Così fu, almeno in parte. E questo perché accade sempre che un bimbo si svegli nel pieno della notte strillando come se in preda di chissà quale fastidio o dolore. Solo che quando si svegliava Amanda…si svegliava pure Jennifer.
La giovane coppia affrontò stoicamente e pazientemente il primo anno e mezzo di tribolamenti, fortunatamente per lo più notturni.
Marco lavorava in fabbrica a Sarroch, nella provincia di Cagliari e Sara in un'importante azienda che produceva sistemi operativi per computer e cellulari. Erano già oltremodo impegnati e l'arrivo delle due gemelle esaurì quasi totalmente le loro energie. Fortuna che c'erano i nonni! Se non fosse stato per loro, probabilmente i due avrebbero dovuto affidarsi ad una baby sitter, cosa che entrambi non reputavano ammissibile.
Per Sara e Marco, era fondamentale che le bimbe crescessero nell'ambiente famigliare. Con il passare degli anni, le bambine avrebbero avuto a che fare con le persone “di fuori” volenti o nolenti.
Ma era importante che, almeno durante la prima infanzia, le gemelle fossero tirate su con i principi e i valori che la loro famiglia riteneva fondamentali.
I primi anni trascorsero sereni e con pochi problemi. La famiglia stava bene, sia in salute che economicamente. Le bimbe crescevano e sebbene fino ai tre anni le gemelle avevano comportamenti più o meno simili, fu durante il quarto anno di età che Jennifer manifestò un carattere molto più forte e tenace rispetto ad Amanda.
Amanda non solo appariva più fragile e sensibile ma finiva, ogni qual volta si trovasse in difficoltà, per affidarsi alla comprensione e all'aiuto della sorella. Sara se ne accorse fin da subito: “è più legata alla sorellina che a me”, soleva dire, in presenza di amici o conoscenti.
Entrambi i genitori sapevano che il legame tra gemelli identici è sempre qualcosa di speciale, ma stavolta sembrava proprio che il padre eterno avesse calcato la mano.
Ogni qual volta Jennifer soffriva le pene di una malattia, quale la febbre o una delle classiche malattie dell'infanzia, Amanda entrava in una condizione più o meno simile a quella della sorella.
Per il resto, la loro fu un'infanzia felice, fatta di corse all'aria aperta, di campagne e di estati al mare, di vestiti colorati a carnevale e di regali sotto l'albero a natale.
Poi Jennifer compì nove anni. E quello fu un anno di ben pochi sorrisi.
Tre mesi dopo il suo nono compleanno, Jennifer cominciò a lamentarsi di dolori alle gambe e alle braccia. Quando i genitori la portarono a visita di controllo, i medici dissero loro che si trattava probabilmente di carenza di alcune vitamine ma quella diagnosi fece storcere il naso ad entrambi. Fin da piccole le bimbe erano state abituate a mangiare ogni tipo di alimento e per quanto riguardava il cibo sia Amanda che Jennifer non avevano vizi. Eppure, non avevano da fare altro che seguire le indicazioni della scienza.
Quando poi videro che con il passare del tempo questi dolori andavano aumentando, ci furono altre visite e altri esami.
I pareri dei medici che la visitarono furono quasi sempre contrastanti. Chi diceva che era un problema osseo, chi imputava la causa ad un problema genetico, chi ad un problema legato a trasfusioni di sangue. Sta di fatto che durante quel suo nono anno, Jennifer mise piede in quattro cliniche e girò per le corsie di tre ospedali. Il tutto non portò a miglioramenti evidenti.
L'anno dopo, la piccola si spostava in carrozzella. Le gambe non la reggevano più e anche le braccia diventavano sempre più deboli. Eppure Jennifer, grazie alla sua forte volontà e al suo modo di essere, sorrideva e dava coraggio ai suoi genitori e soprattutto alla sua amata sorella.
Amanda era quella che soffriva più di tutti e ogni sera si ritrovava in camera sua, inginocchiata davanti al suo letto, con le mani giunte ad invocare Dio, Gesù e la Madonna, che salvassero la sua adorata gemella.
Ma il tempo passò e nonostante tutte le sue invocazioni, Jennifer continuava a peggiorare. Amanda si arrabbiò contro Dio e più di una volta si era figurata lui e tutti i santi con le mani a tapparsi le orecchie proprio per non ascoltarla.
“Perché Dio non ci ascolta, mamma? Perché è così cattivo?” chiese una volta a sua mamma, mentre un mare di lacrime le bagnava le guance.
Sara non disse niente, poi abbracciò sua figlia stringendosela al petto.
Amanda pensava a Jennifer, a quella bimba che ogni volta riusciva a darle coraggio con le sue parole, con i suoi sorrisi, a quella bimba che ora era in una sedia a rotelle. Quella bambina che una volta le aveva detto di non arrendersi davanti alle difficoltà e di farsi forza che tanto lei sarebbe stata al suo fianco…per sempre.
“Sarò sempre con te, sorellina”, le aveva detto una volta, in campagna, durante una pausa tra un gioco e un altro.
Ma poi i mesi passarono, veloci e inesorabili e alla fine Amanda capì che il tempo di sua sorella era scaduto. A undici anni era diventata abbastanza grande da capire che anche le persone che amiamo di più, come la mamma o il papà…o anche una sorella, possono abbandonarci se il destino ha deciso così. A undici anni capì che la vita può mordere. Può mordere da lasciarti ferito e segnato per sempre, oppure può addentarti in modo da non lasciarti scampo.
Gli ultimi mesi di vita di Jennifer furono i più penosi. La bimba non parlava più. La malattia, che adesso i medici avevano identificato come un morbo molto raro e incurabile, gli aveva persino tolto il dono della voce.
Amanda ricordò per sempre quegli ultimi mesi. Giorni fatti di sguardi e lacrime. Di abbracci forti e di tenere carezze.
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