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Senza Vendetta

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Consegna prevista Luglio 2025
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Che fine ha fatto Mara Arcuri?
Mara ha ventiquattro anni quando sparisce misteriosamente nel nulla. Dopo le prime ricerche, improvvisamente il lavoro della polizia si ferma e il caso viene archiviato.
Dieci anni dopo, in seguito alla sparizione di un’altra ragazza, il “caso Mara” viene riaperto.
Elisa, un’amica di Mara che non ha mai perso le speranze di ritrovare ancora in vita la sua più cara confidente, continuerà questa ricerca con al fianco la persona che ha sempre amato fin da quand’era una ragazzina.
Un giallo ambientato a Roma diviso tra passato e presente, che mette al centro l’amicizia tra due donne differenti tra loro, distrutta troppo presto.

Perché ho scritto questo libro?

Perché volevo parlare di un tema attuale, che mi riporta alla mente quattordici anni fa, quando ho capito su cosa volessi che si basasse il mio racconto. Perché ho vissuto di persona quel momento che sente la protagonista del libro, e perché so come ci si sente ad essere una vittima del sistema. Perché penso che il sistema giudiziario che vige in Italia sia un controsenso e non tutela le donne. Perché esiste solamente la ‘non vendetta’, dove gli assassini rimangono impuniti.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Prologo

L’odore nella stanza buia sapeva di tabacco, sterco e vino. La persona che si trovava in quella camera beveva il prosecco ogni sera insieme al suo aguzzino. Era il suo vino preferito, gli e lo aveva sempre detto.

Lei si trovava lì, immobile, stesa su quel letto puzzolente e quelle lenzuola che non venivano lavate da anni, in attesa che lui arrivasse. Aveva paura delle cose che le faceva, per questo rimaneva immobile. E, anche se avesse potuto, dove sarebbe andata in quelle condizioni? Riusciva a malapena a reggersi in piedi.

La notte le faceva più paura. Era per lei il momento peggiore perché lui arrivava d’improvviso, e nel buio la donna non riusciva a distinguere la sua sagoma. Quando arrivava le faceva tutte le cose che voleva, e lei provava dolore. Non c’era ancora abituata, a distanza di anni, a sentirlo, quel tipo di dolore. Un dolore acuto, profondo, che le penetrava dentro le ossa. Lo stesso tipo di dolore sentito durante il parto. Non si sarebbe mai abituata.

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Per fortuna, in quell’istante, lui non c’era.

Dal buco della serratura intravedeva la luce: doveva essere giorno.

Spesso, per non avere paura, si concentrava su un punto fisso, ed immaginava di disegnare delle immagini, soprattutto dei ritratti delle persone a lei care.

Le piaceva tanto disegnare, ma non aveva mai fatto in modo che quella passione si trasformasse in qualcosa di più concreto. Adesso, immersa in quel buio infernale, se ne pentiva, perché, ripensando a tutto quello che le era successo in breve tempo, disegnare era la sola cosa che le riusciva bene, e quella che le faceva passare la paura.

Non sapeva nemmeno quanto tempo era passato da quando era lì dentro, sapeva solo che l’odore nauseabondo di quella stanza prima o poi l’avrebbe soffocata.

Aveva provato lei stessa a togliersi la vita, per evitare di stare in quella situazione, ma non c’era riuscita. Il suo corpo non era controllato da lei.

Stringendosi il lenzuolo al collo si era sentita per un attimo libera. Quando aveva avvolto quella seta intorno a lei, aveva respirato per l’ultima volta, l’aria, il profumo del mare, l’orizzonte. Aveva pensato al volto della sua più cara amica, quella con la quale non era più riuscita a confidarsi. Aveva pensato ai baci mancati. Aveva pensato ai volti famigliari dei suoi più grandi amori di anni addietro: Giancarlo e Lucia, e pensò a quanto aveva fatto loro del male, inconsapevolmente. Non era certo stata la persona più brava della terra, ma quella sofferenza che aveva provato negli ultimi anni pensava davvero di non doversela meritare, non in quel modo. E così, aveva provato a togliersi la vita. Quando aveva sentito l’aria nei polmoni diminuire aveva pensato anche a sua madre. Chissà, l’aveva cercata? O aveva perso le speranze, alla fine?

Aveva pensato seriamente che quell’ atto, il fatto che il cervello stesse riproducendo la figura di sua madre, la persona che odiava più in assoluto, fosse l’ultimo. Aveva deciso di morire così, con il ricordo di sua madre. Era il minimo dopo tutto quello che aveva passato.

Aveva pensato di morire, ma così non era stato.

