Questo è un insieme di racconti, di storie vere che ho visto da vicino e di storie che mi sono giunte all’orecchio come un’eco di vita vissuta.
Storie di gente di periferia a cui la vita ha riservato poche carezze e molti sgambetti, a volte queste persone si sono rialzate, altre volte invece no. Sotto al cielo raccoglie e accoglie vincitori e vinti, ponendoli al di sotto dello stesso cielo, che è appunto un cielo di periferia.
La periferie sono un po’ un microcosmo, distante e diverso da tutto il resto, hanno la propria storia fatta di mille altre storie conservate tra le mura umide e scambiate delle palazzine.
Infine vorrei fare una raccomandazione al lettore. Nella miseria umana di quest’epoca dove nostro malgrado siamo capitati non deve esserci giudizio morale che possa ferire noi ed in questo caso le persone, più che i personaggi protagonisti di questi racconti. Chiedo ai lettori di avere pietà per loro che poi non sono così diversi da noi, in fondo siamo umani e commettiamo errori
Perché ho scritto questo libro?
Ho scritto questo libro per dare voce a storie che altrimenti sarebbero rimaste lì, tra le palazzine dei rioni, alle fermate dei bus o nel mio cassetto.
Io non ho fatto niente se non chinarmi a raccoglierle come fiori in un prato.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Genny, sangue e noia.
Genny non immaginava cosi la sua vita. Genny torna a casa massacrato, sei giorni su sette è in strada già alle 6 del mattino per poi rientrare alle 8 di sera, quando gira bene, questa non è solo la vita di Genny purtroppo, questa è la vita di molti muratori che lavorano in nero.
Cinquant’ anni tondi, mezzo secolo passato a sputare sangue, perché Genny fa il muratore da quando aveva undici anni, tra polvere e cemento Genny stringe i denti, è dura la vita dei perdenti.
Un lavoro migliore Genny non l’ha mai saputo trovare o forse non l’ha nemmeno mai cercato, in cuor suo Genny sa che è nato e morirà sul cantiere.
Padre e marito silenzioso, Genny parla poco non protesta, mai abituato ad accontentarsi, a prendere le cose per come vengono, tanto al mattino lui sempre sul cantiere deve andare.
Una casa umile, di due stanze nel rione, umile come lui.
Quando la sera Genny rincasa vorrebbe tanto che ad aspettarlo ci fosse la moglie sorridente, ma la moglie di Genny non sa più ridere, troppe forze spese nello sforzo di far finta di non vedere una vita che scivola via, cosi senza sussulti, una routine quella della moglie di Genny come quella di tante altre mogli, fatta di faccende domestiche, figli di accudire, pettegolezzi da raccontare con qualche vicina. Anche lei sconfitta da quel nulla che ti sfianca, anche lei la sera è stanca e non sa dove trovarla la forza di ridere, la voglia di fare l’amore.
Genny ha due figlie adolescenti, che come molte ragazzine della loro età sembrano addirittura non fare caso a quel padre che torna tutti i giorni da lavoro con la schiena rotta e l’anima a pezzi, troppo impegnate a fare ciò che fanno le adolescenti, a sognare il principe azzurro, senza cavallo ma con la macchina bella, che possa portarle via da quella vita piatta del rione.
Genny ormai non fa più caso a queste cose, che se ne fotte lui, che tanto domani mattina alle sei deve andare dinuovo in cantiere.
Genny stacca la spina solo quando sale la luna accende la sua Marlboro, e stappa una bionda doppio malto, ed è in quel momento che Genny guarda il mondo dall’alto, gli tornano in mente gli anni della gioventù quando sulla sua vespa passava a prendere la sua prima fidanzata Anna, entrambi sorridenti e felici correvano al mare, e quel ricordo è come una carezza sul cuore, un’illusione che dura il tempo di una sigaretta, che si dissolve, come il fumo che sale in cielo per dissolversi nella notte.
