Ginevra, 31 dicembre 2019, ore 23:55.
Tutta l’equipe del CERN stava lavorando febbrilmente su tre turni ormai da parecchi mesi.
Il progetto che stava per entrare in funzione era denominato TESLA (“Turning Energy Support in Lower Atmosphere”, ossia “Supporto Energia Rotazionale nella Bassa Atmosfera”) dal nome del suo storico ideatore.
Il centro stava funzionando a pieno regime, i tecnici avevano verificato innumerevoli volte le infinite liste di controllo della preaccensione e ormai tutto era pronto per la diretta mondiale. Una curata selezione di inviati speciali provenienti da tutte le principali emittenti del globo era stata radunata in sala stampa, in attesa di commentare il successo o il fallimento di quello che era stato l’argomento principe della ricerca energetica degli ultimi anni.
Per i profani si trattava di estrarre una quantità di energia elettrica pressoché illimitata dall’atmosfera terrestre, in particolare dalla zona che va dalla superficie alla ionosfera, facendo risuonare enormi antenne sulla ormai famosa e da tutti conosciuta Frequenza di Schumann.
Questo fenomeno era stato previsto in teoria già da più di un secolo, ma estrarre energia da una così bassa frequenza avrebbe richiesto l’utilizzo di antenne lunghe quanto l’equatore terrestre, quindi di fatto irrealizzabili. Inaspettatamente, però, avvenne una svolta nelle ricerche e si riuscì a sviluppare un dispositivo molto più piccolo, capace di sintonizzarsi sulla frequenza di 7.83Hz e di estrarne l’energia a piacimento, grazie ad un fenomeno quantistico la cui teoria non era stata ancora completamente spiegata e formalizzata.
Questo dispositivo top secret, grande quanto un armadietto, era contenuto in un palazzo di dieci piani che ospitava le antenne e le bobine di risonanza a cui il dispositivo era collegato, tutta attrezzatura che poteva essere costruita con metodi convenzionali. Questa tecnologia avrebbe affiancato e infine sostituito le vecchie centrali energetiche a carbone, olio pesante, termoelettriche e nucleari. Semplicemente avrebbe alimentato le reti elettriche già esistenti o avrebbe permesso di impiantarne di nuove nei luoghi più inaccessibili del pianeta, fornendo illimitate quantità di energia a costo di esercizio pressoché nullo.
Mancavano ancora un paio di minuti alla mezzanotte. Il dottor Steinbach era seduto nel suo studio e osservava in diretta gli avvenimenti della sala controllo. Ovviamente era nervoso, perché un fallimento avrebbe provocato la fine immediata della sua carriera, ma soprattutto perché, in caso contrario, questo progetto avrebbe significato una nuova rivoluzione, la prima completamente eco-sostenibile, che avrebbe affrancato per sempre il genere umano dalla spasmodica ricerca di combustibili fossili e di energie alternative. Un successo avrebbe dato un impulso incalcolabile al progresso tecnologico e alla qualità della vita sul pianeta.
Un minuto ancora e avrebbe saputo. Tutto il mondo avrebbe saputo.
A mezzanotte in punto tutte le centrali di produzione elettrica della Svizzera, programmate per scollegarsi dalla rete elettrica nello stesso istante, lo fecero. Tra lo spegnimento delle centrali elettriche e l’immissione dell’energia proveniente dal dispositivo TESLA passarono cinque millisecondi, esattamente il tempo programmato dai tecnici del CERN. In tutta la Svizzera le TV e le luci non ebbero né un’esitazione né un lampeggio, semplicemente continuarono a funzionare, alimentate però dalla nuova apparecchiatura.
1° gennaio 2020. La Rivoluzione Energetica era iniziata.
1.
Bruxelles, 12 dicembre 2034, ore 07:15.
Il dottor Anton Zama si sedette nella lussuosa poltrona del suo ufficio, all’ultimo piano del Centro di Controllo Crisi. Digitò le proprie credenziali per accedere al sistema informatico interno e controllò i dati appena giunti.
