Le prime sfumature di rosa e arancione cominciarono a colorare il cielo. La spiaggia, un tappeto di sabbia fine e dorata, giaceva tranquilla, in attesa di essere inondata dai raggi solari. Le onde accarezzavano la riva con un sussurro delicato, una melodia dolce e rassicurante che annunciava l’arrivo imminente dell’alba. In quella quiete, delicatamente interrotta dal suolo confortante del mare, Paolo osservò la sua ombra disegnarsi sulla sabbia mentre si gustava il profumo salmastro del mare. Sulla spiaggia erano presenti dei gabbiani, alcuni dei quali come lui scrutavano l’orizzonte, mentre altri si misero a giocherellare con alcune delle conchiglie posate lungo la riva, dei piccoli tesori lasciati dalla marea durante la notte. Una leggera foschia si alzava dall’acqua, avvolgendo la scena in una sorta di velo etereo. Man mano che il cielo si tingeva di colori sempre più vividi, dall’indaco al rosa, la spiaggia si risvegliò. I primi raggi del sole, come pennellate di fuoco, cominciarono a dipingere il cielo con sfumature arancioni e dorate. La natura si stava preparando a rivelare la propria opera d’arte al mondo, e la spiaggia, testimone silenziosa, era pronta a trasformarmi in un palcoscenico per uno degli spettacoli più belli del mondo. In quella cornice, Paolo chiuse gli occhi mentre un pensiero cominciò a stuzzicargli la mente con insistenza, un sentimento che non provava da tempo e che pensava che non avrebbe mai più sperimentato.
Era felice.
Capitolo 1
Rimani calmo
La città di Vallechiara, ancora impregnata dall’effetto del recente temporale, mostrava i segni della sua lotta con la furia della natura. Paolo si trovava nel mezzo di quella quiete surreale che segue ogni tempesta, un momento di tregua tra la violenza del clima e l’incertezza di ciò che verrà dopo. Le strade di Vallechiara erano un labirinto di pozzanghere scintillanti, residuati di quell’intensa precipitazione notturna, e il fruscio delle gocce d’acqua cadute dagli alberi creò una melodia sottile la quale accompagnò Paolo mentre avanzava attraverso la città. Le foglie, ormai spoglie, erano intrise di pioggia, cadendo con grazia per imprimere sulla strada la loro danza autunnale. In questo scenario, il ragazzo si ritrovò suo malgrado costretto ad affrontare le trappole lasciate dal temporale. Le pozzanghere, alcune delle quali profonde e traditrici, decoravano la strada come specchi irregolari, riflettendo il cielo ormai privo di nuvole portatrici di pioggia. Con abilità, Paolo riuscì a evitare le insidie della strada ma, proprio quando credeva di essere al sicuro e di aver superato il peggio, una buca sfuggita al suo occhio gli giocò un brutto scherzo. La sua fedele monovolume grigia, ormai consumata dagli anni, assorbì l’impatto della buca con stoicismo, ma non senza conseguenze. L’autoradio, infatti, si accese inaspettatamente, rivelando che qualcosa all’interno dell’auto aveva ceduto…
…credo, non ne capisco niente di auto, pensò Paolo, mentre dall’autoradio fuoriuscivano le note musicali di quella che probabilmente era la sua canzone preferita, ovvero Una palude dei Ministri. La sfortuna sembrava stringere Paolo in una morsa implacabile, come se il destino avesse deciso di sfidarlo con una lunga serie di inconvenienti. Il CD intrappolato nel lettore dell’auto, contenente una compilation di canzoni da lui creata, rappresentava solo l’ultimo capitolo di una serie di contrattempi che avevano segnato la vita della sua monovolume. Paolo, che aveva trovato parcheggio lungo la strada che lo avrebbe portato alla sua metà, abbassò il finestrino e assaporò i rumori e gli odori tipici di una pioggia terminata dal alcune ore.