Il suo sequestratore era entrato, l’aveva vista e le aveva tolto il lenzuolo dal collo. L’aveva presa per i capelli e trascinata per tutto il pavimento sporco. Le aveva tagliato anche i capelli e l’aveva picchiata a sangue. Le aveva tolto le coperte. In inverno faceva freddo, ma lei aveva resistito anche a quello. Da quel giorno non aveva più provato a togliersi la vita, ma sperava di morire durante il sonno su quel letto afflosciato.
Le mancava la sua vita. Quanto avrebbe voluto uscire e godersi il sole! Non si guardava allo specchio da tanto.

Un giorno aveva sentito in lontananza due voci femminili chiaramente distinte, ed ebbe un sussulto. Si era alzata con fatica dal letto in cui era stesa. Ad una gamba aveva un ematoma ben visibile, e una costola rotta, ma ci riuscì lo stesso a sbirciare nel piccolo oblò che aveva sopra la sua testa. Non si poteva aprire, era chiuso dall’esterno. Aveva provato più volte a fuggire da quel piccolo cerchio, ma non c’era mai riuscita. Da quella piccola fessura si notava l’ingresso di una casa che stava proprio di fronte alla camera in cui era rinchiusa.
Erano passati anni da quando lui l’aveva presa in ostaggio. Se il primo periodo le speranze per uscirne viva c’erano tutte, dopo un paio di mesi, aveva capito che non l’avrebbero mai trovata.

Ma quando sentì le voci la speranza ritornò ad essere presente nel suo cuore.

Rimase con le punte dei piedi alzate. Notò una voltante della polizia.

L’avevano trovata!

«Sono qui! Sono io!» avrebbe voluto gridare, ma non aveva più le forze per farlo. Era sicura di aver perso la voce, da quanto era stata zitta in quegli anni. E aveva paura che lui la sentisse.

Continuò a sbirciare dalla finestra, finché notò in lontananza una figura dai capelli lunghi e scuri. Avrebbe riconosciuto quello sguardo anche tra mille persone. Era una sua amica di tanto tempo fa. Fu colta dalla malinconia, non appena i loro occhi entrarono a contatto. Mi vedi, Elisa? Sono qui.

In un attimo di terrore, la donna tornò subito a letto.

Se lui l’avesse vista? Cosa le sarebbe accaduto? Adesso iniziava ad avere paura.

Nessuno si era accorto che lei era lì, neanche se Elisa l’aveva vista di sfuggita.

Probabilmente era passato così tanto tempo che nessuno si ricordava della sua esistenza. Ma lei era lì…lei era in quel posto puzzolente abbandonato da Dio…

Si accasciò di nuovo sul letto.

Le lacrime non le uscivano più da tanto, nemmeno se il dolore che provava era molto forte.

Ormai aveva imparato a conviverci, come aveva imparato a convivere con il suo sequestratore.

Sentì la pancia brontolare. Non aveva nemmeno un bagno. Era costretta a fare i suoi bisogni sul pavimento, per questo l’aria nella stanza aveva quell’odore di feci nauseabondo. Aveva visto solo altre due persone, oltre a lui. Un bambino muto, che sicuramente era suo figlio, dato che aveva i suoi stessi occhi verdi. Quando l’aveva vista si era messo a piangere. La donna immaginava di non aver avuto un bell’aspetto. La seconda persona era una ragazzina che le aveva promesso di portarla via da quella stanza. Ma non c’era riuscita. Si sentiva in colpa, perché quella ragazzina, di cui non conosceva il nome, era morta a causa sua. Venendo uccisa da lui.

Non sapeva che ore fossero quando lo vide entrare nella stanza.

Aveva notato, grazie alla serratura della porta, che fuori era calato il buio.

«Così ti sei fatta vedere, eh?» dalla sua voce si capiva che fosse più arrabbiato del solito.

La donna si stranì. Ma se l’avevano vista… perché era ancora lì? Perché non erano andati a cercarla? Perché non l’avevano ancora presa e portata via da lì? Perché?

Con la paura che aveva in corpo, non si mosse, stava ferma in posizione fetale sul letto.

«Oggi mangerai dal pavimento. Tanto questa roba ti sazia, no?»

Non era la prima volta che l’aveva costretta a mangiare i suoi escrementi. La donna aveva paura, ma non di mangiare da terra.

«Così non va più bene» disse lui, stringendo i denti «So che sei sveglia, non far finta di niente» e, dopo queste parole la prese dai fianchi e la fece voltare a pancia in su. Si guardarono. Lui le fece un sorriso, quel sorriso che lei conosceva troppo bene, fin dal primo giorno che l’aveva conosciuto.
«Lo sai che hanno riaperto il caso? Tu e quella puttanella della tua amica» mormorò, stretto fra i denti. Riuscì ad aprire maggiormente gli occhi, dopo aver sentito quelle parole. Allora mi hanno vista, riuscì a pensare. La speranza balenò nella sua mente. Forse, dopotutto, avrebbe potuto uscirne viva da quell’inferno.

