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Storia del piccolo Arturo (Anficronia)

Storia del piccolo Arturo (anficronia)
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Consegna prevista Agosto 2024
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Un vecchio in fin di vita ha perso la memoria, ma ha incongrui ricordi che risalgono a tempi remoti. In particolare, ricorda di chiamarsi Arturo e di aver avuto un amico, Merlo, con poteri profetici. Nel ricordo, o delirio senile che sia, l’amico è discepolo di un mago e si accorge da un riflesso in acqua che Arturo è destinato a vivere in due epoche diverse. Nei ricordi del vecchio succedono altre cose. Un vecchio cavaliere, Sir Ector, nonostante la sibilla lo abbia avvertito del rischio di perdere sé stesso, parte in missione per cercare la bella figlia del re: una donna meschina, una futura strega fuggita con uomo che si rivelerà, alla fine, un mezzo demone. La difficile missione avrà successo, ma gli effetti collaterali saranno, per il cavaliere e specialmente per Arturo, imprevedibili e devastanti. Tutto sembra precipitare. In un mondo in bilico tra sogno disturbante e realtà mitica, solo Merlino, ormai un potente mago, riuscirà a risolvere, almeno apparentemente, ogni cosa.

Perché ho scritto questo libro?

Ricordate Re Artù, mago Merlino, la spada nella roccia? Miti affascinanti che ho sempre amato e che mi hanno dato modo di parlare di sogni e ricordi, spazio e tempo, vecchiaia e rinascita, libertà e destino.
Merlino si rivela un mago capace di manipolare il futuro; eppure, neanche il destino di re Artù, una sua creatura, sarà idilliaco: il sovrano sarà tradito dalla moglie e distrutto da una relazione incestuosa. Lo stesso mago sarà imprigionato per l’eternità da una bellissima donna

ANTEPRIMA NON EDITATA

1-Prologo

Vene come serpi sotto una pelle di fragile cuoio. Le mie mani, sono quelle di un vecchio ottantenne. I miei ricordi no. Non ci sono.

Non mi ricordo giovane in forze e neanche anziano in declino. In un certo senso è come se fossi nato vecchio. Con la mente posso risalire solo a pochi anni fa, al mio risveglio in ospedale o, meglio, in quello che in seguito ho capito essere un ospedale.

2-Grilli

Pomeriggio freddo e inutile. Una sessantenne di nome Elisa, più alta di me e grossa il doppio, continua a parlarmi.

Io le rispondo con qualche indistinto mugolio o con un gesto; in realtà sonnecchio, vinto da un torpore prepotente, mentre le sue vaghe parole sono nebbia rumorosa, suono remoto, musica ipnotica e straniera.

Elisa mette la mano sulla mia spalla curva: «Adesso vieni, Pietro. Non fare il testardo è l’ora di rientrare.»

«Rientrare? Elisa, io non sono Pietro e non ho nessun posto cui tornare.»

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«Rientrare a casa.»

«Io non ho casa.»

«Vecchio cocciuto, vuoi passare la notte all’aperto?»

«Voglio camminare ancora e, fin che posso, ascoltare i grilli.»

«I grilli? Non c’è nessun grillo; è una serata d’inverno, è una serata silenziosa.»

Non le rispondo, tanto non ascolterebbe. Non lo fa mai. Mi lascio docilmente condurre dalla sua mano, mentre i grilli, che forse non ci sono, feroci continuano ad assordarmi.

I ricordi di un povero vecchio sono legno fradicio che si sbriciola. Nel mio caso non è rimasto quasi niente; le parti che sembrano più sane sono spesso aggiunte bugiarde, toppe messe per tenere assieme il marcio. Solo alcuni frammenti si preservano intatti nel tempo. Il difficile, naturalmente, è distinguerli dal resto. Difficile è distinguere il vero dal sogno.

