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Solo bei racconti –

Storie di baci rubati e altri crimini

Solo bei racconti - Storie di baci rubati e altri crimini
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Consegna prevista Luglio 2024

Adele accetta il suo primo incarico di insegnamento nel carcere della sua città. Il contatto con un mondo di cui non sa nulla, i volti dei detenuti seduti nei banchi rappresentano per lei fin dall’inizio una sfida. I primi timori verranno, però, superati dalla quotidianità scolastica: la relazione fra lei e i suoi studenti diventerà nei mesi sempre più sincera e, attraverso le loro storie, Adele conoscerà diverse sfaccettature dei criminali che le siedono davanti, uomini disincantati, che portano il peso consapevole delle loro colpe, ma che hanno anche una grande voglia di riscatto. Uomini che si raccontano, che accettano di mettere a nudo i propri sentimenti, le motivazioni di scelte importanti. Nasceranno legami forti, tra alcuni detenuti e Adele, e questo porterà anche lei a guardarsi dentro, a ripensare alla sua storia. Incontri intensi per strade destinate a dividersi ma che rappresenteranno un momento di crescita per Adele e per chi forse quel riscatto lo cercava davvero.

Perché ho scritto questo libro?

Da anni vivo ai margini della città, a un passo dalla campagna, e dal carcere e, nel buio della sera, da lì sento levarsi le urla dei detenuti. A volte le storie fanno così, se non sei capace di vederle, ti vengono a cercare. Da quelle urla, tanto disperate quanto beffarde, è nata l’urgenza di scrivere questa storia. Ho voluto trasformarle in parole, per liberarmene forse, ma anche per riflettere su chi sta dietro le sbarre, per accettare che anche un criminale sia carne e sangue… e cuore.

ANTEPRIMA NON EDITATA

[…]La mattina in cui per me i cancelli si aprirono per la prima volta pioveva a dirotto.

Abitavo lì vicino, ma avevo comunque deciso di prendere l’auto. I tergicristalli si muovevano velocemente eppure la strada si vedeva a fatica. All’arrivo mi ci era voluto un po’ per trovare un parcheggio libero, nonostante fosse ancora presto. Alla fine avevo lasciato l’auto ben distante dall’ingresso ed ero scesa cercando di ripararmi subito con l’ombrello. Mia madre aveva insistito per prestarmi uno dei suoi ombrelli a scacchi marroni, ampi abbastanza per evitare gli scrosci peggiori, ma quasi pesanti da sostenere. Così, con la borsa a tracolla, la carta d’identità in una mano, e il manico dell’ombrello nell’altra, mi ero avvicinata, quasi barcollando sotto la forza della pioggia, al gabbiotto all’ingresso. Mi ero messa in fila, una lunga fila, per lo più avvocati e volontari che si apprestavano a iniziare la loro giornata. Avevo chiuso l’ombrello su loro imitazione e avevo atteso paziente il mio turno, rabbrividendo appena negli abiti bagnati dalla pioggia.

L’attesa era stata lunga, o almeno tale mi era sembrata, quando mi ero accorta che i capelli mi gocciolavano su fronte e spalle. Come mi sentivo in quel momento? Ricordo la tensione allo stomaco, quella stessa che mi prendeva all’università prima di ogni esame.

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Per un momento, mentre mi stringevo nel cappottino di nappa blu, accarezzai l’idea di tornare sui miei passi. Invece rimasi dritta sotto la pioggia ad aspettare il mio turno, senza sapere cosa mi aspettasse al di là della cancellata. Del resto, avevo accettato una supplenza, la prima da quando mi ero laureata e non avrei rinunciato ad un lavoro prima ancora di cominciare.

[…]Adele… Pronunciò il mio nome, come si pronuncia il nome di una figlia. Se cominci a guardarli negli occhi, ad ascoltare le loro storie, allora ti chiederai dov’è Dio, come fa Dio e destinare tanto dolore alle persone, come fa a instillare in ognuno di loro tanta cattiveria e tanta umanità al tempo stesso. E vorrai credere proprio nella loro umanità, mettere da parte la crudeltà di cui sono capaci. Ti domanderai di cosa è capace l’uomo a dispetto di Dio e dovrai cercare di averne paura piuttosto che lasciare che il tuo cuore di avvicini a loro. Solo se avrai paura, riuscirai a tenere le distanze. E se volessi obiettare, so che lo farai, che con la distanza non si insegna nulla, che per essere dei buoni maestri serve lavorare sulla relazione, sulla fiducia, allora posso solo dirti di stare attenta. Ma lascia che ti dia almeno un consiglio, non farti raccontare il motivo per cui sono in carcere. Coglieresti il loro lato feroce e insegnare sarebbe più difficile.

Non so quante volte ripensai alle parole che ci eravamo scambiati, quanto rimuginai, la sera masticando nervosamente patatine davanti alla tv, la notte senza riuscire ad addormentarmi, tutta la preoccupazione di chi sa che le cose non saranno facili. Infine, presi la mia decisione.

Solo racconti belli.

La mattina seguente i miei pochi studenti erano pronti a scrivere, foglio sul banco, penna alla mano.

Solo racconti belli, mi raccomando.

Mi guardarono con poca convinzione. Cosa li stavo costringendo a fare? Avrebbero trovato qualcosa di bello da raccontare, loro che della vita conoscevano i lati oscuri? Me lo chiesi, sì, me l’ero chiesto prima di entrare in classe. Eppure quello era l’unico modo che avevo trovato per fare in modo che non usassero quel foglio bianco per raccontarmi la storia che li aveva portati dietro le sbarre.

Non voglio conoscere la vostra storia, non voglio. Solo racconti belli.