Le statistiche del fenomeno stavano via via peggiorando, non c’era giorno in cui non si registrassero suicidi, né pareva che la curva intendesse azzerarsi o perlomeno rallentare. Al contrario, il tasso di mortalità stava inesorabilmente aumentando.
Negli ultimi mesi il Centro da lui diretto si trovava in uno stato di sostanziale stallo; le azioni volte a ridurre il fenomeno si erano rivelate quantomeno inefficaci, se non, in alcuni casi, addirittura dannose.
Il Governo Europeo, con una delibera a votazione pressoché unanime del settembre 2030, aveva stanziato una considerevole mole di finanziamenti a favore del Centro, che si trovava di fatto in uno stato di semi-autonomia. Sebbene il Governo Europeo non avesse ancora avocato a sé il controllo dell’organizzazione da lui diretta, vi erano chiari segnali di insofferenza politica, acuiti da una cronica mancanza di risultati apprezzabili.
In poche parole, il fenomeno era totalmente fuori controllo e probabilmente mancava poco prima che qualcuno dotato della necessaria autorità decidesse di porre fine all’attività del Centro.
Il dottor Zama sapeva bene che la comunità scientifica si trovava in profondo disaccordo riguardo alle cause del fenomeno, rendendo difficile una direzione unitaria dello sforzo di ricerca, ma sapeva anche altrettanto bene che la soluzione di commissariare il Centro da parte di forze governative, quasi sicuramente militari, non avrebbe prodotto nessun risultato migliore. Questo era l’unico motivo per cui il Centro era ancora nelle sue mani: una volta tanto i generali pluridecorati e multistellati non avevano nessun “piano B” da opporre ad una soluzione scientifica, per quanto ancora ipotetica e nebulosa. Gli eserciti e le armi non sarebbero serviti a nulla, anzi in questo caso avrebbero solamente accelerato il fenomeno in maniera considerevole.
Per questa ragione era imperativo identificare le cause scatenanti e, nel limite del possibile, cercare di contenerle. Ma nei cinque anni trascorsi dall’inizio della Crisi non si era riusciti a fare nemmeno questo. Deprimente.
L’unica azione di rilievo che il Governo Europeo aveva messo in opera era stata un sistematico oscuramento delle notizie e delle informazioni riguardanti la marea montante dei suicidi, tacciando di ridicolo complottismo qualsiasi fonte indipendente che presentasse dati non autorizzati dai governi mondiali. Per ora la diga mediatica reggeva, favorita dalla scarsa attitudine alla critica del cittadino medio.
Con uno scatto della mano richiuse il portatile sulla sua scrivania e si alzò agilmente in piedi. Superata la soglia dei cinquant’anni poteva ancora considerarsi un attempato giovanotto, relativamente in forma e ancora in buona salute. La schiena scricchiolava un po’, è vero, ma tutto sommato il suo stato generale era più che accettabile.
Si diresse nel bagno privato del suo studio, che si era fatto realizzare in previsione delle lunghe nottate che avrebbe passato in quei locali. I fatti gli avevano dato ragione. Si guardò allo specchio e si ravviò i capelli, ormai totalmente grigi, ma ancora tutti al proprio posto. La calvizie non era un tratto distintivo della sua famiglia e di questo ringraziò mentalmente il proprio corredo genetico.
Ruotò il viso da un lato e poi dall’altro per potersi guardare meglio; avrebbe avuto bisogno di una buona rasatura, ma ora non ne aveva il tempo. In sala riunioni lo stavano già aspettando per il briefing mattutino delle 7:30.
Si comincia a lavorare presto, al Centro, ma si finisce sempre troppo tardi. Anzi, spesso non si finisce affatto.
Il dottore uscì dal corridoio e si avviò verso la sala riunioni. Dovevano trovare una soluzione, per salvare le migliaia di bambini che ogni giorno si toglievano la vita.
