-Io non mi calmo un cazzo! Ca…-.
Una mano mi copre la bocca, ammutolendomi all’istante.
-Vuoi star zitta una buona volta, per Dio! –
La sua voce non la posso non riconoscere. Calda. Profonda. Roca. Spaventosa. Una volta ogni sua parola mi faceva tremare le gambe e azzittire. Ora invece no. Ormai niente che non sia io, senza il mio permesso, riesce a farmi effetto. Volto la testa di qualche grado, sentendo una fitta al collo che mi potrebbe far gridare dal dolore in quello stesso istante, ma la sua mano copre ancora la sua bocca e mi impedisce di dire qualsiasi cosa. Lì c’è mio padre, che mi squadrava con un’occhiata tremenda, da vero padre severo e autoritario qual era. Dico “era” perché ora, nonostante ciò che sta facendo, non significa più niente per me.
Quando indossa i panni dell’avvocato subdolo e spietato, silenzioso ma letale con una sola parola, non ho problemi con lui e con la sua figura. Probabilmente riconosco solo questo di lui.
Ma quando cerca di tirare fuori il lato scherzoso e amichevole del su animo, quando indossa i panni dell’amico di tutti, di quello che fa ridere sorridere tutti, dell’uomo di città, tranquillo e che soprav-vive allo stress e poi tutto questo deve metterlo in relazione con la sua vita di merda, dove una risata non se la lascia sfuggire neanche per sbaglio, dove vive solo per sopravvivere, dove ha una figlia che è un fallimento totale, dove ogni giornata è un conto alla rovescia per scappare e dove sembra odiare tutti…Lì si capisce la sua vera natura. E la dura realtà che lo circonda.
Io so la verità e ho deciso di allontanarmi da lui, perché faceva del male anche a me avere questo tipo di esempio dinnanzi gli occhi. Però, in questo momento, un pensiero mi sfiora la mente.
Magari io e lui non siamo mai stati così diversi come ho creduto! Magari ho preso proprio da lui!
-Signorina, si calmi e mi ascolti-.
Ad interrompere il mio monologo interiore fatto di spine e punti aguzzi è un’infermiera bionda. Non è molto giovane, ma non può neanche definirsi anziana. Sembra avere sui 35 anni, ma portati molto male.
Mio padre sposta pian piano la mano dalla mia bocca. Ma continua a scrutarmi guardingo.
Provo a dire una parola, ma quando sto per pronunciare la prima frase e inspiro l’aria, sento la gola bruciarmi e quasi andarmi a fuoco.
Non mi fermo. ‘-Co…sa mi è successo? –
-Lei si è sentita male ieri pomeriggio. È arrivata qui con necessità di un rapido intervento da parte nostra, le abbiamo somministrato qualche farmaco, effettuato un esame del sangue e poi ha dormito fino ad ora-.
-Ho qualcosa di grave? –
-Ehm…sì, signorina. Altrimenti non saremmo stati costretti a convocare suo padre e sua madre-.
-C’è anche mamma? -, esplodo. Mio padre mi guarda e frena la mano giusto in tempo, prima che io iniziassi a tossire morbosamente e sputare muco e sangue.
-Ma…questo è sangue. Cazzo, è sangue!- urlo con la mia voce rotta, mentre fisso la goccia del mio sangue scendere mi sempre più lentamente lungo le dita della mia mano sinistra, con un nastro ade-sivo che bloccava il filo della flebo. Spalanco gli occhi esterrefatta, con il cuore che mi palpita in petto e non voglio credere a ciò che sto vedendo. Ma purtroppo quella era la dura realtà. -Cosa cazzo è successo?!- esplodo. La mano di mio padre si fa più dura attorno alla mia, poiché lui stringe la presa e non fa che aggiun-gere dolori al dolore. -Lasciami!- gli dico. Lui mi guarda storto e non molla la presa. -Si calmi, ora le spieghiamo tutto-. Mi lascio cadere sul letto e chiudo gli occhi. In questo momento…vorrei morire! E non so quanto distante fossi, o fossi stata, da quella fine.
Io, mio padre e l’infermiera siamo circondati da muri putridi, opachi, vuoti e senza vita. Rinchiusi in una stanza che non è la mia. Ammesso che ci sia una “mia” stanza, da qualche parte nel mondo.
Riesco a sollevarmi dal letto e a guardarmi ad uno specchio, posizionato a qualche distanza da me, Ho gli occhi rossi, arrossati dalle lacrime, ma vuoti e senza più speranza che ritornino in vita. Come me. Come mi sento io. Entra in stanza un uomo. Camice bianco, uno stetoscopio al collo, in mano una cartellina ed una finta espressione priva di emozioni. Come se volesse dimostrare qualcosa. Viene verso di noi ad ampie falcate ed io sento, probabilmente a causa del mio stato d’animo che si stava frantumando pezzo dopo pezzo, il pavimento tremare sotto i suoi passi.
-Finalmente si è svegliata signorina- mi dice. Il tono è piatto.
-Allora, come andiamo?!- dice mio padre. La sua mano è ancora salda alla mia, stretta in una morsa, ma stavolta ci aggiunge anche l’altra. Come a voler creare una cupola protettiva attorno a me.
-La situazione è messa male…-.
Mio padre sgrana gli occhi, a me viene un colpo al cuore. Il dottore si poggia la cartellina sul petto, come mortificato. L’infermiera si mette una mano davanti alla bocca.
Scruto ogni singolo particolare della stanza, in quel momento in cui regnava silenzio tombale. E nella mia testa, mentre mi accorgo di quel gesto, un pensiero maligno inizia a farsi strada, sussurran-domi che mi stavo comportando come una condannata a morte che vuole portare con sé ogni ricordo della sua ultima realtà di vita.
Francesca Caputo
Devo fare i complimenti a Francesco, che è un ragazzo giovane ma già molto profondo e capace di trattare un argomento delicato come l’adolescenza e le incertezze ad essa connesse con una maturità da adulto. Quando ho letto la trama l’ho sentita immediatamente mia, come se stesse dando voce a qualcosa che mi rispecchiasse. E, dopo averlo letto, posso dire che le aspettative sono state pienamente rispettate!
Emma Romagnoli (proprietario verificato)
Appena finito di leggere e l’ho divorato! Una storia ricca di pathos che racconta le insicurezze della gioventù di oggi in maniera cruda e iperrealistica. Lo stra-consiglio a chiunque voglia provare a capire l’adolescenza di oggi direttamente dalla voce di chi la vive.