Il prete era dubbioso. L’accento dell’uomo era strano, benché parlasse perfettamente la lingua. Che fosse un fuggitivo? Un disertore? Un delinquente? A prima vista non si sarebbe detto: era sì sporco e poco presentabile, ma le sue vesti erano di ottima fattura e tenute con ordine, così come erano tenute con ordine la barba e le unghie. Aveva uno sguardo spento e incredibilmente annoiato, come se fosse stufo di ripetersi continuamente, ma anche mite. Pareva innocuo e decisamente molto, molto stanco. Ci sarebbe stato il tempo per valutarlo meglio e la possibilità di avere un medico al villaggio non andava sprecata.
«Vi prego, siate mio ospite per questa notte. Farete un bagno, mangerete e dormirete. Domani discuteremo insieme della vostra… permanenza. Ma prima, ditemi: chi è il vostro silente compagno?»
«Padre, lei è mia figlia: Elizabeth.».
Ancora avvolta nel suo mantello, la figura scese lentamente dal carro, fece un lieve inchino al prete e borbottò un breve saluto.
«Suvvia, non siate timida! – esclamò il prete – Permettete che vi guardi in viso.». La ragazza si allontanò di mezzo passo e chinò ancor di più il capo, come se volesse rifuggire la richiesta appena udita; ogni fibra del suo corpo pareva tesa e irrigidita. Matias la prese gentilmente per il braccio e, indovinando i suoi pensieri, disse «Sii cortese, figlia mia. Saluta degnamente il nostro gentile ospite e lascia che ti guardi.».
Con gesti rassegnati, ma visibilmente scocciati, la ragazza fece quanto le era stato ordinato. Non appena il cappuccio le cadde sulle spalle, rivolse gli occhi al prete. Padre Donovan sussultò, ma cercò di ricomporsi subito dopo, tentando di dissimulare il tutto con un mezzo sorriso. Elizabeth, che non aveva mai smesso di fissarlo, osservò con disgusto la sua reazione e strinse gli occhi in un’espressione ostile. A quel punto il prete sciolse bruscamente la folla di curiosi e accompagnò padre e figlia al monastero. Matias venne indirizzato verso gli alloggi dei preti, Elizabeth venne affidata alle cure delle due sole suore presenti.
Il Padre non si attardò molto insieme a loro e, congedati velocemente i due ospiti, corse nei suoi alloggi, per poter riflettere in solitudine. Chiuso a chiave nella propria stanza, camminava su e giù, sgranando nervosamente il suo rosario serale. Ogni “Ave Maria” pregava più forte, sperando che il suono della sua voce riuscisse a scacciare le visioni che stavano prendendo il controllo della sua mente.
Quella ragazza. Era. Poteva essere? Perché aveva esitato? Si vergognava della propria… situazione? O temeva di essere riconosciuta? Voleva celargli i segni… inequivocabili, così evidenti sul suo giovane corpo?
Un tale marchio non si poteva certo nascondere. Lei era stata segnata e questo poteva voler dire solo una cosa! Ma la guerra era finita, la caccia terminata. Ogni traccia di quel male era stata estirpata da quelle terre, con molto dolore e sacrificio. Com’era possibile? Che quella ragazza, così seria e gelida venisse da tanto lontano da aver scampato un tale destino?
Doveva scoprire di più su di lei, su di loro. Servivano prove, concrete. Ma con la dovuta cautela; la fretta non portava mai buoni consigli e la quiete del villaggio non andava turbata per nessuna ragione. Però non era detto che i due si sarebbero fermati a lungo; avrebbero potuto stufarsi del posto e spostarsi altrove. La gente del villaggio aveva bisogno di un cerusico e lui aveva bisogno di tempo; bisognava fare in modo che restasse.
E poi… lei era solamente una; aveva affrontato molto di peggio in passato e molti dei suoi erano ancora nei paraggi, sempre pronti e sempre all’erta. Se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe avuto il supporto necessario.
Nonostante questi ultimi pensieri gli avessero instillato un minimo di sicurezza, il prete non riusciva a trovare la calma, perché aveva ben vivo davanti a sé il bellissimo volto di Elizabeth: pelle bianca e pura, contaminata di macchie, occhi smeraldini, furenti di rabbia, capelli rossi, accesi dal fuoco del peccato. Solamente le figlie della bestia avevano una tale, ardente chioma. Tuttavia, le regole erano cambiate adesso. Il nuovo vescovo aveva stabilito che i tribunali cessassero i processi. Qualcuno aveva dimostrato che chi portava il marchio poteva non essere stato contaminato dal male. Bisognava aspettare. In tempo di guerra non v’era mai stato il tempo di aspettare; si era agito sempre tempestivamente e preventivamente. Inutile sprecare preziose ore di sonno, arrovellandosi su tanti problemi. Bisognava aspettare.