Proprio questa era la peculiarità e la intrinseca gravità del fenomeno: oltre al fisiologico tasso di suicidi in età adulta stava aumentando geometricamente il tasso dei suicidi infantili, che tipicamente avvenivano tra i tre e i cinque anni di età. Pochi arrivavano vivi all’età scolare e quei pochi che ci riuscivano avevano una psiche talmente devastata che l’unico modo per cercare di preservarli dal loro destino era quello di tenerli sotto costante osservazione. Questa tattica però si era rivelata decisamente fallimentare. Troppe le occasioni per sfuggire alla vigilanza degli adulti, troppi i modi per darsi la morte, troppo breve il tempo necessario per farlo.
Un altro fattore peculiare era la perizia con cui questi atti venivano messi in pratica. Non erano certo modi che una mente di pochi anni di vita potesse ragionevolmente concepire e questo aveva dato molto su cui riflettere ai ricercatori senza che ancora fossero venuti a capo del problema.
All’inizio c’era stato un piccolo gruppo di casi, sparsi per il mondo e passati quasi inosservati. Una volta aumentati di numero, dopo i primi anni in cui il fenomeno non era stato statisticamente rilevante, i governi mondiali avevano cominciato a condividere i propri dati anagrafici e in questo modo si era delineato un quadro sconcertante, che da allora era rimasto sotto la lente del Centro di Controllo Crisi.
Quel giorno era stato il 1° gennaio 2030, la data che viene convenzionalmente considerata come l’inizio ufficiale della Crisi. Tra pochi giorni saranno passati cinque anni.
2.
Il dottor Zama entrò nella stanza e salutò rapidamente le altre persone convenute. Si sedette al posto che solitamente occupava a quel tavolo. In realtà si trattava di un tavolo semi-virtuale, la cui parte in legno e fibre sintetiche occupava metà della sala riunioni ed aveva forma di un mezzo ovale, mentre l’altra metà era disegnata su uno schermo a tutta parete, a cui il tavolo si appoggiava e i cui posti virtuali erano occupati da persone dislocate in varie parti del mondo. I tavoli semi-virtuali come quello erano un po’ rétro, in effetti; ormai quasi tutte le grandi organizzazioni si erano dotate di sale riunioni olografiche, in cui i partecipanti non fisicamente presenti erano proiettati tridimensionalmente, insieme con la loro sedia, in uno qualsiasi dei posti disponibili al tavolo. Ma al dottor Zama questa tecnologia non piaceva: l’apparenza così eterea dei partecipanti remoti gli infondeva un senso di disagio, essendo così simili ad apparizioni fantasmatiche. Quando era arrivato il momento di attrezzare la sala riunioni aveva espressamente chiesto uno degli ultimi modelli ancora disponibili di tavolo semi-virtuale, in modo che fosse chiara e netta la differenza tra presenze fisiche e non.
In questa riunione di routine, oltre a Zama erano presenti nella stanza il dottor Jonathan Crest, direttore dei laboratori del Centro, il dottor Maurice Passignac, del dipartimento Ricerche Epidemiologiche, il dottor Ian McTavish, del dipartimento di anatomia e biologia e la dottoressa Laura Ingstrom, che era a capo del dipartimento di psicologia.
Nella metà virtuale del tavolo era presente in immagine e voce il ministro Xavier Fuente, a capo del Ministero delle Politiche Demografiche del Governo Europeo, affiancato da una bionda e anodina segretaria e da un giovane assistente.
«Bene signori, la seduta sarà registrata e messa agli atti come da circolare del Ministero. Procediamo» esordì Zama recisamente. «Jonathan, a te la parola.»
Il dottor Crest si sistemò gli occhiali e cominciò a parlare con un tono basso ma chiaramente udibile.