Giuseppe, Santo, Michele, Emanuele, Fadel, Karel, Maiek, questi i loro nomi, mi restituirono un po’ tutti lo stesso sguardo, quello di chi promette, ma intanto dietro le spalle incrocia le dita. Poi, le penne in mano, si misero tutti a fissare il foglio, gli occhi stretti nello sforzo di ricordare un passato che fosse bello, almeno in qualche sua piega. Tutti quei fogli, stropicciati, chiazzati d’inchiostro, andarono poi persi chissà dove, eppure col tempo, se scordai la grafia, gli errori di ortografia, i congiuntivi e condizionali fuori posto, non potei dimenticare la voce di ciascuno, come emergeva dalle parole scritte, ognuna così uguale alle altre, forse per la forzata vicinanza in cui vivevano o per le simili esperienze, eppure un po’ diversa, particolare, proprio come le storie che vollero affidare alle parole, simili fra loro ma ognuna dolce amara a modo suo.

[…]GIUSEPPE

Dal lucernario, in classe, non entra mancu ‘n filo ri luci, si vede che fuori il cielo è pieno di nuvole. Marzo da queste parti è così, t’inganna con un po’ di sole, e ti para arrivata la primavera. Fuori, durante l’ora d’aria, ti viene da farti accarezzare dall’aria un po’ più dolce sul viso e, anche se dei giorni a volte ti para di perdere il conto, lo senti nel profumo dell’aria che cambia che ti sei lasciato alle spalle un’altra stagione. Marzo, però, è così, ti illude un attimo e poi è di nuovo pioggia e vento e freddo, perché liberarsi dell’inverno non è semplice. Allora il cielo in certe mattine è grigio come le pareti delle celle e anche la luce artificiale para un po’ più opaca del solito. Qualche volta qualcuno mi disse di liberare la fantasia, che quella corre oltre le sbarre e i muri che non ti permettono di vedere cosa c’è al di là, ma la fantasia devono avermela portata via da bambino, mi para di non averla mai nemmeno avuta, e quel muro alto davanti agli occhi mi opprime la vista.

Però, seduto in primo banco, posso guardare bene la profe, Adele, la mia dolce Adele. In una lettera le scrissi, posso chiamarti così?, osai, lo so, ma di lettera in lettera cominciai a sentirla na pocu mia. A lezione la guardo, e quasi quasi, ci penso di meno al grigio qui intorno e dentro sento scendere una certa consolazione e persino ‘n pizzico ri spiranza.

[…]MICHELE

Quella stronza, me ne accorgo pota, anche se sono davanti a lei, evita di guardarmi. Gira sempre gli occhi verso di lui, Giuseppe. Sono sicuro che lo fa per via delle penne, oppure, no, preferisce lui a me. Fra quei due sta succedendo qualcosa, me ne accorgo. Ed io, giuro, lo dirò a tutti, qua dentro bisogna tenere le distanze e non può essere che una arrivi qui e si metta a fare la puttana.

Stamattina, quando sono sceso, lei era qui davanti alla porta ancora chiusa, aspettava il pulotto che apre. Per un attimo mi sono visto da solo con lei, allora mi doveva guardare per forza. E lei lo ha fatto mi ha guardato e dalla bocca le è uscito timido il buongiorno. Sono rimasto in sospeso un attimo, ho pensato che forse mi stavo sbagliando, le avevo scritto io SEI UNO SPLENDORE. Ma quello era stato prima, prima non mi evitava con lo sguardo, prima non preferiva quello a me.

Ti rovinerò, lo dirò a tutti che sei una puttana, non potrai più insegnare, vedrai, lo faccio sul serio.

L’ho vista sbiancare nel suo cappottino consumato. E ho goduto, davvero. Signùr se ho goduto! Il pulotto è arrivato in quel momento, la questione era solo rimandata.

[…]SANTO

Oggi però Maiek è risalito con un bel po’ di libri. Te li manda la professoressa, mi ha detto passandomi il malloppo. Mi è bastato guardare le copertine colorate per riconoscere l’intera saga di Ramses e ricordarmi quella lezione sull’antico Egitto quando le ho detto quanto mi affascinano i faraoni. Mi sono buttato sul letto con tutti i libri e il cuore riconoscente. Ora leggo poche pagine al giorno, voglio che queste storie mi tengano compagnia il più a lungo possibile.

[…]“.  Mi son detta che le gocce pesanti di pioggia oggi somigliavano alle mie lacrime, un fiume che sembra non avere fine.[…] Ma poi, vedi, torna a splendere il sole. Ed io in questo sole, ho deciso adesso, voglio camminarci, forte di quella sicurezza che mi hai dato in quel corridoio, forte anche se tu non ci sei. Voglio camminare nel sole caldo dell’estate, sentire i miei passi affondare nella terra molle di pioggia, credere che un giorno nel sole camminerai libero anche tu

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Barbara Cobianchi
Un marito, due figli e un gatto: moglie e mamma, a tempo pieno. Circa 100 studenti all'anno (nemmeno troppi, a dire il vero!): insegnante di italiano, latino, storia e geografia, a tempo pieno. Poi, il tempo che rimane è tempo di storie: quelle da leggere nella luce fioca della sera, ammucchiate sul comodino, quelle da rincorrere nella mente, anche nel traffico cittadino, quando fanno capolino in testa e non voglio vederle andar via, quelle da scrivere sulla pagina bianca. Amo le storie e adoro le parole, lasciarle scorrere nella vita dei miei personaggi, scatenare la loro violenza, pesare la loro delicatezza, giocare con esse, insomma scrivere. Poi, a dire il vero, a queste mie storie a volte è capitato di andare in stampa. L'ultimo caso è quello di "Di terra, di mare, di cielo" (Biplane 2019 e Coppola 2022).
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