Padre Donovan decise finalmente di coricarsi. Non dormì granché, a causa degli oscuri pensieri che gli ingombravano la mente, oramai poco abituata a portare il peso di simili preoccupazioni. Al suo risveglio, iniziò automaticamente quella che era, da anni, la sua immutata routine quotidiana. All’esatto sorgere del sole, scese nel refettorio per la colazione. Pregustava già la solitudine del pasto e la tranquillità della grande sala vuota, che gli avrebbe dato la possibilità di riflettere sul da farsi. Fu quindi con sorpresa e immensa irritazione che accolse il cenno di saluto di Matias, oramai intento a mangiare. Non potendo permettersi di essere scortese, il prete si sedette di fronte a lui.
«Buongiorno, Eccellenza.»
«Padre Donovan.» rispose secco il prete
«Padre Donovan.» ripeté l’uomo
«Siete mattiniero.»
«Abitudine.»
«Avete riposato bene?»
«Assai bene, invero. Un letto è sempre cosa gradita, dopo un lungo viaggio.»
«Vostra figlia?»
«Elizabeth è uscita.»
«Così presto? E sola?»
«Abitudine. Le piace camminare, appena si sveglia. – a quella risposta, il prete scosse la testa con disapprovazione – Suppongo che a breve sarà di ritorno e si unirà a noi.». Non fece in tempo a terminare la frase, che la porta del refettorio si aprì lievemente facendo penetrare uno spiraglio di luce. La giovane figura della ragazza si mosse lentamente tra i tavoli e si sedette accanto a padre.
«Buongiorno padre. Signor Donovan.»
«Padre Donovan!» sbottò l’uomo a denti stretti. Elizabeth lo ignorò deliberatamente e prese un tozzo di pane dal vassoio di suo padre.
«Le donne – sibilò il prete – sono solite mangiare nell’altra sala.». Elizabeth strinse gli occhi nella stessa espressione torva della sera precedente e posò il pezzo di pane. Si alzò compostamente dalla tavola e, dopo aver salutato suo padre, se ne andò, non senza rispondere gelidamente al prete «Sono solita mangiare con mio padre.».
Il prete non nascose quanto l’atteggiamento della giovane lo indisponesse. Tuttavia, Matias fu pronto a rabbonirlo; sapeva benissimo quanto poco ci sarebbe voluto prima che il carattere della figlia lo mettesse nei guai.
Giocò in anticipo e a carte scoperte.
Spiegò, con pazienza, al prete tutta la loro storia, ancor prima che lui gliela chiedesse; raccontò di come la guerra fosse giunta fin sulla soglia delle loro case, di come avesse distrutto le loro vite, costringendoli a fuggire lontano. La loro città era stata data alle fiamme e in molti non erano riusciti a scampare all’incendio… compresa la moglie di Matias. Cercando di salvare la figlia, la donna era rimasta intrappolata nella loro casa in fiamme. La perdita della madre aveva segnato profondamente Elizabeth, che da allora aveva perso il suo carattere vivace e brillante, si era fatta sempre più cupa e schiva, poco incline alla compagnia e alle maniere socievoli. Matias sperava, per sé stesso e per la figlia, che la vita tranquilla del villaggio avrebbe restituito loro un poco di serenità e, forse, una nuova occasione. Elizabeth era molto infelice, provata dai continui spostamenti e soffocata dai sensi di colpa; avrebbe avuto bisogno di comprensione.
Il prete ascoltò tutto nel più profondo silenzio, senza mostrare il benché minimo turbamento; notò che Matias parlava con voce ferma, ma facendo spesso lunghe pause, come se i ricordi fossero veramente troppo dolorosi per essere pronunciati ad alta voce. V’era un’inflessione di rassegnazione nella sua voce e un vago tremolio nel pronunciare certi eventi. Il prete riconobbe molti dei nomi di luoghi e città pronunciati dall’uomo e, con una rapida analisi mentale, gli pareva che tutto fosse coerente. Era plausibile che una simile tragedia avesse gettato una ragazza così giovane nella disperazione.
Offrì all’uomo tutto il sostegno di cui avesse avuto bisogno e gli propose di alloggiare al monastero, insieme alla figlia, ma questi rifiutò: voleva una propria casa, un luogo da poter sentire di nuovo come proprio, dove poter mettere radici. E fu accontentato.
Fu così che Matias ed Elizabeth iniziarono la loro nuova vita a Saint-Cristophe. L’uomo mantenne la parola data e si mostrò fin da subito meravigliosamente capace nel suo lavoro; sapeva fare, praticamente, di tutto. Era particolarmente abile nell’uso delle piante: preparava veleni, misture, decotti e impiastri molto efficaci, confezionava, unguenti, pomate e olii per qualsiasi uso.