«Ho esaminato i rapporti provenienti dai nostri laboratori satellite. Oltre all’aumento di quasi il 4% su base annuale del fenomeno, che voi tutti avete ricevuto con il rapporto sintetico di oggi, non ho trovato nulla di statisticamente rilevante nei dati di dettaglio. In particolare, la distribuzione dei decessi risulta pressoché uniforme in funzione della densità demografica dei luoghi rilevati. Cioè, praticamente, in tutto il mondo.»
«In altre parole, non abbiano ancora niente» concluse per lui Zama. «È chiaro a tutti che in questo modo non possiamo andare avanti. Stiamo solo monitorando il fenomeno e continuiamo a non avere la benché minima idea delle cause che lo hanno scatenato e che lo stanno alimentando sempre più velocemente.»
Lanciò un’occhiata circolare a tutti i partecipanti, poi si fermò sul dottor Passignac e gli rivolse una domanda.
«Maurice, è necessario rivedere il protocollo di analisi epidemiologica. Non è accettabile che a distanza di molti mesi non si sia ancora riusciti a condurre una ricerca utile in questo senso.»
Il dottor Passignac, punto sul vivo, lanciò un’occhiata preoccupata verso il ministro, che seguiva la riunione ad occhi bassi, puntati verso un foglio di appunti che solo lui poteva leggere. Poi, raddrizzando la schiena, parlò senza fissare alcun punto in particolare della stanza.
«Sono d’accordo» esclamò a sorpresa «che la situazione sia insostenibile e vadano presi provvedimenti.»
Dopo questa parola guardò ancora brevemente verso il ministro attendendosi forse una reazione, che però non arrivò. «Il vero problema è che i bambini sottoposti…»
«Li chiami “soggetti”, se non le spiace, dottor Passignac» disse il ministro senza sollevare gli occhi dai propri appunti.
«Come? Ah, sì… come stavo dicendo… il problema è che i soggetti sottoposti ad un qualsiasi protocollo di indagine, per quanto lieve ed applicato in ambiente amichevole e controllato, tendono a non sopportarlo e il loro disagio mentale degenera in uno stato psicotico che non ci permette di acquisire alcuna informazione.»
Il ministro infine sollevò gli occhi verso la sala e domandò «Avete mai pensato di sottoporre i soggetti ad indagine ipnotica?»
Per un attimo calò il silenzio nella sala, quindi intervenne la direttrice di Psicologia, la dottoressa Ingstrom.
«Era stato preso in considerazione all’inizio dell’indagine, ma l’applicazione di questo metodo di indagine non ha rivelato elementi significativi. Per questo, dopo il primo anno, abbiamo smesso di utilizzarlo.»
«Sì, ne sono al corrente, ovviamente» interloquì il ministro «ma è anche vero che il fenomeno sta mostrando chiari caratteri di progressività. Intendiamoci signori, stimo ognuno di voi come scienziato e professionista, ma avete mai pensato che potrebbero essere cambiate alcune condizioni al contorno, in questi ultimi mesi? Vista l’assenza di risultati, credo dovreste resettare ogni singolo protocollo finora utilizzato e ricominciare da capo, se mi concedete l’uso di un’espressione tanto approssimativa. Partecipo a questi briefing quotidiani da quattordici mesi ormai, e credo di essermi fatto un’idea piuttosto chiara del vostro modo di operare, sebbene mi sfuggano i dettagli scientifici. Penso sia ora di mettere a frutto gli stanziamenti che vi abbiamo messo a disposizione. Ed ora, se non c’è altro, sono atteso ad una riunione del consiglio dei ministri. Buona giornata.»
L’ultima affermazione era ovviamente retorica, poiché non attese più di un secondo prima di interrompere il collegamento.
«“Assenza di risultati” e “stanziamenti” sono due parole che nella stessa frase non lasciano presagire nulla di buono, signori» commentò il dottor Crest appoggiandosi pesantemente contro lo schienale della propria poltrona.
«Laura, credi che il suggerimento del ministro possa avere senso?» chiese Zama alla bionda psicologa.