Dall’altro lato della strada, uno sguardo fortuito gli svelò un ragazzo, forse suo coetaneo, intento a portare a spasso un magnifico labrador dal mantello bianco. La vista di quell’adorabile cane suscitò un sorriso spontaneo in Paolo, il quale aveva un debole per i labrador e per gli animali in generale. Le note di Una palude continuarono a fare da colonna sonora di quei momenti di attesa. Come al solito, Paolo era arrivato con diversi minuti di anticipo e non se la sentiva di andare all’appuntamento per primo. Fossero state altre le circostante probabilmente non avrebbe dato troppo peso alla cosa, ma visto dove si stava per dirigere…
Mentre le parole del testo Una palude si facevano sempre più forti, nonostante non avesse alzato il volume dell’autoradio, Paolo prese il suo smartphone e decise di fare l’unica cosa che chiunque avrebbe fatto in quel momento: chiedere agli altri invitati a che punto fossero. Nel suo caso, visto che non aveva più rapporti con quasi nessuno dei presenti alla rimpatriata, non fu difficile decidere quale sarebbe stata la vittima della sua chiamata. Scelto il nome dalla rubrica, Paolo mise al minimo il volume dell’autoradio, mise il vivavoce e posizionò lo smartphone sul cruscotto, attendendo la risposta di colui che aveva deciso di contattare telefonicamente.
«Pronto?» farfugliò una voce maschile.
«Ehi Gabri’ ciao!» fece Paolo fingendosi raggiante ed euforico.
«Mollami», fece Gabriele con tono seccato.
«Ma non ho nemmeno detto perché ti ho chiamato.»
«So già cosa sta succedendo, sei arrivato con mezz’ora di anticipo e non vuoi andare da solo a casa di Elena. Quindi mi stavi per chiedere a che punto fossi. Ho indovinato?»
«Non sono arrivato con mezz’ora di anticipo», ribatté Paolo. «L’appuntamento era alle 9:30 e io sono arrivato in zona alle 9:08.»
Dall’altra parte della linea telefonica arrivò solo silenzio dopo quella sua ultima affermazione. Passarono alcuni secondi prima che Gabriele trovasse la forza di rispondere:
«Io ti uccido.»
«Sono più alto di te di almeno venti centimetri, anche se lo volessi fare davvero non ti renderei il compito agevole», ridacchiò Paolo.
«Ma prima o poi lo farò. Ti auguro un crampo ogni giorno, prima o poi le mie maledizioni ti arriveranno.»
Proprio quella notte, Paolo aveva avuto un crampo al polpaccio destro. Non disse nulla, così da evitare che Gabriele pensasse di avere davvero dei poteri legati alla stregoneria.
«Allora, a che punto sei?» chiese Paolo, conscio che quella domanda avrebbe mandato su tutte le furie Gabriele.
«Ti odio», rispose sbuffando Gabriele, per quanto il tono dell’intera conversazione fosse chiaramente goliardico. «Sono per strada, dieci minuti e sono lì. Sto guidando quindi non mi richiamare tra dieci minuti, perché sai perfettamente che con dieci minuti intendo quindici.»
«Allora perché non dici quindici minuti?» controbatté Paolo.
«Appena arrivo ti tiro un pugno. Che ansia.»
«Anche io ti voglio bene. Allora ci vediamo davanti a casa di Elena tra quindici minuti.»
«Venti, ciao.»
Prima che potesse ribattere nuovamente, Gabriele chiuse la chiamata.
Se continuo così un giorno mi ucciderà davvero, pensò Paolo mentre scendeva dall’auto.
Il momento in cui Paolo scese dall’auto e posò i piedi sull’asfalto bagnato segnò l’inizio di una sensazione di inquietudine che gli provocò un brivido lungo la schiena. Era come se solo in quel momento si fosse reso conto di dove si stesse dirigendo e un senso di nervosismo si diffuse in lui, scuotendolo come una foglia cullata dal vento.
Si strinse le mani e respirò profondamente, tentando di placare quella crescente agitazione e di ristabilire un controllo sul proprio battito cardiaco. I pensieri affioravano, ricordandogli l’importanza e la carica emotiva di quello che lo attendeva. Rimase lì, immobile, in una sorta di limbo emotivo, e il suo sguardo cadde sulla villa di Elena, distante poco più duecento metri, lì dove si sarebbe svolta la rimpatriata con i suoi ex compagni di classe della Sezione M nella quale Paolo aveva trascorso, suo malgrado, cinque anni della sua vita.
*
Elena si guardò allo specchio. Sospirò.