Molto presto si guadagnò il rispetto degli abitanti del villaggio, ma non la loro fiducia. Egli rimaneva sempre e comunque un estraneo. Si alzava all’alba, lavorava tutto il giorno, beveva un bicchiere dopo il tramonto e tornava a casa, come tutti; si confessava ogni giovedì, andava in chiesa la domenica indossando il vestito buono, salutava tutti e trattava tutti con cortesia. Ma al di là di questo, viveva isolato nella sua casa, dove nessuno mai andava a far visita a lui o alla figlia.
E Elizabeth?
La ragazza non era ben vista, non che lei si impegnasse perché non fosse così. Il suo carattere duro e i suoi modi freddi la tenevano lontana dalla gente, il suo sguardo altezzoso e gelido suscitava un misto di timore e antipatia. Se non era allo studio di suo padre, era fuori chissà dove a fare chissà cosa.
Da quando lei e suo padre erano arrivati, nessuno aveva memoria che fosse entrata in chiesa o che si fosse presentata alla messa domenicale. Padre Donovan fece presto le sue rimostranze a Matias, per il comportamento della figlia. Non era ammissibile che una ragazza, per di più della sua età, non si presentasse in chiesa, andasse in giro da sola, e soprattutto non era accettabile che aiutasse suo padre. Il cerusico non era lavoro da donne! Matias avrebbe dovuto trovarsi un apprendista, insisteva il prete, e al villaggio c’erano tanti buoni giovani istruiti tra cui scegliere. L’uomo, tuttavia, riuscì a convincere il Padre a essere indulgente: Elizabeth non amava stare in luoghi affollati, preferiva pregare nella sua stanza ed era molto brava; aveva sempre aiutato il padre nel suo lavoro, fin da quando avevano iniziato a viaggiare e Matias temeva che toglierle quel ruolo l’avrebbe isolata e rattristata ancor di più. Bisognava portare pazienza. Presto, anche lei si sarebbe adeguata. Presto.
Elizabeth, dal canto suo, cercava di ridurre la sua esistenza al minimo.
La sua mente vivace sorvolava su tutto quanto le accadeva attorno. Che fossero dicerie o giudizi, a lei non importava. Non le importava nulla di tutte quelle piccole, mediocri persone intente a vivere le loro misere vite. Voleva semplicemente stare esattamente com’era: sola. Se non doveva lavorare nello studio, passava ore nei campi aperti o al limitare dei boschi passeggiando o cogliendo erbe per le ricette del padre. Dentro di sé, sapeva di star fuggendo ogni volta che abbandonava il villaggio e la sua gente per rifugiarsi in mezzo alla natura. Che non le importasse di loro era vero, ma sentiva una fitta al petto tutte le volte che coglieva i loro sguardi o udiva le loro parole.
Diversa. Strana. Straniera. E coi capelli rossi.
L’unica cosa che le restava di sua madre erano quegli stessi, maledetti capelli color del fuoco e a volte temeva che, se non fosse stato per loro, il ricordo di lei sarebbe svanito nel nulla da un giorno all’altro, come se non fosse mai esistita. Elizabeth si rendeva conto che il suo sguardo s’incantava ogni volta che aveva l’occasione di vedere il proprio riflesso da qualche parte e cercava, in quel riflesso, quel volto conosciuto. La somiglianza con la madre le riempiva l’anima d’un piacevole tepore e la faceva sorridere, perché non c’era nessuno che lei avesse ammirato di più in tutta la sua vita. Ma questa piccola gioia moriva ogni qualvolta che erano gli occhi di suo padre a caderle addosso; la osservava, come se qualcosa in lei non fosse al posto giusto, come se quello che c’era in lei non fosse abbastanza per ricordargliela.
Poteva anche somigliarle, man mano che cresceva ogni giorno di più, ma non era lei. E suo padre la odiava per questo.
Non passava giorno senza che loro due non discutessero. Matias rimproverava la figlia per il suo comportamento sconveniente, le intimava di smetterla e fare quanto le veniva chiesto di fare, le ricordava quale era, adesso, il suo posto nel mondo. Di guai ne avevano già passati tanti e se lei non si fosse adeguata ne avrebbero passati degli altri. Elizabeth di rado rispondeva alle urla del padre, ma quando lo faceva replicava con frasi enigmatiche e che parevano non centrare nulla col senso del discorso. I vicini, spesso, non riuscivano proprio a capire cosa volesse dire la ragazza; ogni tanto, pareva quasi che il suo tono rabbioso storpiasse le parole, a tal punto da far sembrare che parlasse un’altra lingua. Presto le urla si mutarono in gelidi silenzi. E gli sguardi malinconici di Matias divennero cupi lampi di disprezzo e frustrazione.
Una sera non si presentò a cena. E così anche il giorno seguente. E quello seguente ancora. Elizabeth non ci mise molto a realizzare che il padre preferiva il chiacchiericcio della taverna al silenzio della loro tavola; ma si accorse troppo tardi di quanto avesse iniziato ad amare il vino. Non contava nemmeno le volte che Matias tornava a casa completamente ubriaco, nonostante il coprifuoco.
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