3- Rane e non solo, nello stagno

Una scena mi torna alla mente, mentre cammino guidato da quella donna. Non so quanto c’è di vero in questo mio recentissimo vecchio ricordo, ma è odoroso come un fiore estivo e colorato come un quadro naif.

Sono piccolo, un marmocchio di sei o sette anni. Un bambinello scarruffato, alto come il cane del nonno. Un trascurabile ometto sotto il sole cocente. Un sole che picchiava sulla mia testa con devastante ferocia. Faceva caldo e io sudavo come un cavallo, anche se le mie gambe magre erano completamente immerse nell’acqua dello stagno.

Mi ricordo che un uomo armato di spada, un individuo gigantesco (ma forse ero io a essere poca cosa) arrestò il cavallo in una nube di polvere secca, scese e si avvicinò minaccioso al bordo dello stagno. Torreggiava sopra di me mentre mi parlava con una bocca piena di orribili denti marci: «Ragazzo, tu conosci il figlio bastardo di Aureliano Ambrosio, un bimbetto di dieci anni, moro, ricciuto, magro e piuttosto alto per la sua età?»

Quell’uomo mi faceva tanta paura; risposi tremando: «Sì, sì, certo, mio cavaliere… Merlo è un mio buon amico.»

Non era la verità, non tutta, almeno. Merlo il bastardo, come lo chiamavamo noi ragazzi del paese, era sì uno dei ragazzini della banda, ma non uno dei tanti e certo non un buon amico.

La parte nobile del suo sangue lo rendeva diverso da noi, figli del popolino di Dinas Emrys; in più, quel ragazzino parlava poco e, quando lo faceva, raccontava cose che nessuno aveva mai sentito e nelle quali, almeno io, non capivo nulla. Oggi credo che le sue considerazioni fossero troppo profonde per me, ignorante di tutto. A quel tempo, però, io non pensavo questo; pensavo, come gli altri compagni, che Merlo fosse tutto suonato e che le sue stupide frasi non avessero senso.

Il cavallo scalpitava, il cavaliere non era da meno: «Dov’è il tuo amico?»

Non lo sapevo mica, era stato tutta la mattina con me a pescare rane nello stagno in cui ero ancora immerso, quello appena fuori dal paese, quello dietro la basilica nuova, per chi conosce Dinas Emrys; ma ora l’amico non c’era, non lo vedevo più, era sparito; forse si era nascosto da qualche parte, forse nel canneto, pensai.

«No, Arturo, non sono nel canneto…»

«Come…» 

«Zitto, imbecille, non mi tradire.  Muoviti, di’ qualcosa. Racconta al cavaliere che sono tornato a casa.»

Mi girai: non c’era nessuno accanto a me.

Siete padroni di non crederci, ma la voce veniva dal basso e scioccamente mi sembrò che fosse stata una grossa rana a pronunciare quelle poche parole.

Ricordo che a quel tempo pensai così; ora che sono vecchio, non so perché, ne sono quasi. sicuro.

Anche l’omone tornò a parlare: «Hai detto qualcosa, moccioso?»

«No, messere, solo che non so dove si trova il bastardo… però, ricordo che mi aveva confidato che doveva tornare a casa. Immagino lo abbia fatto. Penso che ora sia li.»

L’omaccione fece una smorfia, rimontò a cavallo, pronunciando un sacco di brutte parole che i ragazzini non dovrebbero mai sentire e si allontanò al piccolo trotto.

4-Profezie

L’ho già detto. I ricordi di un povero vecchio sono legno fradicio e le parti che sembrano più sane sono solo toppe messe per tenere assieme gli altri frammenti; ma che succede se queste aggiunte sono incongrue con il resto? Se non legano in nessun modo?

Merlo appoggiò la sua mano bagnata sulla mia spalla: «Grazie, Arturo, mi hai appena salvato la vita; quell’uomo mi cerca per uccidermi.»

«Come lo sai questo?»

Il bastardo non rispose.

