Il suono rauco e sibilante del videocomunicatore interruppe la sua corsa sul prato. Era il padre che la stava chiamando: «Sciscì, attenta, svegliati.»
«Si papi ci sono, cosa ti serve? Mi ero appena addormentata.»
«Scusa Sciscì ma è una cosa importante. Sai il satellite di cui ti parlavo, non si è scontrato come pensavamo. Ha perso la sua orbita e, entrando nell’atmosfera si è diviso in più parti. Stanno cadendo sulla terra. Ho calcolato le traiettorie di caduta dei detriti. Forse non saranno grandi ma una parte potrebbe cadere proprio dalle nostre parti. Preferirei che tu fossi al sicuro. Scendi giù nel bunker. Portati un sacco a pelo, accendi il riscaldamento e vai a dormire sul lettino dell’infermeria. Non ti preoccupare per me, quando rientro mi arrangio ma per precauzione non parto ora, aspetto domani mattina, quando sarò sicuro che la pioggia di detriti sarà finita. Hai capito?»
«Si. Si. Papi, ok vado,» rispose lei ancora con gli occhi semichiusi.
«Stai tranquilla, non succederà nulla. È solo una precauzione. Buona notte. Un bacio.»
Scilla si mise sulla testa a mo’ di mantello con cappuccio, la coperta. Aprì il cassettone e prese un sacco a pelo termico. Spense la luce e, prima di aprire la porta pressurizzata, allungò il collo per guardare fuori dall’oblò. Il soffice tappeto di neve sul tetto del magazzino ormai aveva raggiunto uno spessore considerevole. D’un tratto la sua attenzione fu attratta da una specie di sfera luminescente, poco più grande di un uovo, di colore verde. Scendeva lentamente ondeggiando come fosse un grosso fiocco di neve. Scilla si sporse appoggiando il naso contro il vetro dell’oblò per vedere meglio. In verità di sfere luminose, con la neve, ne scendevano diverse come fanno le bolle di sapone. Ognuna di loro aveva una sfumatura di colore diversa: viola, verde, blu, giallo. Sembrava che cadessero concentrate proprio nel loro giardino. Quelle che toccavano terra si rompevano o per meglio dire, scoppiavano, disperdendosi in mille scintille colorate. Quelle che si posavano sulla superficie morbida e ghiacciata della neve, restavano intatte e continuavano ad emettere una tenue luce colorata.
Scilla pensò che sarebbe stato troppo bello uscire e farne scoppiare qualcuna come fossero davvero bolle di sapone. Purtroppo sapeva bene che non le sarebbe bastato lo scafandro protettivo perché le radiazioni UV del sole che, durante il giorno, restavano imprigionate nell’atmosfera dalle nubi piroclastiche, la notte riuscivano a superare la barriera e piombavano sulla terra, prive di energia luminosa ma potenzialmente più nocive per la pelle e gli occhi. Quindi, dopo aver guardato ancora per qualche secondo quello spettacolo inusuale, uscì dalla sua stanza e scese nel bunker. Che tristezza.
CAPITOLO DUE
GHOST
Inutile nasconderlo, il lettino dell’infermeria era così scomodo che a confronto del materasso a sfere d’acqua della sua camera, era come se Scilla avesse dormito direttamente sulla roccia vulcanica. Erano le cinque del mattino quando, in preda alla disperazione, decise di alzarsi. Ormai il pericolo dei detriti cadenti era passato da diverse ore. Salì in superficie e ordinò alla cucina di preparare una colazione sostenuta, nel frattempo andò in bagno. Intonando un po’ stonata, la canzoncina che il giorno prima Alejandro aveva tradotto e cantato. Fece una doccia rigenerante.
Fuori era ancora molto buio. La luce intermittente della pista di atterraggio continuava incessante il suo ritmico bagliore. La neve continuava a cadere e sulla lamiera del magazzino arrivava addirittura al ginocchio. Insonnolita e insofferente per non aver riposato, infastidita da quei riflessi bluastri intermittenti, aprì l’armadio dei comandi e la spense, accompagnando il gesto con un: «Basta!»
Andò nella sua camera e si affacciò all’oblò e in quel momento si rammentò delle luci colorate simili a bolle di sapone che la sera prima scendevano dal cielo. Suo padre non era tornato.
Stringendo un po’ gli occhi le sembrò di vedere, sotto la coltre di neve, qualche piccolo bagliore.
