Si svegliò al buio della stanza, nel letto. Non si sentiva più il corpo. Una figura grossa e nera le stava seduta accanto e sentì che era lui.
«Mi hai salvata…» sussurrò, senza forze. Marcus non rispose. «Grazie…» Sì, gli era grata. Aveva voluto uccidersi, lo aveva desiderato profondamente, ma scoprì, con una punta di amarezza, di essere contenta che Marcus l’avesse sottratta al caldo abbraccio della morte. «Non voglio essere un vampiro…» mormorò. Gli occhi, già rossi e gonfi, si inumidirono di nuovo. Si portò le mani al viso, per nasconderlo. Notò che erano bendate. «I vampiri hanno ucciso la mia famiglia, non voglio essere una di loro…» La lacrima corse lungo la gota, verso l’orecchio a punta. «Non voglio uccidere le persone, non voglio mangiare… la carne umana…» rabbrividì di disgusto al pensiero. «Voglio tornare a essere quella che ero…»
«Non puoi. Non si torna più indietro.» replicò Marcus. Non c’era desiderio di consolarla, nella sua voce. Ma neppure indifferenza. La ragazza non riuscì a intuire cosa stesse pensando, ma nonostante tutto era felice che le fosse rimasto vicino. La sua presenza era rassicurante, come un punto fermo in un mondo diventato improvvisamente caotico. Cercò la mano calda di lui e la strinse debolmente. Marcus trasalì a quel gelido contatto, e la ritirò istintivamente. Ma la ragazza non se ne accorse. Si era già addormentata.
Strinse a pugno la mano che lei gli aveva sfiorato. Sentiva ancora sulla pelle il suo tocco, freddo di morte. Era una vampira, una creatura diabolica, che manteneva in vita un corpo morto attraverso il sangue vivo degli altri. Eppure l’aveva salvata. L’aveva salvata due volte.
Marcus si passò una mano sul viso stanco, sedendosi sulla sedia a dondolo della cucina. Ho perso di vista il mio compito. Lui, un Cacciatore, stava accudendo una vampira. La difendeva, le procurava il cibo. Il senso di colpa lo morse più a fondo. Perché non riusciva ad ucciderla?
Come lei, ormai, anche Marcus sentiva di non poter più tornare indietro. Con un gesto rabbioso, si alzò dalla sedia. Tanto vale andare fino in fondo, allora.
Tornò da lei, nella stanza, la scoprì: l’aveva bendata dalla testa ai piedi, ma naturalmente non sarebbe servito. Il suo corpo era troppo indebolito e affamato per guarire. Serrò la mascella: ormai aveva deciso.
La svegliò, scuotendola senza tante cerimonie.
«Devi mangiare.» le intimò. Ella emise un verso disperato e voltò la faccia, rifiutandosi. «Avanti, alzati.» le ingiunse ancora. La tirò su come se fosse stata una piuma. La portò nella cucina, mentre lei scalciava e si dibatteva.
«Lasciami, non voglio! Non lo voglio fare!» Marcus, incurante delle sue proteste, la stese accanto a un cervo. L’animale era ancora vivo: con un dardo piantato nella zampa posteriore e un altro in quella anteriore, non era più in grado di stare in piedi, ma scalciava debolmente e si lamentava, le corna che sbattevano contro il pavimento di legno ad ogni movimento. La sua sofferenza era evidente. Marcus, presto affiancato dalle figure sinuose dei due lupi, che osservavano il cervo leccandosi avidamente i baffi, rimase ad osservarla. La ragazza ebbe conati di vomito dalla fame, tentando palesemente di resistere con tutte le sue forze all’odore invitante del sangue.
