Appena al di sopra del setto nasale, tra scomposte ciocche di lunghi capelli corvini, l’osso frontale del cranio pareva come fosse esploso in una miriade di minuscole schegge appuntite che imbrattavano i duri lineamenti del volto e si perdevano tra i peli radi di una corta barba scura. Proprio al centro della faccia, un’enorme cavità oscura faticosamente contenuta da labbra fin troppo sottili si spalancava in un ultimo grido di sofferente agonia urlando per l’ultima volta tutta la sua frustrazione.
Tremando, l’uomo infilò le dita callose all’interno di quell’antro buio e facendosi spazio con irrispettosa violenza tra i denti ingialliti del cadavere cominciò a tastare in modo frenetico sotto la lingua rigonfia prima di essere bloccato da un rimprovero sguaiato.
«Ma che stai combinando?» sbraitò l’altro soldato avvicinandosi con passo rabbioso. «Spostati, ti faccio vedere io come si fa.»
Gli stivali del militare affondarono per qualche centimetro all’interno del fango irrorato di sangue e i minuscoli brandelli di materia cerebrale, fermandosi in prossimità del cranio sfondato del soldato morto. Il cuoio scuro scricchiolò ancora per una frazione di secondo prima di quietarsi.
«Guarda bene quello che faccio io. Per prima cosa devi infilare tutte e quattro le dita della mano sinistra appena sotto la lingua e stringere con forza l’osso della mandibola, così. Mi raccomando, assicurarti di avere una presa salda, è molto importante. Adesso devi far scivolare indice, medio e anulare dell’altra mano qui sopra, appena sotto gli incisivi. Perché mi guardi in quel modo?» celiò l’anziano militare in tono glaciale. «Non preoccuparti questo bastardo non ti morderà, il trucco sta tutto nell’avere una buona presa.
Gli occhi del militare si animarono per un attimo di una luce sinistra e sorrise in modo maligno. «Ora basterà dare un colpo secco, senza indugi, come se avessi tra le mani le cosce di una bella puledra da monta. In questo modo!» I tendini della mascella si allungarono resistendo per qualche secondo prima di cedere improvvisamente e sfibrarsi con un colpo secco mentre la testa del morto roteava leggermente su sé stessa e si adagiava in una nuova posizione.
«Hai visto? Non è poi così difficile» ansimò l’uomo tra sospiri di eccitazione. «Ora continua tu.»
La voce roca, bestiale, del militare pareva aver abbandonato il tono freddo di qualche secondo prima e latrava ora ordini in modo perentorio.
«Eccolo là in fondo, dalla tua parte: prova ad afferrarlo e vedi se riesci a staccarlo con le dita sennò ci toccherà trovare una mazza e provare a farci strada dall’esterno».
Il giovane soldato rimase immobile, come impietrito.
«Non farti impressionare» continuò l’anziano militare in tono freddo, «Quei bastardi tendono a diventare rigidi dopo un po’ di tempo. Pensa che una volta mentre recuperavamo dei corpi immersi in un fango simile a questo abbiamo calpestato un povero cristo duro come un dannato pezzo di legno; parola mia, lo potevi girare e rigirare da tutte le parti e quello rimaneva sempre in quella posizione del cazzo, con le braccia distese in avanti e i nervi del collo tutti in tiro! Vedessi che roba, mi sono pisciato sotto dal ridere solo a guardarlo, lì fermo come il tronco di un albero con quell’espressione idiota e quella gamba mozzata. Più di un quintale di carne fetida. Insomma non sapendo che fare ci è toccato farlo a pezzi con un’accetta come si fa con i ceppi; poi lo abbiamo caricato su una carriola e ce lo siamo trascinati via un pezzo alla volta. Una fatica che non ti immagini.»
Il giovane soldato osservò inorridito l’altro militare per qualche secondo; poi, socchiudendo le palpebre, infilò nuovamente la mano all’interno della bocca trattenendo un moto di disgusto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di far star zitto quel vecchio bastardo e non udire più le sue farneticazioni che lui pomposamente amava definire i sui suoi “divertenti” aneddoti personali.
Tastò alla rinfusa per qualche minuto, toccando con attenzione quei denti spezzati e sfiorando più volte la flaccida lingua rigonfia. Poi, improvvisamente, le sue dita si fermarono su qualcosa di diverso.
«L’ho trovato! L’ho preso!» sbottò in tono gioioso incapace di frenare la propria soddisfazione, dimentico di dove si trovasse e di quanto stesse accadendo. Felice come un bambino si chinò su un ginocchio e appoggiò la suola dello stivale sopra il volto deturpato; fatto ciò strinse con tutte le sue forze pollice e indice tra loro e li strattonò bruscamente cercando in tutti i modi di recuperare il bottino.
