È possibile vivere una storia d’amore, poi finita, trasformando il ricordo di questa in una realtà onirica?
Può questa realtà essere caratterizzata da eventi che non contemplano l’amore, ma anzi sono l’esatto contrario? Cosa c’entra il traffico di droga con tutto ciò?
La storia di Marco e Marta, raccontata dal libro, rappresenta una possibile risposta a queste domande. Un susseguirsi di eventi, in vite parallele, si snoda tra la bellezza del mare di prima estate, la malattia rara di un bambino rinchiuso da tempo in una clinica, un delitto nel buio di un freddo mattino d’inverno. In tale contesto, l’amore sembrerebbe proporsi quale sentimento volto a sanare tutti i mali, peccato che l’uomo non sappia solo amare…
Perché ho scritto questo libro?
“Sensazioni di sale” risponde al desiderio di fissare sulla carta un ricordo di gioventù legato ad un posto per me particolare come Caorle, città marittima sull’Adriatico.
Nel descrivere i luoghi vissuti durante le vacanze estive da ragazzo, ho inserito tratti di vicende personali in un contesto “legal-thriller” frutto di fantasia. Sostanzialmente, il piacere di un ricordo unito alla passione per la scrittura, che con gli occhi di oggi mi fa vedere il ragazzo di ieri con le proprie insicurezze
ANTEPRIMA NON EDITATA
… Era una mattina di inizio novembre, a Bari, quell’anno l’inverno sembrava essersi anticipato e non riservava alcuno sconto. Marta si era alzata presto e alle 5.30 era già in sella alla sua bicicletta per dirigersi al laboratorio. Avrebbe dovuto assistere all’installazione di un nuovo macchinario, i tecnici, poi, l’avrebbero formata sull’uso dello stesso. Sarebbe infatti stato impiegato la stessa mattina per un delicato esame, ed il primario aveva ritenuto che, visto che era stata la dottoressa Pollini ad insistere per l’acquisto, era lei ad avere l’onere di farlo funzionare.
L’aria fredda aveva già ghiacciato la parte superiore della sciarpa, ed i capelli di Marta, già fortemente inumiditi dalla nebbia, assecondavano docilmente le folate di vento che con forza li cacciavano all’indietro scompigliandoli in tutta la loro lunghezza.
Aveva la sensazione di essere in ritardo, alle otto la macchina doveva essere in funzione. Si determinò quindi a mettere quanta più forza potesse nelle gambe per coprire la distanza che dalla sua abitazione in via Francesco Crispi la separava da Piazza Giulio Cesare, pedalando con vigore ci sarebbero voluti circa venti minuti. A quell’ora, infatti, il traffico era inesistente, le strade e i marciapiedi deserti. La pedalata quella mattina sembrava più difficoltosa del solito, e non solo a causa del freddo, quasi che la bicicletta si rifiutasse di procedere in quella direzione.
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Con la mente Marta era già proiettata al momento in cui si sarebbe dovuta concentrare per non perdere nessuna delle indicazioni del tecnico che l’avrebbe istruita. Un leggero senso di ansia cominciava già a farsi sentire alla bocca dello stomaco. Percorsi pochi metri, il suo pensiero venne interrotto da delle grida che sembravano avere una eco quasi metallica, almeno così parvero di primo acchito, quasi provenissero da uno dei tombini sulla strada. Ebbe subito un sussulto di paura e istintivamente bloccò la bicicletta, tanto che lo stridore dei freni colse Marta di sorpresa spaventandola ancor più.
