suoi pensieri. Era una delle poche persone che non aveva subito particolari traumi, suo padre era uno dei principali produttori di armi dello stato e pertanto godevano di un discreto tenore di vita. In classe c’erano anche i figli del Generale: Hideo e Alice.
Erano gemelli ed erano i ragazzi più viziati e sgradevoli che avessi mai conosciuto, anche se in tutta sincerità non posso negare che avessero molto talento e che riuscissero veramente bene in qualsiasi cosa si cimentassero. In più Alice era veramente una bella ragazza. Dettaglio del tutto ininfluente ma sempre degno di nota.
Hideo era il secondo miglior atleta dell’istituto, mentre Alice era la seconda miglior studentessa.
Per quanto riguarda me invece, sebbene fossi palesemente ostile al regime, avevo la fortuna di essere il miglior studente del nostro liceo. Il migliore in assoluto. Per questo motivo godevo di una certa libertà, cosa rara e preziosa ai giorni nostri. Forse era per questo che potevo farmi delle domande. Forse me le sarei fatte comunque. Non lo so.
Improvvisamente si spalancò la porta ed entrarono nell’aula otto soldati, o meglio, entrarono nell’aula il Generale in persona accompagnato dai suoi 7 comandanti.
Il professore scattò sull’attenti così come i miei compagni. Scocciato e non poco feci lo stesso.
I comandanti notarono la stentatezza del mio gesto e gridarono al professore: “E’ così che educa i nostri giovani?! Chiunque sarebbe onorato di essere al cospetto del nostro Generale!”.
Onorato un cazzo pensai.
Il professore tremava in maniera incontrollata, era palese che stesse cercando le parole giuste, tuttavia impiegò troppo tempo e fu colpito ripetutamente.
Mi dispiaceva per quel poveretto, però la cosa che mi dava ancora più fastidio era vedere la faccia di quegli stronzetti dei figli del Generale che se la godevano assistendo a quella scena di violenza gratuita.
Dovevo fare qualcosa o l’avrebbero ammazzato, in fondo era colpa mia.
Balzai in piedi e mi lanciai contro il comandante Jennsen.
Pessima scelta.
In una frazione di secondo mi trovai disteso per terra tra le file dei banchi con il naso che a momenti usciva dalla nuca.
“Porcaputtanachebbotta!” pensai.
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