Lei ci pensò un attimo e annuì con poca convinzione.
«Se devo essere sincera, non lo so. Abbiamo interrotto le indagini ipnotiche perché hanno relativamente poco senso su soggetti, anzi bambini, di pochi anni di vita.»
«Perché hanno poco senso?» chiese il dottor McTavish.
«Perché i bambini così piccoli hanno un insieme molto limitato di archetipi, che andranno via via formandosi con l’avanzare dell’età. L’antica credenza che esistessero degli archetipi universali innati nella specie umana si è dimostrata errata. La similitudine in età adulta di tali gruppi archetipici è dovuta al fatto che l’essenza dell’esperienza umana è comune a tutti gli individui della nostra specie e quindi li vedremo formarsi più o meno allo stesso modo nel corso della vita, ma con tempi più lunghi di quanto i nostri soggetti abbiano effettivamente vissuto.»
«E pochi archetipi cosa implicano?» domandò McTavish.
«Pochi archetipi equivalgono a pochi simboli, cioè pochi concetti che ci possono trasmettere in forma allegorica o traslata. Così come conoscono poche parole e quindi non sono in grado di comunicare ad un livello soddisfacente, con pochi simboli possono comunicare ad un livello molto elementare e pressoché incomprensibile per la mente di un adulto.»
Anton si scosse a queste ultime parole e appoggiandosi al tavolo si rivolse alla dottoressa Ingstrom.
«Per la mente di un adulto forse sì, ma cosa succederebbe se la comunicazione avvenisse tra coetanei?»
«Non avverrebbe, perché entrambi si troverebbero in uno stato psicotico tale da…»
«No, non intendo tra due soggetti, intendo tra un soggetto e un bambino sano» la interruppe Anton.
«In effetti questo metodo non è ancora stato provato» ammise la psicologa «ma anche il bambino “ricevente”, diciamo così, ci trasporrebbe il messaggio nella propria lingua, quindi serve qualcuno i cui genitori siano disponibili a collaborare. Loro potrebbero in effetti tradurre il linguaggio del ricevente in concetti comprensibili a un adulto.»
Il dottor Zama sorrise mentre un piano si delineava nella sua mente.
«Ammesso e non concesso che sia un’ipotesi percorribile, hai idea di chi potrebbe concedere il proprio figlio per questa procedura?»
«Naturalmente!» rispose Zama con un sorriso «Lo chiederò a mia moglie.»
stefy6170 (proprietario verificato)
Se ti piacciono le storie di fantascienza, di spie e di intrighi internazionali, questo romanzo fa per te… Se invece non ti piacciono… Fa per te lo stesso perché è talmente avvincente che ad ogni fine di un capitolo vuoi leggere subito quello successivo… Non è il mio genere di lettura ma l’ho letto tutto d’un fiato…
Fate come me!
Marco Carnazzo (proprietario verificato)
Fantascienza, spie, religione. Questo libro mischia molti ingredienti ma il risultato finale è una storia piacevole e avvincente, cosa rara per un romanzo d’esordio.
Lo consiglio vivamente, anche a chi come me non è un grande fan del genere fantascientifico.
eleonora.poggi45 (proprietario verificato)
Anche se di solito leggo libri di narrativa rosa, Risonanza è stato per me una piacevole sorpresa!
La storia è fantascientifica, ma i personaggi sono resi con molto realismo e la narrazione è fluida e non lascia spazio a dubbi o incertezze.
La prima parte del libro è un po’ lenta, ci sono molte spiegazioni sia scientifiche che spirituali, ma quando l’azione inizia a svolgersi, con l’introduzione di tanti diversi personaggi, di assassini e intrighi mondiali, la narrazione scorre fluida fino alla fine.
Non riuscivo a smettere di leggere perché ad ogni fine capitolo volevo vedere cosa sarebbe successo subito dopo, portandomi verso il finale quasi senza che me ne rendessi conto!
A me questo libro è piaciuto molto, ve lo consiglio!