Per un momento, mentre mi stringevo nel cappottino di nappa blu, accarezzai l’idea di tornare sui miei passi. Invece rimasi dritta sotto la pioggia ad aspettare il mio turno, senza sapere cosa mi aspettasse al di là della cancellata. Del resto, avevo accettato una supplenza, la prima da quando mi ero laureata e non avrei rinunciato ad un lavoro prima ancora di cominciare.
[…]Adele… Pronunciò il mio nome, come si pronuncia il nome di una figlia. Se cominci a guardarli negli occhi, ad ascoltare le loro storie, allora ti chiederai dov’è Dio, come fa Dio e destinare tanto dolore alle persone, come fa a instillare in ognuno di loro tanta cattiveria e tanta umanità al tempo stesso. E vorrai credere proprio nella loro umanità, mettere da parte la crudeltà di cui sono capaci. Ti domanderai di cosa è capace l’uomo a dispetto di Dio e dovrai cercare di averne paura piuttosto che lasciare che il tuo cuore di avvicini a loro. Solo se avrai paura, riuscirai a tenere le distanze. E se volessi obiettare, so che lo farai, che con la distanza non si insegna nulla, che per essere dei buoni maestri serve lavorare sulla relazione, sulla fiducia, allora posso solo dirti di stare attenta. Ma lascia che ti dia almeno un consiglio, non farti raccontare il motivo per cui sono in carcere. Coglieresti il loro lato feroce e insegnare sarebbe più difficile.
Non so quante volte ripensai alle parole che ci eravamo scambiati, quanto rimuginai, la sera masticando nervosamente patatine davanti alla tv, la notte senza riuscire ad addormentarmi, tutta la preoccupazione di chi sa che le cose non saranno facili. Infine, presi la mia decisione.
Solo racconti belli.
La mattina seguente i miei pochi studenti erano pronti a scrivere, foglio sul banco, penna alla mano.
Solo racconti belli, mi raccomando.
Mi guardarono con poca convinzione. Cosa li stavo costringendo a fare? Avrebbero trovato qualcosa di bello da raccontare, loro che della vita conoscevano i lati oscuri? Me lo chiesi, sì, me l’ero chiesto prima di entrare in classe. Eppure quello era l’unico modo che avevo trovato per fare in modo che non usassero quel foglio bianco per raccontarmi la storia che li aveva portati dietro le sbarre.
Non voglio conoscere la vostra storia, non voglio. Solo racconti belli.
Giuseppe, Santo, Michele, Emanuele, Fadel, Karel, Maiek, questi i loro nomi, mi restituirono un po’ tutti lo stesso sguardo, quello di chi promette, ma intanto dietro le spalle incrocia le dita. Poi, le penne in mano, si misero tutti a fissare il foglio, gli occhi stretti nello sforzo di ricordare un passato che fosse bello, almeno in qualche sua piega. Tutti quei fogli, stropicciati, chiazzati d’inchiostro, andarono poi persi chissà dove, eppure col tempo, se scordai la grafia, gli errori di ortografia, i congiuntivi e condizionali fuori posto, non potei dimenticare la voce di ciascuno, come emergeva dalle parole scritte, ognuna così uguale alle altre, forse per la forzata vicinanza in cui vivevano o per le simili esperienze, eppure un po’ diversa, particolare, proprio come le storie che vollero affidare alle parole, simili fra loro ma ognuna dolce amara a modo suo.
[…]GIUSEPPE
Dal lucernario, in classe, non entra mancu ‘n filo ri luci, si vede che fuori il cielo è pieno di nuvole. Marzo da queste parti è così, t’inganna con un po’ di sole, e ti para arrivata la primavera. Fuori, durante l’ora d’aria, ti viene da farti accarezzare dall’aria un po’ più dolce sul viso e, anche se dei giorni a volte ti para di perdere il conto, lo senti nel profumo dell’aria che cambia che ti sei lasciato alle spalle un’altra stagione. Marzo, però, è così, ti illude un attimo e poi è di nuovo pioggia e vento e freddo, perché liberarsi dell’inverno non è semplice. Allora il cielo in certe mattine è grigio come le pareti delle celle e anche la luce artificiale para un po’ più opaca del solito. Qualche volta qualcuno mi disse di liberare la fantasia, che quella corre oltre le sbarre e i muri che non ti permettono di vedere cosa c’è al di là, ma la fantasia devono avermela portata via da bambino, mi para di non averla mai nemmeno avuta, e quel muro alto davanti agli occhi mi opprime la vista.
Però, seduto in primo banco, posso guardare bene la profe, Adele, la mia dolce Adele. In una lettera le scrissi, posso chiamarti così?, osai, lo so, ma di lettera in lettera cominciai a sentirla na pocu mia. A lezione la guardo, e quasi quasi, ci penso di meno al grigio qui intorno e dentro sento scendere una certa consolazione e persino ‘n pizzico ri spiranza.
[…]MICHELE
Quella stronza, me ne accorgo pota, anche se sono davanti a lei, evita di guardarmi. Gira sempre gli occhi verso di lui, Giuseppe. Sono sicuro che lo fa per via delle penne, oppure, no, preferisce lui a me. Fra quei due sta succedendo qualcosa, me ne accorgo. Ed io, giuro, lo dirò a tutti, qua dentro bisogna tenere le distanze e non può essere che una arrivi qui e si metta a fare la puttana.
Stamattina, quando sono sceso, lei era qui davanti alla porta ancora chiusa, aspettava il pulotto che apre. Per un attimo mi sono visto da solo con lei, allora mi doveva guardare per forza. E lei lo ha fatto mi ha guardato e dalla bocca le è uscito timido il buongiorno. Sono rimasto in sospeso un attimo, ho pensato che forse mi stavo sbagliando, le avevo scritto io SEI UNO SPLENDORE. Ma quello era stato prima, prima non mi evitava con lo sguardo, prima non preferiva quello a me.
Ti rovinerò, lo dirò a tutti che sei una puttana, non potrai più insegnare, vedrai, lo faccio sul serio.
L’ho vista sbiancare nel suo cappottino consumato. E ho goduto, davvero. Signùr se ho goduto! Il pulotto è arrivato in quel momento, la questione era solo rimandata.
[…]SANTO
Oggi però Maiek è risalito con un bel po’ di libri. Te li manda la professoressa, mi ha detto passandomi il malloppo. Mi è bastato guardare le copertine colorate per riconoscere l’intera saga di Ramses e ricordarmi quella lezione sull’antico Egitto quando le ho detto quanto mi affascinano i faraoni. Mi sono buttato sul letto con tutti i libri e il cuore riconoscente. Ora leggo poche pagine al giorno, voglio che queste storie mi tengano compagnia il più a lungo possibile.
[…]“. Mi son detta che le gocce pesanti di pioggia oggi somigliavano alle mie lacrime, un fiume che sembra non avere fine.[…] Ma poi, vedi, torna a splendere il sole. Ed io in questo sole, ho deciso adesso, voglio camminarci, forte di quella sicurezza che mi hai dato in quel corridoio, forte anche se tu non ci sei. Voglio camminare nel sole caldo dell’estate, sentire i miei passi affondare nella terra molle di pioggia, credere che un giorno nel sole camminerai libero anche tu”
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