Restò immobile con la fronte appoggiata al cristallo e pensò: “il vetro dell’oblò è affumicato per proteggere dalle radiazioni, quindi, il leggero bagliore che vedo sotto la neve, in realtà deve essere una vera e propria luce”.
Uscire per recuperare o almeno per guardare da vicino quello strano fenomeno non era cosa semplice e poi suo padre non avrebbe approvato, poteva essere un rischio. Avrebbero potuto essere diavolerie strane caduta da chissà dove, forse facevano parte dei detriti… forse… “Va beh, se non vado a vedere non lo saprò mai. Se fosse una cosa che scoppia sarebbe già esplosa, in ogni caso io non la tocco, mi avvicino la guardo e poi aspetto mio padre”.
Mentre faceva queste considerazioni ricevette un messaggio dal padre che diceva: «Buongiorno tesoro, tutto ok? Quando ti sveglierai non mi troverai perché mi fermo ancora qui all’osservatorio, però chiamami che ci salutiamo di persona. Bacio bacio.»
Cominciò ad infilarsi la calzamaglia tessuta con fili di titanio. I calzettoni, la tuta, le scarpe termiche, i guanti e il casco. Prima di accendere l’erogatore dell’ossigeno si infilò in bocca un bastoncino di liquirizia, ovviamente sintetica. L’aveva visto in un vecchissimo film, in cui il protagonista era un cane meraviglioso, il titolo era qualcosa come “commissario Rex”. Il padrone del cane succhiava bastoncini di liquirizia per concentrarsi e farsi coraggio.
Prima di fare qualsiasi altra cosa, fece il “check” delle procedure scritte sul foglio plastificato, appeso sulla porta. Tutto ok. Poteva uscire. Richiuse accuratamente la doppia porta pressurizzata alle sue spalle. La luce esterna in effetti era molto più forte di quanto aveva visto attraverso l’oblò. Lentamente si avvicinò al magazzino. Salire sino al tetto fu facile perché era bastato utilizzare lo scooter-jet e azionare il comando di salita verticale. Le luci che lampeggiavano sotto la neve, sparse sulla tettoria di lamiera, non erano tante. Dopo una attenta riflessione, decise che poteva prenderle senza toccarle. Conservarne qualcuna da mostrare al padre. Le sarebbe servito un contenitore di quelli che la madre usava per conservare i vaccini. Con il Jet si spostò velocemente sul retro del magazzino. Prese due ice-box termici. “Fantastico questo Scooter Jet, è stato un magnifico regalo”, aprì il portaoggetti e lo scooter si trasformò in un piccolo veicolo da cargo. “Mitico”. Era un modello particolare di scooter-jet, suo padre glielo aveva regalato pensando che le potesse essere utile. Non solo per la velocità ma, soprattutto, per la praticità di avere una comoda piattaforma di carico, regolabile sia davanti che dietro, abbastanza forte per sostenere diverso peso.
Scilla, misurò la temperatura della neve. Regolò il termostato del contenitore. Poi, utilizzando il braccio meccanico contenuto nello zainetto anteriore in dotazione alla tuta, delicatamente prese una delle bolle da sotto con uno strato di neve e molta cautela. Ne raccolse più che poteva e le depose nell’ice-box. Finita l’operazione sigillò il coperchio. Parcheggiò lo scoote-jet e con attenzione rientrò nella bussola a doppia entrata di casa. Il padre le aveva insegnato molto bene la procedura. Azionare i getti di disinfettante, prima il tasto blu poi il rosso. Togliere la tuta, le scarpe, i guanti, infilare il tutto nella porta scorrevole. Premere il bottone giallo, pulizia finita. Ora poteva togliere il casco ed entrare nella seconda porta. Nel frattempo anche il contenitore era stato sottoposto alla doccia di iodato di potassio per eliminare eventuali depositi di radiazioni.
Prima di aprirlo decise di attendere il padre per verificare con lui che non ci fossero sostanze pericolose.
In casa c’erano quasi 20 gradi, quindi aprendo il contenitore le bolle sarebbero esplose o si sarebbero sciolte come quelle che, la sera prima, toccando il suolo si dissolvevano mandando scintille di mille colori.
Scese le scale che portavano nel bunker e nell’infermeria dove c’era anche un’ampia cella frigorifera e vi mise il contenitore. Forse era solo per scrupolo perché già l’ice-box era termoregolato. Poi, tornò in camera.