Non diedi molto peso alle sue parole, non lo facevo mai, però mi avevano incuriosito: «Perché qualcuno dovrebbe volere morto uno stupido ragazzo?»

L’amico rispose dopo qualche momento di silenzio: «Non un qualsiasi ragazzino, Arturo, ma un figlio bastardo del condottiero Ambrosio, il distruttore dei Sassoni nella battaglia del Monte Badon,  e nipote del grande Re Uther; non è la stessa cosa, sai?»

Io non capivo come questo potesse fare la differenza. Lo guardai perplesso, aveva due gambe e due braccia come tutti. Che differenza faceva se era il bastardo di un potente ciccione? Cambiai discorso: «Ma… ma… tu poco fa dov’eri?»

«Qui accanto a te. Non me ne sono mai andato. Mi ero solo immerso in acqua per non essere visto.»

«No, non c’era nessuno in acqua, ne sono sicuro.»

L’amico rise: «Tu non vedi mai niente, Arturo, neanche le rane che dovresti prendere…. Il riflesso del sole sullo stagno ti ha certo ingannato.»

«Però in acqua non si può mica parlare…»

Il bastardino sorrise di nuovo: «Invece sì, se uno tira fuori la testa quel tanto che basta.»

«Tu non hai tirat…»

«Te l’ho già spiegato, tu non vedi mai nulla.»

«Ma… come facevi a sapere che stavo pensando al canneto… Io mica l’ho detto.»

Il ragazzo mi fissò con i suoi vivacissimi occhi neri: «Ma è come se tu l’avessi fatto, sai; hai guardato subito nella direzione delle canne.»

«Conosci quello che ho pensato, sai che quell’uomo ti vuole ammazzare. Parli sempre di un sacco di cose che a me… a noi tutti sfuggono. Dimmi, come fai?»

«Non c’è una risposta semplice per questo, Arturo. Vedi, in primo luogo, al contrario di te, osservo le cose e ascolto. Io ascolto sempre tutti; poi, in base a ciò che sento e vedo, alcune cose le capisco, altre ancora le indovino; infine, alcune io semplicemente le ricordo… ecco… in verità, neanch’io so tanto bene perché.»

«Non mi prendere in giro. Come fai a non saperlo?»

Merlo rispose in un sussurro: «Ecco, in certi casi, io credo di averle sognate.»
«Ma dai, Merlo! Non mi prendere in giro.»

«Non lo sto mica facendo.»

«Che io sappia i sogni non si avverano.»

Il ragazzino scosse la testa ricciuta: «I miei sì.»

«Una cosa bellissima, questa.»

«No, Arturo, credimi: quasi sempre è una cosa assolutamente orribile.»

Non ero troppo convinto: «Da tanto tempo sogno di avere quel bel coltellino col manico di noce, quello che il fabbro ha esposto fuori dalla sua bottega. Quanto vorrei che si avverasse.»
«Il tuo non è mica un sogno, Arturo: è un desiderio.»

«Lo so, lo so questo; tu intendi i sogni che facciamo dormendo… quelli io non li ricordo quasi mai; però, Merlo, una volta sono sicuro di averlo sognato quel coltellino, ho sognato che ci giocavo.»

Merlo non rispose. Lo incalzai: «Non hai più nulla da dire?»

«No, al contrario. Io credo che il tuo sogno fosse solo l’espressione del tuo desiderio, però… potrebbe anche essere stato un sogno premonitore.»

Una parolona quella, che all’epoca mica conoscevo. «Cosa vuol dire?»

«Che tu avrai quel coltello.»

«Non dire sciocchezze, Merlo; non ho un soldo bucato né speranza di averne, se è per questo.»

Il bastardo parve infastidito: «Lo avrai, ti dico.»

Ancora quella sua assurda sicurezza: «In che modo lo avrò?»

«Non mi chiedere questo; io non lo so.»

«Allora, come fai a dirlo?»

«Perché, vedi, è con quel coltello che tu cercherai di uccidermi.»