«Adesso mi tocca un servizietto» mormorò l’uomo, abbassandole le mutande.

Non oppose resistenza. Si abbassò i calzoni e la penetrò con un’inaudita violenza. Lei non sentiva più dolore, ormai. Aveva imparato a conviverci. L’uomo le sbavava addosso ogni volta che la violentava. Si eccitava quando lei non opponeva resistenza.

Ogni colpo che veniva affondato era una malinconia in più che le veniva tolta. Ogni istante che veniva violentata le riportavano ai ricordi di quel giorno, quando era ubriaca e libera, che lui l’aveva violentata di nascosto. E aveva ammesso la verità solo il giorno in cui l’aveva sequestrata con una scusa banale. Avrebbe dovuto capirlo prima.

La donna sotto sequestro avrebbe tanto voluto scappare, ma sapeva che lui l’avrebbe sempre trovata.

Quando quell’atto sessuale finì, stando attento a non venirle dentro, lui si rivestì. A lei la lasciò nuda. E poi tirò fuori dalla tasca qualcosa.

Il respiro della ragazza si fece più pesante «Per favore, no…no, ti prego» mormorò debolmente, stupendosi di quanto fosse rauca la sua voce. Non parlava più da tempo. Non riconosceva più nemmeno la sua voce.

Ma, ovviamente, a lui non importava.

Succedeva sempre così: dopo il sesso le infilava qualcosa nelle vene. Le sue braccia erano piene di buchi che piano piano sentiva che la stavano uccidendo. Era così che voleva lui: una morte dolorosa e lenta.

Quell’ago che veniva infilato sotto la sua pelle stavolta lo sentì. Profondo e duro. Il liquido che andava infiltrandosi nel suo cervello le aveva provocato uno strano dolore. Si sentì stordita, paralizzata ed euforica. Allora prese a ridere.

Avvertì il suo cuore diminuire il battito. Si sentiva diversa.

E allora chiuse gli occhi, pensando che, se ci fosse stata mai una vendetta, avrebbe dovuto essere per lei.

Mara Arcuri non era morta, era una sopravvissuta.

Capitolo 1

Roma, 7 settembre 2026

Denise Locuri aveva quella che si può considerare una vita perfetta: una madre comprensiva, era nel fiore dei suoi sedici anni, aveva un lavoro come baby-sitter che la soddisfaceva, grazie al bambino che teneva, aveva un ragazzo segreto. Questo piccolo particolare non l’aveva raccontato a nessuno, nemmeno a sua madre, nonostante le due fossero molto unite. Era sicura che sua madre l’avrebbe capita e non giudicata, come pensava invece la persona con cui era insieme da qualche mese. Perciò, quando la madre indagava, per esempio quando la vedeva più del dovuto al telefono, Denise diceva che si trattava della sua amica Mila.

Mila, così lo chiamava, le aveva detto di non dire niente a nessuno, ancora. Avevano una cospicua differenza d’età. Denise di questo ne era consapevole. Lei era minorenne mentre lui un uomo già fatto, eppure la ragazza sentiva di amarlo. L’aveva conosciuto su Facebook, alla ricerca di un lavoro e guardandolo negli occhi aveva capito che non lo avrebbe mai lasciato. Pensava di amarlo, nonostante fossero passati pochi mesi, e allo stesso modo credeva che anche Mila

ricambiasse i suoi sentimenti perché, un giorno, mentre erano in macchina le aveva accarezzato in maniera gentile le tempie e l’aveva guardata a fondo, come non era mai stata guardata da nessuno. E l’aveva sentito dire in un sussurro «Io…» non aveva continuato la frase, ma l’aveva baciata. Lei non aveva mai baciato nessuno prima di allora, ma le loro lingue sembravano completarsi a vicenda ogni volta che si toccavano. Con lui aveva fatto l’amore per la prima volta e aveva apprezzato il fatto che era stato dolce.

Oh, la prima volta. Un insieme di emozioni diverse che si alternavano tra loro, insieme agli sguardi, alle lingue, alle carezze e ai gemiti. La prima volta era stata proprio come lei se lo immaginava: delicata e bella, per nulla dolorosa.

Le volte successive furono più violente, corpi che si strusciavano senza sosta tra loro, colpi forti, quasi fosse un bisogno. Denise ricordava la volta in cui avevano addirittura sfondato il letto tra un gemito di dolore e l’altro.

Ma lui faceva l’amore così.

La ragazza era ormai abituata anche a stare in silenzio e a fare tutto quello che gli chiedeva lui: se fosse stata un vampiro si sarebbe detta asservita a lui. Invece era solo un’umana, e i vampiri si trovavano solo in televisione. Adesso anche lei aveva imparato a fare l’amore in quel modo, violento. E aveva iniziato a riscoprire piacere quando lui le sbavava addosso, eccitandosi non appena lo accarezzava.