Si sedette sul letto e, come aveva chiesto il padre nel messaggio, inviò il segnale per il collegamento con il bioschermo. Allargò l’immagine a tutta parete e disse: «Ciao Papi.»
Dopo pochi secondi sullo schermo comparve il viso di un bell’uomo con un paio di occhiali leggermente affumicati, una barbetta sottile che gli incorniciava il mento e i capelli brizzolati e scompigliati. Come se fosse appena uscito dalla doccia.
«Ciao piccola, come sei mattiniera. Non sono nemmeno le sette e sei già in piedi. Com’è andata questa notte giù in infermeria?»
«Così così. Papi devi mettere giù una brandina, così se ci fosse un’altra emergenza potrei dormire più comoda. Sai il lettino dell’infermeria è piccolo, duro e…»
«Ok. Ok principessa sul pisello!»
«Come mi hai chiamata?» Disse lei alzando le sopracciglia e sgranando gli occhi.
«Principessa sul pisello,» ripeté il padre sorridendo, «mi ricordi una specie di favoletta che ho letto recentemente. Racconta di un principe e della regina sua madre. La regina, decise che era venuto il momento di cercargli una sposa. Il principe…»
«Scusa Papi ma mi stai raccontando una favola?»
«Aspetta. Il principe voleva una donna che si dimostrasse una “vera principessa”. Viaggiò per il mondo, ma non ne trovò nessuna che lo soddisfacesse. Una notte di tempesta, una giovane bussò alla porta del castello, dicendo di essere una vera principessa. Nessuno le credeva. Comunque la fanciulla venne invitata a restare per la notte. La regina…-
«Papi ma dai ma non esistono principi e regine.»
«Amore, è ovvio che non esistano, ora, ma in passato sono esistiti e poi questa è una storia di fantasia. Lasciami finire. La regina, madre del principe, decise di mettere alla prova la fanciulla per smascherarla e dimostrare che non era una vera principessa, così, le fece preparare il letto mettendo un pisello.»
«Papi, cos’è un pisello?»
«Giusto. È un vegetale che cresceva negli orti, ha la forma di una sfera grande come l’unghia di un mignolo. Se vuoi ti consiglio di leggere gli studi molto interessanti di Gregor Mendel, padre fondatore della genetica, che ha basato la sua ricerca scientifica proprio su questi piccoli vegetali.»
«Grazie del suggerimento! Sai, mi piace la genetica, studiare la sequenza del nostro DNA. Capire quali combinazioni di geni danno origine al nostro aspetto. Cosa determina le nostre malattie. Mi affascina. Ma scusa, non volevo interrompere il tuo racconto. Mi stavi parlando della regina…»
«Sciscì, sono felice che tu abbia questa passione, sembri proprio tua madre. Sempre pronta ad analizzare con il suo microscopio il mondo che la circonda.»
In quel momento Scilla vide un sorriso allargare gli angoli della bocca del padre e una parata di denti bianchi e perfetti riempì lo schermo. Fu una sensazione piacevole, tanto da volerla conservare indelebile nella memoria e schioccando le dita due volte, fece uno screenshot di quella immagine.
«Ma riprendendo la nostra storia,» disse il padre socchiudendo gli occhi, per enfatizzare quello che stava per dire, «la regina mise un pisello sotto una serie di 20 materassi e 20 cuscini. La mattina dopo, al risveglio, la regina chiese alla ragazza come avesse dormito. La giovane rispose di non essere riuscita a chiudere occhio perché nel letto c’era qualcosa di molto duro che le aveva dato fastidio per tutta la notte. Allora la regina dichiarò che solo una vera principessa abituata a dormire su un letto, molto comodo, avrebbe potuto sentire la presenza di un pisello sotto 20 materassi. Così il principe la sposò.»
Scilla ripensò alla notte trascorsa in infermeria, beh, forse non era riuscita a dormire proprio perché anche lei era una principessa e sotto al suo letto chissà cosa si nascondeva. Doveva indagare.
«Papi tu mi stupisci sempre, ma dove l’hai letta questa storia?»
«Pensa che c’è un hard disk in biblioteca con milioni di favole di tutti i tempi. L’ho scoperta per caso, stavo studiando proprio la coltivazione di alcuni vegetali tra cui proprio i piselli. Nel fare la ricerca con la parola “piselli”, è uscita anche questa favola. Ecco spiegata l’origine della mia affermazione. Cara… principessa sul pisello!»