Tentava di individuare il luogo dal quale venivano quelle urla, ora meglio definite visto che l’effetto dell’aria della corsa in bicicletta era cessato e lei poteva porgere l’orecchio con maggiore attenzione. Rapidamente, passò con lo sguardo tutti i disegni e le scritte, alquanto inquietanti, che imbrattavano i muri di sostegno del sottopasso, tentando di spingere lo sguardo quanto più in là poteva verso il fondo della strada scarsamente illuminata dalla luce fioca e consumata del sottovia. Le grida sembravano venire proprio da un punto non identificabile di fronte a lei. Alle grida si accompagnavano rumori di violenze contro qualcuno: botte, schiaffi, pugni, bastonate, fino a delle minacce di morte facilmente distinguibili, a un “muori cane” e ad un urlo disumano di dolore subito soffocato, seguito da un tonfo sordo. Poi, il rumore squillante di un bastone di metallo lasciato cadere sull’asfalto…
Marta non sapeva cosa fare, non ci voleva tanto a capire che probabilmente un omicidio era stato consumato a pochi passi da lei. La paura e l’ansia che l’avevano aggredita pochi istanti prima divennero panico. Le mancava l’aria e dei sudori freddi già le imperlavano la fronte; il berretto ora le sembrava un macigno che le schiacciava la testa. Tremava ed era confusa, ferma in piedi con le mani ancora incollate al manubrio della bici, non sapeva che fare, non sentiva più le gambe, o meglio queste erano bloccate e tremanti. Non sapeva che fare: dare ascolto alla sua natura battagliera e precipitarsi in avanti, verso il fondo del sottovia, a prestare soccorso, oppure cedere alla paura e ritornare verso casa rinchiudendosi e chiamare i soccorsi da lì?
Ben presto il dubbio fu sciolto dagli eventi, infatti, all’eco di un rumore di passi di corsa che si avvicinava sempre più, fece seguito lo stagliarsi in lontananza di due figure corpulente di uomini che si avvicinavano velocemente. Marta d’improvviso si ridestò dalla immobilità dettata dalla paura, lasciò cadere a terra la bici e prese a correre in direzione di via Crispi da dove era venuta. La corsa era affannosa e quel po’ di respiro che aveva nei polmoni doveva essere impiegato, era quindi impossibile per lei gridare, tanto più che alle cinque del mattino nessuno si sarebbe destato per prestarle aiuto. Durante la corsa Marta doveva battagliare con un lembo della sciarpa che ostinatamente scendendo dalla spalla andava ad intralciare la sua corsa, maledì la sua passione per le sciarpe lunghe. Non osava girarsi per vedere se gli individui le fossero stati vicini, guardava avanti bramando la vista del cancello di casa. Ben presto però senti la sua sciarpa scivolare via dal collo e nel contempo il suo piede mancare l’impatto con l’asfalto adagiandosi su qualcosa di morbido. Marta rovinò a terra, istintivamente tese le mani in avanti per attutire il colpo con il terreno, ma il tentativo non riuscì molto bene, ed improvvisamente un dolore lancinante la colse al polso ed al ginocchio sinistro. Pensò, che doveva comunque rialzarsi e rimettersi a correre. Tentò, ma l’unico movimento che le riuscì fu quello di girare la testa in direzione dei suoi inseguitori, per accorgersi che le erano addosso e lei, riversa sul terreno, non aveva scampo.
Uno di questi le si abbassò e le si avvicinò al volto, quasi nell’atto di baciarla. Sentiva il suo sguardo pesare sui suoi occhi e il respiro ansimante dell’individuo sulla sua faccia. Il suo alito, un misto di caffè e grappa, procurò a Marta un senso di nausea che venne accentuata da un improvviso odore di uova marce preceduto dal rumore di un tappo di sughero tolto violentemente da una bottiglia in vetro.
L’individuo con una voce roca disse: “Tu non hai visto nulla e sono certo che non parlerai! …. ti laveremo comunque occhi e bocca …” Marta non ebbe il tempo di fermarsi sul significato delle parole, perché subito una quantità di liquido caldo e bruciante le infervorò il viso. Sopra la spalla dell’individuo piegato su di lei, scorse la luce del nuovo giorno, poi il buio e tanto tanto calore in faccia.
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