Si aspettò che il sole avesse compiuto il suo solito giro, per far sì che l’anziana signora Motus serrasse ermeticamente le grandi ante del salotto, fino al nuovo giorno.
Uno come gli altri, del resto; non c’era motivo di cambiare abitudini; il sole sarebbe sorto comunque, e Geneviève Motus avrebbe svegliato le sue compagne facendo oscillare le tende della finestra in fondo al corridoio dove si sradicavano le stanze. Gli anelli così tintinnavano, e iniziava un nuovo giorno in quel grande maniero sperso nel nulla.
La cena era già stata servita da un po’, ma con il cambio di stagione si faceva fatica e riconoscere che fossero passate le otto di sera già da almeno trenta –se non di più- minuti.
«Grazie, dolcezza» ringraziò Ms. Lloyd all’arrivo del suo piatto, l’ultimo dell’infinita tavolata.
Alti e antichi mobili di legno scuro correvano lungo mezzo perimetro del salone, interrotti dal pianoforte del ragazzino. All’interno, protetti da un sottile strato di vetro limpido, alloggiavano i servizi da tè preferiti da Madame Motus. Nessuno li aveva mai effettivamente toccati, all’infuori della ragazza che si occupava della grande casa, alla quale, la stessa Motus, si era raccomandata che fossero splendenti. Tuttavia, ogni volta che doveva spolverarli, se pur ormai da parecchi anni, la povera Elène tremava dalla paura di poterli scheggiare o addirittura far cadere e frantumare in mille pezzi.
Le anziane signore di casa Motus si stavano gustando la loro ricca cena invernale, quando un suono sgradevole percorse l’atmosfera. E in un attimo ci fu il silenzio.
«Brian» lo chiamò la signora l’Arc.
Dalla sua intonazione si poteva capire che la calma e l’ira della signora erano separati da un sottile rimasuglio di filo.
«Sì, signora» rispose Brian in piedi, chinando il capo, in segno di riverenza.
Non sembrava la prima volta che succedeva. Chiunque fosse entrato in quel momento avrebbe capito che il ragazzino al pianoforte non ne voleva sapere di imparare la giusta sequenza delle note.
«Quello è un FA, non un MI» rispose Madame Motus senza alzare gli occhi dal piatto.
Brian riprese posto davanti al suo strumento e cambiò brano: non se ne sarebbero accorte, l’importante era fare atmosfera.
«Domani è sabato» iniziò la signora Yvonne.
«No, si sbaglia. Domani è venerdì» la fermò Ms. Eloquienne.
«La monotonia di questa casa mi schiaccia» piagnucolò Ms. Yvonne con fare tragico. «Elène, tesoro, che giorno è domani?»
La ragazza si diresse verso la parte di salone dedicata al salotto vero e proprio e diede un’occhiata al foglio appeso con segnati a mano tutti i giorni del mese.
«Domani è venerdì, mia signora» proferì Elène tornando al suo posto.
«Quindi stai dicendo che Ms. Yvonne ha torto?» ribatté la signora Lloyd sorseggiando la sua zuppa.
«Signora, io…» tentennò Elène.
«Ha ragione la ragazza» la difese Madame Motus «Yvonne, sono sei giorni che per te “domani è sabato”»
«In ogni caso» si riprese gesticolando con fare irritato Ms. Yvonne «Quando sarà sabato…»
«Sì, signora» rispose prontamente Brian facendo volteggiare le dita sopra i tasti neri e bianchi.
«Ottimo» concluse la signora Yvonne.
Il ragazzino suonò l’ultimo giro di note del breve brano, e al pensiero di averlo svolto correttamente, tirò un sospiro.
«Delizioso» commentò a bassa voce la signora l’Arc.
Brian sorrise raccogliendo i suoi spartiti, sapendo che pur la signora si stesse riferendo a lui, avrebbe comunque collegato il suo commento alla zuppa di pesce che stava per finire. Ma Brian era contento: adesso che le signore avevano finito, poteva sedersi anche lui a mangiare. Da solo, nell’infinito salone di Madame Motus.
ESTRATTO, CAPITOLO 8
«Ieri, ho notato una cosa» disse piano Elène, avvicinatasi a Brian.
Il ragazzo volse lo sguardo verso di lei, e vide di nuovo le linee perfette del suo viso, sempre troppo alte rispetto al suo.
Per un attimo, ebbe l’impulso di tornare in punta dei piedi e terminare ciò che avevano intrapreso e per lui, non finito, la sera prima, ma si ritirò velocemente al suo posto.
«Prima di tornare a letto, ho dato un’occhiata al mobile dove le signore tengono gli strumenti per il taglio»
«E…?»
«Ho visto un quaderno. Rilegato, con i bordi marroni e con la copertina consumata»
«Carta straccia» commentò Brian.
«Dobbiamo guardarci, non trovi?»
Elène non aspettò un’altra risposta scocciata del ragazzino, così si diresse verso il luogo dove aveva intravisto il quadernino, e con la precisione di un geometra, lo tirò fuori dalla vetrina che lo proteggeva senza emettere alcun rumore.
Brian, l’aveva raggiunta, e si sporse in avanti per valutare ciò che teneva in mano.
Era effettivamente un quaderno rilegato di pochi centimetri per lato, forse meno di una decina. Completamente rivestito di marrone, ospitava sopra di lui uno strato di polvere che a valutarlo da lontano, si sarebbe pensato che il colore del cuoio fosse effettivamente il grigio chiaro che vi campeggiava.
Con delicatezza, Elène aprì il piccolo diario e una nuvola di polvere si alzò dalle pagine ingiallite dal tempo.
«Oh, guarda»
Brian indicò una pagina segnata di inchiostro, con lettere articolate e frasi che terminavano in diversi punti della riga del foglio.
Soltanto Elène sapeva leggere, a Brian era riservata solo la musica.
Con delle piccole difficoltà, Elène riuscì a mettere a fuoco le parole presentatele sulla carta, ma i girigogoli delle lettere non facilitavano la decifratura.
“Là, nel giardino dove non crescono le fragole
c’è un uomo che non torna
una luce che non smette
di brillare, e un angelo si solleva.
e forse tornerà
ma tu non lo sai”
G.B.
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