Quel giorno Denise doveva uscire con i suoi amici per andare a vedere un film. Non era di buon umore, dato che aveva litigato con Mila per futili motivi. L’uomo era convinto che Denise potesse confidare ai suoi amici che stavano insieme, ed era molto geloso di un amico della ragazza che pensava le ronzasse intorno. Ovviamente lei gli aveva detto diverse volte che non si doveva preoccupare di nulla, che la fiducia era una cosa importante nella relazione, e che entrambi dovevano imparare a fidarsi l’uno dell’altro, altrimenti si poteva certamente dire addio a quell’intesa che si era creata fra di loro.

Di solito le loro litigate erano leggere, passavano in una sera, ma erano già da due giorni che non si sentivano né vedevano. Mila era riuscito a fare presa sui sensi di colpa di Denise, tanto che, alla fine, la ragazza aveva deciso di disdire la serata con i suoi amici per fare una sorpresa al suo ragazzo, convinta di poter chiarire.

Quando arrivò nei pressi della casa dell’uomo, lo notò uscire dalla sua casa per recarsi nella dimora di fronte alla sua. La ragazza si stranì e lo seguì, vedendo che aveva un mazzo di chiavi, e poi, entrando, si chiuse la porta dietro senza fare caso a lei.

Denise aggrottò la fronte, insospettendosi. Diceva che era geloso e non le dava fiducia, e poi? Aveva per caso una relazione segreta con un’altra? La cornuta della storia non poteva essere lei, no.

Decise di sedersi sull’uscio di casa dell’uomo e di aspettarlo. Ma, quando passarono quattro ore e il buio all’orizzonte si fece vivo, le lancette dell’orologio segnavano l’1 e 35 del mattino, e lei si rese conto di aver perso solo tempo e di aver perso perfino l’uscita con i suoi amici. Con i pieni demoliti e l’umore sottoterra, decise di mandargli un messaggio.

pezzo di merda

La risposta non tardò ad arrivare:

che c’è? Non ti sei divertita con i tuoi amici?

E la fece arrabbiare ancora di più. Così gli scrisse:

ti ho visto. Sono venuta da te e ti ho visto andare nella casa di fronte alla tua. Con chi eri?

mi facevo i cazzi miei. Come te

ma vaffanculo

Non ottenne risposta, ma sapeva che sarebbe andata in quel modo.

Lui non le rispondeva mai, perché sapeva che lei sarebbe sempre ritornata con lui. Aveva lo strano potere di farla sentire in colpa per la qualunque, quando chi facesse passi falsi era solo e soltanto lui.

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Commenti

  1. Samanta Scudu

    Ho adorato questo libro. Senza vendetta è un libro che si legge tutto d’un fiato, la scrittrice riesce a catturare la tua attenzione fin dalle prime righe del libro. La scrittrice Lena riesce a farci immedesimare nei personaggi permettendoci così di conoscerli a fondo. Lena Caruso, nel suo libro, tratta di un argomento attuale e ci mette davanti ad una realtà che non possiamo più ignorare, per questo motivo vi consiglio questo libro e state tranquilli che non ve ne pentirete!

  2. (proprietario verificato)

    Senza Vendetta è un romanzo che si legge tutto d’un fiato, la scrittura è fluida e scorrevole che ti appassiona ad ogni pagina. É una storia commovente in cui Lena Caruso con determinazione affronta un tema, purtroppo, attuale e doloroso della nostra società, é una denuncia ad un sistema che troppo spesso silenzia le voci femminili. Un romanzo che consiglio a tutti, è una storia che non solo ti intrattiene ma che invita a riflettere sulle ingiustizie che ancora oggi affliggono molte donne.

  3. (proprietario verificato)

    Nel romanzo “Senza vendetta” l’autrice Lena Caruso affronta con coraggio e sensibilità l’attualissimo tema della violenza sulle donne.
    L’autrice ci trasporta in un mondo dove il passato incombe sul presente.
    Una delle protagoniste, Elisa, è un personaggio che conquista per la sua fragilità e la sua determinazione per ritrovare la sua amica Mara.
    Il romanzo è un accusa contro una società che spesso ignora e minimizza la violenza di genere.
    Consiglio vivamente questo romanzo a tutti, in quanto ci invita a non rimanere indifferenti di fronte a un problema così grave.

  4. (proprietario verificato)

    Ho letto questa storia in pochi giorni, mi ha incuriosito molto, è ben scritta, con una trama avvolgente. La consiglio!

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Lena Caruso
Lena Caruso nasce in Sardegna e ha trent'anni. E' laureata in Beni Culturali e conserva una passione per la letteratura, la storia e l'arte. Senza Vendetta è il suo romanzo d'esordio. La prima stesura del testo l'ha scritta quando aveva solamente quattordici anni. Attualmente risiede in Sardegna.
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