«Grazie Papi adesso mi piace.»
«Sciscì, scusa ma io resto a lavorare ancora per tutto il giorno. Tu fai le tue cose, se hai bisogno chiamami pure. Fammi solo un favore, vai nel mio studio e riguarda le registrazioni delle telecamere posizionate intorno alla casa e se noti qualcosa di anomalo fammelo sapere.»
«Veramente, Papi, volevo dirti che…»
«Bene, dimmi solo se noti cose insolite, perché, parte dei detriti, abbiamo appurato che sono caduti proprio nella nostra zona.»
«Sì Papi volevo dirti che…»
«Scusa, scusa, un attimo. Mi stanno chiamando dal Teida. Non è l’osservatorio del vulcano dove c’è il tuo amico? Dai ci risentiamo dopo. Buona giornata.»
«Papi, papi…»
La comunicazione si interruppe e il video tornò sull’immagine salvaschermo che ora raffigurava un giardino con un prato verde e un albero fiorito che, in una animazione accelerata si copriva di fiori rosa che poi diventavano dei frutti e con un effetto flow tutto svaniva in una nuvola azzurra.
Per Scilla era troppo presto per cominciare la giornata di studio e troppo tardi per tornare a letto. Purtroppo la sua indecisione non le aveva permesso di essere determinata nella comunicazione con il padre per dirgli quello che aveva fatto la mattina. Forse era stato meglio così, perché non avrebbe saputo come giustificare il suo comportamento che andava contro ad ogni protocollo di sicurezza. Riaccese il bioschermo con la modalità “斯庫拉” ma ancora nessuno si era collegato.
Il padre le aveva chiesto di verificare se fosse caduto qualcosa intorno alla casa. Certo che era caduto qualcosa. Nello studio tutti i monitor erano accesi, fece il rewind dei video delle quattro telecamere. Utilizzando la visione infrarossi, vide che molte delle famose “bolle di sapone” erano cadute sul tetto della rimessa. Le altre che avevano toccato terra erano svanite nebulizzandosi.
Mentalmente fece il conto di quante ne aveva raccolte. All’incirca sei o sette forse otto. Senza rendersene conto e pur andando contro ad ogni protocollo di sicurezza, aveva compiuto un’operazione scientifica interessante salvando dei reperti. Decise che doveva assolutamente dirlo a suo padre. Compose il codice di richiamo e sullo schermo comparve uno dei ragazzi del centro di ricerca dove suo padre era il direttore.
«Buongiorno Scilla, sono Albert,» disse il ragazzo sfoderando un sorriso accattivante, «immagino che stessi cercando il dottore, mi spiace ma è in riunione, posso fare qualcosa per te?»
«Ciao Albert, come stai? Sì, cercavo mio padre ma non è una cosa urgentissima.»
«Posso riferirgli qualcosa?»
«No, lo richiamo dopo, però digli solo che ho guardato le telecamere di sicurezza che circondano la casa e volevo riferirgli quello che ho visto.»
«Ah sì, ho sentito prima quando parlava con te, sai, dai nostri rilevamenti un certo numero di schegge del satellite “fantasma” potrebbero essere cadute proprio nella tua zona.»
«Lo so. Satellite fantasma?»
«Lo abbiamo chiamato “Ghost”, perché siamo riusciti a vedere un ingrandimento di una sequenza video ripresa da un altro satellite e abbiamo notato che su un pannello c’era una scritta strana tipo un codice alfanumerico.»
«E cosa significa?»
«Non sappiamo. Stiamo cercando negli archivi. Abbiamo ricostruito in parte la traiettoria anche se presenta dei fattori anomali. Ma non voglio annoiarti, scusa.»
«No, no, mi interessa moltissimo, infatti volevo dire al babbo che qui sono caduti dei detriti. Sono come delle bolle di sapone, ma grandi circa mezzo “chi”.»
«Interessante, appena si libera dico al dottor Jupiter di chiamarti. Mi raccomando tu non fare nulla.»
«No certo, ma perché hai detto che la traiettoria presenta dei fattori anomali?»
«Non vorrei annoiarti perché stiamo parlando di cinetica e non credo che la cosa ti interessi.»