Si guarda indietro Genny e vede che le cose non sono andate come voleva, Genny ripensa a quegli anni andati, quando niente poteva fargli paura, ripensa agli errori che ha commesso, quelli a cui vorrebbe rimediare e se lui potesse tornare indietro cambierebbe molte cose, prima di tutto sua moglie.
E con questo rimorso che gli tira calci nell’anima, si va a mettere in quel letto povero d’amore, dove due corpi umani son diventati due sagome ormai sconosciute, e quelle mani fredde che non si sfiorano mai.
Genny spesso di notte parla nel sonno, lo puoi sentire dire parole senza senso, elencare con precisione tutto ciò che ha da fare, ripensa ai debiti da saldare, alla macchina che avrebbe la batteria da cambiare, al fatto che tra qualche ora il sole sorgerà, e comincerà l’ennesima giornata di merda.
Una vita come un cielo grigio senza mai un raggio di sole, senza mai un soffio di vento, che possa spazzare via questo mal tempo.
Sulle mani di Genny puoi leggere la sua storia, che è una storia che parla di fatica, una di quelle storie viene dal basso, dove ci sono quelle storie senza lieto fine, quelle storie che son come treni che non hanno capolinia, che non hanno una stazione.
Il volto di genny racconta bene cosa sia la stanchezza, nei suoi occhi vedi il colore della resa. Ultimamente Genny apre gli occhi la mattina e maledice il cielo, avrebbe preferito non aprirli, dentro di lui una voce grida forte chiede albmondo se tutto ciò sia giusto, se è davvero cosi che debbano andare le cose, ma è l’urlo di un disperato, solo in un pozzo profondo. Genny a volte chiede a Dio di toglierlo dal mondo.
Ma son pensieri che durano il tempo dinun battito di ciglia, perché c’è il cantiere che aspetta.
Genny e le bollete da pagare, scadenze da assecondare, due figlie da crescere, una donna da accontentare.
Genny si fa una sola domanda che senso ha continuare, camminare sulla strada dei perdenti, trascinarsi lungo la vita desiderando che la fine sia sempre piu vicina?
Non è facile, alzarsi la mattina per andare a combattere una guerra persa in partenza.
È il venti luglio, fa caldo nelle palazzine addossate del rione, oggi è il compleanno di Genny.
L’aria è afosa le zanzare danzano un walzer nella sera, si fermano solo un attimo sulla pelle sudata di qualcuno, per prendere ciò che gli serve per poi ritornare a ballare.
Sono cinquantuno anni per Genny ma a casa sua nessuno se ne ricorda, le sue donne troppo, troppo impegnate a soffrire il caldo.
Genny si siede a tavola, la moglie senza nemmeno degnarlo di uno sguardo gli mette davanti agli occhi un piatto di insalata di riso, ma a Genny però non digerisce il tonno, questa cosa la moglie la sa da sempre.
Scocca la mezzanotte la moglie di Genny è già a letto, le figlie in giro per il rione, in motorino a fare sempre lo stesso giro della piazza.
Si siede fuori al balcone, accende la sua Marlboro stappa la sua doppio malto, pensa e ripensa. Ormai se dalla vita ha imparato almeno una lezione, quella lezione dice che nella vita nulla va come vogliamo.
Le zanzare non smettono di ronzare, le stelle non si stancano mai di brillare e intanto la luna resta sempre lì a guardare.
Scava nel suo passato Genny, cerca di capire dove ha sbagliato, poi smette di scavare nel suo passato e comincia a scavare nella sua cassetta degli attrezzi. Genny trova una corda.
Poi prende un biglietto, scrive tre parole e lo lascia sul tavolo, trascina una sedia fuori al balcone, stringe il nodo, si infila il cappio al collo. Ecco quella è la sua medagli
Genny ora guarda il rione dall’alto, appeso per il collo, fuori al suo balcone. Poi un urlo sguaiato squarcia quella calda notte d’estate. Stavolta una le due figlie rincasando non possono fare finta di non vederlo, la appeso al balcone.
Sul tavolo il biglietto con tre parole… buon compleanno Genny
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.