Questa era davvero grossa, ma stetti al gioco: «Non dirmi che lo hai sognato?»

«Sì, è uno dei miei sogni ricorrenti.»

Feci le spallucce. Un’altra delle tante cose assurde che quel ragazzo diceva, per mettersi in mostra, probabilmente.

«Vieni» dissi «Invece di continuare con queste scemenze, andiamocene a casa.»

5-Bulli al mercato

Il ricordo si perde in nebbia. Elisa mi guarda scuotendo la testa. «Lo stiamo già facendo, stupido vecchio; noi stiamo andando a casa. Diciamo meglio, lo faremmo se tu muovessi quelle tue ridicole gambe rinsecchite.»

Le parlo con voce bassa e roca: «Le mie gambe sono rigide… c’è da capirlo. Sono state in acqua troppo a lungo.»

«In acqua? Buon Dio, vecchio… tu sei completamente scemo.»

«Certo che no… certo che non lo sono. Dove pensi che abbia preso le rane?» dissi mostrando le mani vuote.

Il mercato di Dinas Emrys è un ammasso caotico di bancarelle nella piazza più grande del paese. Noi ragazzini spesso andavamo a vedere le merci esposte. Anche se non ci potevamo permettere nulla, c’era sempre la speranza che qualcuno ci regalasse un frutto, magari in cambio di qualche piccolo lavoro.

Anche quel giorno, come spesso facevo, io ciondolavo tra le bancarelle.

Dal fruttivendolo c’era qualcosa che non andava. La cassetta delle mele era rovesciata per terra. A due passi da questa, il mio amico Merlo allargò le braccia e mostrò al venditore dietro la bancarella le mani vuote: «Non sono stato io. Non ho preso nessun frutto. Te l’avrei chiesto, se l’avessi voluto, lo sai.»

Poco più in là un gruppetto di adolescenti bivaccava scomposto; alcuni di loro ridevano in modo sguaiato, altri stavano sgranocchiando una mela.

Il fruttivendolo li guardò con giustificato sospetto.

Il ragazzo più grande di tutti, quasi un colosso, un adolescente dai capelli rossi, se la prese con Merlo; sputò il frutto che stava mangiando e, dopo essersi avvicinato a grandi passi, gli diede una spinta: «Vorresti dire che siamo stati noi, spocchioso nobilastro bastardo?»

Merlo allargò le braccia: «Io non ho accusato nessuno.»

«Ma è come se tu l’avessi fatto, ridicolo damerino. Per questo noi ti daremo una meritata lezione.»

I prepotenti mi hanno sempre dato noia. Non potei fare a meno d’intromettermi; in fondo Merlo il bastardo, per quanto strano, era un mio amico. Parlai come se fossi più forte più grande di quel che ero: «Cinque contro uno più piccolo di voi. Dovreste vergognarvi, davvero un gran coraggio.»

Mi guardarono con disprezzo: «Ne vuoi anche tu scricciolo?»

Merlo mi fece cenno di smettere: «Arturo, non t’intromettere, non corro nessun pericolo.»

«Non mi pare proprio, Merlo. Sono cinque e sono grossi.»

L’amico rise: «Non è che un peso leggero come te possa fare molta differenza…»

Non mi diedi per vinto: «Due contro cinque è sempre meglio di uno contro cinque.»

Anche il bullo fece sentire la sua voce: «Vieni pure pidocchio rinsecchito, per noi aumenta solo il divertimento. Forza ragazzi, cosa aspettiamo?»

Al richiamo del capo, i cinque ci circondarono. Mi preparai ad affrontarli chiedendomi chi me l’avesse fatto fare; erano davvero mostruosamente grossi. Merlo non perse la calma, si limitò a sorridere e a fare un ampio gesto con la mano. L’aria intorno al gruppo dei bulli, sembrò cambiare luminosità. Mi resi subito conto che quei ragazzi si muovevano lentissimi. Era come se fossero immersi in una sorta di densa melassa. Avremmo potuto picchiarli tranquillamente; cominciai spavaldamente a farmi avanti. Il mio amico non volle: «No. Approfittiamone per fuggire, Arturo; il rallentamento dura solo pochi minuti.»