Scilla orgogliosa delle sue conoscenze enunciò tutta d’un fiato la formula della traiettoria parabolica: «In Cinetica un corpo assume una traiettoria parabolica quando si muove in moto rettilineo con velocità iniziale: “v uguale zero”; mentre subisce un’accelerazione costante “a”, né parallela, né ortogonale al proprio moto. Se l’attrito viscoso può essere considerato trascurabile le equazioni parametriche della traiettoria di un corpo con “v0” che forma un angolo “teta” con l’orizzonte sono: x=vxt=(v0 Cos)t mentre y=…»
«Basta, basta ho capito. Ok. La traiettoria anomala è definita tale quando un satellite perde la sua direzione per cause non naturali. Cioè, quando entra in collisione con un altro oggetto o banalmente precipita per ragioni non prevedibili. In questo caso, abbiamo dei precisi algoritmi che ne definiscono la traiettoria. Ma questo, invece, improvvisamente, ha cambiato moto, come se fosse stato programmato. Come se, in un dato momento, dovesse ricadere sulla terra. Inoltre, abbiamo osservato che a metà percorso si è aperto e, mentre una parte è finita nel Mediterraneo, l’altra ha come imboccato un corridoio che portava proprio qui dalle nostre parti. Sembra assurdo dirlo ma sembrerebbe una azione programmata.»
«Singolare questo comportamento e voi non siete riusciti a identificare l’oggetto, magari proprio dalla sigla?»
«Capirai, con 65.000 satelliti in orbita, di cui un numero impressionante mandato su durante la prima guerra globale, non è cosa semplice. Dai, non ci pensare, ci siamo qui noi per questo. Appena si libera tuo padre gli dico di chiamarti.»
«OK. Grazie.»
«Ciao. Ah complimenti per le tue conoscenze sul moto parabolico. A presto.»
Finita la conversazione Scilla tornò verso l’armadio di sterilizzazione dove aveva riposto la tuta e il casco. Nella sua testa aveva deciso di approfondire lo studio delle bolle cadute dal cielo. Ormai aveva trasgredito il protocollo di sicurezza quindi fatto trenta poteva fare anche trentuno. Bardata come un guerriero stellare entrò nella cella frigorifera. Prese il contenitore. Sganciò i moschettoni e aprì il coperchio. Prese in mano, protetta dai guanti, una delle sfere, era di colo violetto ed emetteva una luce leggera, come le lampade “led dimmerabili”. Si accorse che non erano molli come si era immaginata in un primo momento. La loro consistenza era compatta. La sfera che aveva preso aveva all’interno un’altra sfera più piccola dello stesso colore. Anche quelle nel contenitore erano composte da più sfere inglobate le une nelle altre. Ognuna aveva un unico colore ma tutte erano di colore diverso. Né il rilevatore gaiger né il sensore, all’interno della cella frigorifera, avevano rilevato radiazioni o contaminazioni pericolose. Scilla richiuse il contenitore ed uscì dalla cella frigorifero tenendo in mano la sfera luminosa.
La appoggio delicatamente sul tavolino, cominciò a togliersi i guanti e la tuta e per ultimo il casco collegato al respiratore. Come ultima precauzione prese un vassoio di carta di alluminio e delicatamente vi posò la bolla. L’intenzione era quella di portarla nel laboratorio del padre per osservarla sul tavolo luminoso e poi ingrandirne la superficie utilizzando il microscopio elettronico. Insomma, cominciare a studiare quegli oggetti caduti dal cielo. Ma qualcosa non andò come aveva previsto. Il padre le aveva sempre raccomandato: «Prima di procedere con qualsiasi osservazione scientifica, devi stilare una procedura. Prevedere ogni singola azione della quale supporre una o due varianti imprevedibili in modo da essere pronta per qualsiasi evenienza.»
Ma Scilla non aveva fatto nulla di tutto questo. Nel riprendere in mano il vassoio d’alluminio, questa, scivolò da una parte e cadde sul pavimento, non ci fu nessun rumore. Solo una specie di piccola esplosione di luce e mille scintille colorate si liberarono nell’aria. Nel frattempo la seconda bolla, più piccola, che era contenuta nella prima, rotolò sul pavimento fermandosi mezzo metro più in la. Scilla appoggiò immediatamente naso e bocca contro l’incavo del suo braccio all’altezza dell’interno del gomito. Cercò di non respirare quel pulviscolo colorato ma, malgrado la rapidità del suo gesto, una piccola parte le si infilò su per il naso. Forse più semplicemente fu assorbita dalla pelle. Cercò di allontanarsi per andare a lavarsi la faccia ma dopo un passo un torpore incontrollabile la bloccò.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.