Il vecchio lo osservava lascivo mentre fremeva di trepidante attesa. Ormai più nulla era in grado di scuotere il suo animo lacerato: un abisso scuro e profondo ricolmo di una marea ribollente e frastagliato da onde impetuose, correnti sommerse agitate da lunghi anni di guerra, furiosi venti di vendetta sospinti senza sosta verso la nuda costa rocciosa, improvvisi lampi perturbati da raffiche d’odio e disillusione. Di tanto in tanto sulla superfice galleggiante di quell’oceano sconfinato affioravano inconsistenti bagliori simili a ricordi, giorni ormai lontani in cui un ragazzo ancora imberbe prematuramente chiamato alle armi abbandonava la propria casa e si avventurava con patriottica, incosciente, caparbietà verso un’illusione costellata di gesta eroiche. Cos’era rimasto infine di quel giovane sognatore? Solo polvere. Polvere e incubi. Un essere vuoto, contrito, segnato degli orrori di una vacua speranza che non aveva impiegato troppo tempo a dissolversi del tutto lasciandolo a terra spezzato e dilaniato dagli artigli crudeli di una vita votata al martirio. Un’esistenza priva di ogni dignità che veniva dipinta da gesta eroiche ma che in realtà aveva l’odore acre di centinaia di cadaveri lasciati a marcire sotto il sole tra il frastuono cacofonico di nugoli di grosse mosche nere, cani ossuti e corvi gracchianti che si pascevano di quei corpi decomposti. Lì, in mezzo a loro, fluttuavano gli spettri: vuoti involucri dalle sembianze umane che si stagliavano contro la luce accesa di un sole morente alla vorace ricerca di qualsiasi oggetto di valore che potesse lenire l’insaziabile ferita che lacerava il profondo delle loro anime. Uomini non più uomini, annientati definitivamente della loro razionalità. Larve vuote celate nelle loro armature di metallo pronte a barattare frammenti d’anima per qualche moneta. Profanatori senza sosta alcuna.
Il vecchio militare si destò da quella lucida visione in cui pareva immerso e si sporse verso il giovane militare studiandone i movimenti.
«Allora? È d’oro?» chiese con avida curiosità.
L’altro soldato aprì lentamente la mano e fissò come intontito il frutto della sua fatica. Il piccolo dente dorato sembrò attirare l’attenzione di decine di grossi corvi neri che gracchiarono tutto intorno a lui.
«Niente» sospirò mentre sfregava con forza l’oggetto contro il palmo della sua mano per ripulirlo dalla saliva raggrumata e dai coaguli di sangue. «Credo che non sia oro.»
«Sì, deve essere d’oro» insistette il vecchio in tono eccitato. «Dai qui, fai vedere!»
Il giovane militare chiuse di scatto il palmo della mano e si voltò fulminandolo con sguardo feroce. «Questo oggetto mi appartiene, signore» lo ammonì con fermezza. «Così erano i patti.»
Per un attimo il soldato più anziano rimase immobile fremendo di collera mentre osservava incredulo la giovane recluta. In qualche modo pareva ammirarne l’ostentata fermezza, o l’incoscienza, con la quale osava rivolgersi ad un superiore, in tono tanto sfacciato da rasentare l’insubordinazione.
«Non contraddirmi mai, recluta» ansimò fra i denti l’uomo; poi, con uno scatto, allungò la mano e strappò il piccolo prezioso dalle dita del sottoposto.
Con immensa fatica l’altro riuscì a tenere a bada l’impulso di improvvisa ferocia che travolse il suo animo rischiando di farlo esplodere di collera. «Non erano questi i termini dell’accordo, signore» lo ammonì nuovamente: questa volta la voce depauperata di ogni timore reverenziale pareva animata da un impeto incontrollabile.
Le lunghe dita affusolate, simili ad artigli, scivolarono verso l’impugnatura della spada accarezzandone il tessuto. «Forse è il caso di appianare le nostre divergenze una volta per tutte, signore» sentenziò stringendo le dita.
Il vecchio soldato aprì con noncuranza il borsello di cuoio che portava al fianco e vi fece scivolare il dente d’oro all’interno; poi, dopo aver stretto con attenzione i laccetti di cuoio ed essersi accertato che il nodo fosse abbastanza serrato da non sciogliersi in caso di movimenti improvvisi, estrasse la spada che gli pendeva al fianco.
«Lo credo anch’io» sussurrò malvagio. «Perché non vieni a prendertelo? È qui che ti aspetta assieme alle altre monete. Devi solo fare un passo in avanti e strapparmelo di mano» ordinò in tono sprezzante, allungando il braccio in avanti e puntando la lama verso la gola della recluta.
Un corvo nero si alzò in volo a qualche passo di distanza, spaventato da un rumore improvviso.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.