«Basta negarti, mangia.» le ordinò Marcus, perentorio. La ragazza lesse negli occhi del Cacciatore la certezza che il suo destino si compiva quella sera. Non si rifiutò più. Si avvicinò strisciando all’animale, guidata dall’odore dolciastro e un po’ metallico del sangue che gli usciva dalle ferite. Non era difficile, bastava lasciar fare al suo corpo, lui sapeva cosa fare. L’animale, quasi avvertendo la minacciosa presenza della ragazza, scalciò con più decisione, mugolando. I canini si allungarono fino a sfiorarle il mento, ma quasi non se ne accorse. Si avvicinò ancora, l’animale tentò di tenerla lontana con le corna, ma i suoi movimenti erano deboli e lenti. Lei le afferrò con una mano e gli tenne il muso ben fermo sul pavimento. Pareva quasi non rendersi conto della forza che le serviva per farlo. Il cervo gemette ancora, dibattendosi con la forza della disperazione. Ma la ragazza gli affondò ugualmente con avidità il viso nel collo.
Il suo corpo sembrò rinascere ancora. Smise di tremare, le ustioni guarirono ad una ad una, con velocità impressionante, recuperando sempre più le forze man mano che il sangue le colava giù per la gola, sulle labbra, sul mento. L’animale era morto, ma lei si sentiva, paradossalmente, viva. Estremamente consapevole di sé e di ciò che la circondava come mai le era capitato prima, la linfa vitale del cervo acuì le sue percezioni, ingigantì la portata dei suoi sensi, rendendola sensibile al minimo movimento, al minimo fruscio. Quando si sollevò dal corpo dell’animale, aveva la bocca e il collo imbrattati di sangue, ma un’espressione di beatitudine sul volto.
Era una vampira.
Quella notte, stettero uno seduto di fronte all’altra.
«Che farò adesso?» gli chiese. Marcus non rispose. Carezzava lentamente Hati, pensando. Era una decisione difficile per lui. «Non voglio vivere con i vampiri.» proseguì. La ragazza aveva avuto tempo per pensare e per tentare di rassegnarsi alla sua nuova condizione. Non poteva ancora accettare di essere una vampira, ma dopo quel tentato suicidio si era resa conto di non voler neanche morire.
«Non ti lascerò andare a vivere con loro.» replicò Marcus. La ragazza si sentì intimamente sollevata nel sentirglielo dire. «Appena scopriranno la tua esistenza, faranno qualunque cosa per averti, e io non intendo concedere loro questo vantaggio.» La vampira aggrottò la fronte, confusa e spaventata. Marcus sollevò lo sguardo su di lei e tirò un sospiro. Si alzò, iniziando a passeggiare per la stanza.
«La loro stirpe si indebolisce.» spiegò. «I vampiri invecchiano, le mutazioni umane sono eventi rari, ormai: non riescono a mandare avanti la loro gente. Sei il primo essere umano» proseguì poi, dopo una breve pausa «a venire mutato dopo diversi decenni. Il sangue umano è diventato troppo debole, soccombe a contatto con il germe vampiro. Ma tu sei stata mutata. E sei giovane, il tuo sangue è giovane, il germe del vampiro che scorre in te non è ancora forte.» La ragazza lo fissava, un terribile sospetto stava prendendo forma nella sua mente. «E allo stato attuale, per mutare, gli umani devono essere infettati da un germe debole, non da uno forte.» Marcus la fissò intensamente, e allora il sospetto divenne certezza. La vampira si sentì percorrere da brividi di terrore. «Potresti essere in grado di dare vita a moltissimi vampiri, che è proprio ciò che il tuo popolo vuole. Saresti la loro salvezza.» concluse, piatto. La ragazza, spaesata da quella rivelazione, rimase in silenzio per un po’.
«Non voglio stare da sola…» sussurrò poi, col capo chino. «Se mi trovassero, non saprei difendermi…» si strinse più forte nel mantello, come a proteggersi. A Marcus non sfuggì quel gesto, e in un attimo gli fu dolorosamente chiara la decisione da prendere. Osservò quella piccola creatura sperduta, catapultata in una notte in una esistenza cui non apparteneva, e che le riusciva impossibile da accettare.