Gli occhi nel riflesso incrociarono i suoi, e in qualche modo fu come se la sua “io” allo specchio la stesse giudicando. Il numero di battiti del suo cuore aumentò d’improvviso mentre la sua mente si perdeva in un vortice di pensieri e timori. Fissò il proprio riflesso, scrutando attentamente ogni dettaglio del suo aspetto. L’altezza che la caratterizzava l’aveva sempre fatta sembrare più grande rispetto agli anni che effettivamente aveva, e non aveva mai capito se apprezzasse o meno questa sua caratteristica. I suoi capelli lunghi e rossi, ondulati come morbide onde, sembravano avere una vita propria, danzando liberamente intorno al suo viso come un incontrollabile incendio. I suoi occhi verdi, solitamente così vivaci, adesso riflettevano una luce sottile di preoccupazione. Guardandosi negli occhi, Elena cercò di scorgere la forza e la determinazione che l’avevano sempre contraddistinte, ma che in quel momento sembravano essere scomparse dietro a una fragilità che non le apparteneva. Si chiese se sarebbe stata in grado di affrontare la rimpatriata e tutto quello che avrebbe comportato l’incontro tra tutte quelle persone, con tutti gli attriti rimasti sepolti per tutti quegli anni. Un nodo si strinse nella sua gola, mentre quelle preoccupazioni si fecero strada nella sua mente e quel turbamento interiore si rifletté con sempre maggior forza sul suo viso, Le guance erano leggermente più rosse del solito, rivelando la tensione che scorreva dentro di lei. Si mordicchiò il labbro, un gesto nervoso che la caratterizzava ogni qualvolta le emozioni la sovrastavano.
Organizzare quella rimpatriata era stata una pessima idea, ne era consapevole dal giorno in cui aveva deciso di aprire il gruppo WhatsApp dedicato. C’erano tanti fatti insoluti tra suoi vecchi compagni di scuola, ed Elena era certa che durante quella giornata qualcosa di negativo sarebbe successo. Ma decise comunque di andare avanti con la sua idea di organizzare quella rimpatriata perché, così come i suoi compagni, anche lei aveva delle questioni in sospeso da risolvere. Continuò a guardarsi allo specchio, alla ricerca di possibili macchie sulla maglietta bianca che indossava, finché qualcuno non la chiamo:
«Elena? Ne hai ancora per molto?» fece Carlotta bussando alla porta ripetutamente. «Avrei urgentemente bisogno del bagno.»
«Scusami, esco subito Carlotta.»
Dopo un’ultima occhiata allo specchio per assicurarsi che la sua maglietta fosse impeccabile, si affrettò ad aprire la porta e di fronte si trovò Carlotta, una delle sue ex compagne di classe. Notevolmente più bassa di Elena, i suoi capelli biondi cadevano in morbide ciocche intorno al suo viso, sfiorando appena le spalle. Gli occhi di Carlotta, così scuri da sembrare neri, racchiudevano una profondità enigmatica che catturava l’attenzione di chiunque li fissasse.
L’espressione di Carlotta traspariva sofferenza e, senza indugiare ulteriormente, Elena si fece da parte per far entrare la ragazza. Carlotta varcò la soglia senza proferire parola e chiuse la porta dietro di sé con evidente fretta. Mentre si allontanava al piano di sotto, Elena sentì il suono dell’acqua che scorreva dal rubinetto del bagno e una canzone a tutto volume, ossia Judas dei Fozzy, che riconobbe quasi subito. La velocità con cui la musica era partita, probabilmente dallo smartphone di Carlotta, suggerì a Elena che qualunque cosa stesse accadendo in bagno, la ragazza non voleva che venisse udita al di fuori di quelle mura. Elena decise quindi di non approfondire la questione e si diresse verso il salone. Giunta alla fine della rampa di scale, si lasciò cadere sul comodo divano angolare panoramico e fissò distrattamente il soffitto. Sospirò, ancora. Da quando era iniziata la giornata lo aveva già fatto almeno una ventina di volte. Guardò il suo smartphone e andò sul gruppo WhatsApp della rimpatriata, denominato “M – rimpatriata alcoolica”. Sorrise. Aveva dato le credenziali da admin a tutti i membri e qualcuno aveva modificato il nome del gruppo. Non indagò sul responsabile, piuttosto guardò i messaggi più recenti:
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