Ce la demmo a gambe, mentre i bulli continuavano a lottare per vincere i loro invisibili vincoli.

6- L’investitura

Elisa sorride perché non ho rane da mostrarle. Saranno scappate, mi dico. Oppure si saranno sciolte come neve esposta al sole cocente; anche se, a ben vedere, il sole è tramontato da un pezzo.

Pazienza, mi dico, né questo sole, né quelle rane hanno mai saltellato come si deve.

Merlo era arrabbiato con me e mi urlò contro in modo poco elegante: «Razza di scemo; ti avevo detto di non intervenire. Io non stavo correndo nessun pericolo.»

«Non mi pare un gran ringraziamento, il tuo.»

«Non voleva esserlo, piccolo idiota.»

Allargai le braccia: «Non sapevo che tu potessi… Come hai fatto? Sei forse un mago?»

«Una specie, Arturo; una specie… diciamo che sto imparando…»

«Credo sia una cosa meravigliosa.»

«Sì, amico, per certi versi lo è veramente; per altri, invece…»

Lo guardai con ammirazione: «Come sei fortunato, amico mio.»

Merlo mi guardò sorridendo: «Se vuoi, ti posso fare conoscere il mio maestro.»

Ero speranzoso quando chiesi: «Tu pensi che possa imparare anch’io a…»

La risposta dell’amico mi gelò. «No, Arturo, non puoi; tu non hai la Vista.»

«La mia vista non ha nessun problema!»

Merlo rise: «Lo so, amico. Io intendo un’altra cosa. La Vista di cui parlo indica la predisposizione alla magia ed è legata alla capacità della preveggenza, alla visione del futuro. Una cosa che si manifesta spontaneamente fin da piccoli.»

Ricordai: «I sogni di cui mi hai parlato?»

«Esattamente, Arturo.»

Ero chiaramente deluso: «Io, invece, sono un noioso tipo qualunque.»

«Non direi, amico mio. Tu non sei per niente noioso. Tu hai coraggio da vendere e sei leale. Oggi l’hai ulteriormente confermato.»

«Non ho fatto niente di speciale.»

«Davvero lo pensi? Ti sei esposto a un grosso rischio personale per aiutarmi. Quei ragazzi erano grossi, in circostanze normali, le nostre speranze erano davvero poche.»

Scherzai: «Dici così perché non conosci la mia straordinaria potenza fisica.»

«La tua potenza forse la sottovaluto, Arturo; ma è il tuo animo a stupirmi.»

«Il mio animo?»

«Sì. Tu, amico mio, sei coraggioso e leale, oltre che nobile e giusto. Non mi pare poco.»

«Io, il nipote del maniscalco, ho qualcosa di nobile? Non mi fare ridere.»

«Non ne avevo nessuna intenzione, mio grande re.»

Una battuta che, detta da un vero nobile, sia pure bastardo, non trovai per niente divertente.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Enrico Falconcini
Enrico Falconcini è nato e abita a Livorno. Da sempre le sue insane passioni sono la scienza, la letteratura (senza distinzioni di genere) e la musica (con distinzioni di genere). Questo cattivo soggetto si è laureato in scienze biologiche all’Università di Pisa e prima del suo pensionamento ha insegnato a lungo presso il liceo scientifico F. Enriques di Livorno. Ama leggere più che scrivere, ma ha trovato tempo anche per quest’ultima perversione. Margherita e il corvo, un libro di divulgazione scientifica, è il suo primo lavoro (edizioni Draw Up 2012). Al di fuori della divulgazione ha al suo attivo diversi lavori con vari editori; nel suo ultimo si cimenta in un’atipica riproposizione del mito arturiano.
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