«Uccidimi.» Nel silenzio che regnava, quella parola cadde fragorosa come un masso. «Sei un Cacciatore di vampiri, non è così?» Marcus strinse i pugni, in silenzio. «Ho visto il tatuaggio sulla tua spalla.» spiegò. Deglutì, quindi alzò su di lui gli occhi verdi. «Non puoi permettere che una come me finisca nelle loro mani. Troverebbero il modo di convincermi a mutare chissà quante persone e io non sarò in grado di resistere.» La sua voce pareva forte e sicura, ma Marcus avvertì una nota di paura, in fondo alle sue parole. «Tu devi uccidermi. Lo devi fare per gli umani… e anche per me.» sussurrò, chinando il capo. «Non riuscirei a vivere, sapendo di aver trasformato in mostri delle persone innocenti.» Marcus la fissò intensamente. Come poteva considerarla una vampira? Un vampiro non diceva cose del genere. Per un vampiro, la sopravvivenza della stirpe era un istinto fondamentale, un desiderio profondo che prevaleva su qualunque altra cosa. Forse, cominciava a capire perché non riuscisse a ucciderla.
«Tu non vuoi morire, e io non voglio ucciderti.»
«È un tuo dovere, hai prestato giuramento per questo.» Marcus si sentì colpito dritto al cuore. Strinse i pugni, serrò la mascella. Lo sguardo s’indurì. Sì, lo sapeva. Se lo ripeteva continuamente, ma pronunciata da un’altra bocca, la sua colpa assumeva una veste ancora più ineluttabile.
«Fa’ silenzio, ho deciso.» disse, tentando di controllare la rabbia montante. Arrabbiato con se stesso, perché aveva commesso un errore grande quanto una montagna, salvandola. E con lei, perché si ostinava a metterglielo sotto il naso.
«Ma tu sei un Cacciatore! Sei vincolato da un giuramento sacro!» Marcus, con uno scatto che non sembrava nemmeno umano, l’afferrò dal collo, sollevandola con rabbia da terra. Il suo viso, sconvolto dalla furia, distava solo un sospiro dal suo.
«Conosco il mio dovere.» sibilò, fissandola dritto negli occhi. «Non occorre che sia una ragazzina a ricordarmelo. Ma ti ho salvata, perciò decido io della tua vita.» ringhiò, minaccioso. Un’ultima stretta, quindi la lasciò cadere a terra con un tonfo. La vampira tossì, cercando di riprendersi. Nonostante i suoi modi burberi, aveva capito cosa intendesse dirle. Lo fissò con gratitudine.
«Quindi vengo con te.» azzardò quasi con noncuranza, rialzandosi. Marcus non rispose, limitandosi a controllare che le armi fossero in ordine. Il tempo sembrò fermarsi, mentre la ragazza attendeva da lui una conferma, anche minima, alle sue parole.
«Dovrai mettere braghe comode e qualcosa di non ingombrante sopra. Devi garantirti la maggior libertà di movimento possibile.» sentenziò quindi il Cacciatore. La vampira esultò intimamente, ma non osò dimostrarglielo. «Ti serviranno un mantello e degli stivali rinforzati, perché viaggeremo a piedi, soprattutto di notte.» proseguì, elencando senza mezzi termini ciò che pretendeva da lei. «Andremo a cacciare quelli della tua specie, a scovarne i nascondigli e a trucidarli. Perciò dovrai imparare a combattere e a uccidere, senza pietà. Rimarremo ancora un giorno qui: domani, al calar del sole, partiremo.» concluse, dandole ancora le spalle. La gioia della ragazza venne oscurata da quelle previsioni per nulla confortanti.
«Se viaggeremo insieme, dovrò sapere il tuo nome.» disse, cercando di non pensarci. Neppure stavolta l’uomo si voltò.
«Marcus.» rispose, continuando a dedicare la propria attenzione alle armi.
«Io sono Eva.»
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