Oggi ci sono giusto cinque o sei case divise in otto piccoli appartamenti poste sul lato destro venendo dal mare ed una settima, quella di don Nicola, su tre livelli, di fronte, a sinistra oltre la piazzetta ricavata ricoprendo i ciottoli con lastre di basoli del Vesuvio. Dietro la piazzetta c’è ancora la grotta scavata nel costone diventata quasi un museo con i resti delle reti, le nasse e i cimeli ormai arrugginiti dell’attività di pesca e la vetusta barca di Nicola e Salvatore. Davanti alla grotta centoventi anni fa don Nicola De Rosa costruì un lavatoio a disposizione della comunità che poi era la sua famiglia e quella del fratello Salvatore. Tutte le piccole casette furono progressivamente scavate nel tufo per ricavare altre stanze partendo da piccole grotticelle sparse a diverse altezze sul costone retrostante che degrada verso il mare. Sul davanti delle piccole grotte furono costruiti gli ingressi con una stanza in muratura appoggiata alla roccia e un terrazzino di accesso. Il tutto ovviamente utilizzando mattoni di tufo. E poi piccone e pala, pala e piccone per rubare altri spazi alla montagna. Mano a mano che nel tempo nascevano bambini si scavavano altre stanze e quando quei bambini crescevano e diventavano adulti si edificavano allo stesso modo altre grotticelle per accogliere le nuove famiglie. Casette di grandissima suggestione per le loro pareti irregolari ma prive di areazione diretta e soprattutto umide. Non fredde perché il tufo è un forte isolante termico ma l’umidità , quella sì, penetrava nelle ossa. L’umidità, l’elemento che ha salvato Terranfosa dall’arrembaggio dei napoletani in cerca di un posto dove fare il bagno e dalla speculazione edilizia che a suon di milioni avrebbe potuto convincere gli eredi De Rosa a vendere tutto a qualche imprenditore che l’avrebbe trasformata in un piccolo Hotel. Un piccolo paradiso protetto anche dalla sua inaccessibilità. Niente auto o motorini, ci si arriva percorrendo un sentiero in discesa di quasi un chilometro superando un tunnel e degli scalini nei passaggi più ripidi o tortuosi. E comunque poi bisogna risalire.
E poi il sole. A Terranfosa non c’è, si intuisce soltanto. Venendo dal mare l’accesso del fiordo è esposto a sud est, fa una piegatura a destra e dopo una settantina di metri finisce con la piazzetta, una volta spiaggia. Le alte pareti di tufo costellate di piante fanno in modo che il sole nel punto più alto della sua parabola colpisca direttamente il borgo soltanto per un paio di ore al giorno e soltanto in estate. In inverno niente, freddo ed umidità. Qualche napoletano vi si reca pure in cerca di pace e tranquillità oppure per ammirare la natura o magari perché appassionato di immersioni subacquee ma niente a che vedere con Rivafiorita o Marechiaro, altri piccoli borghi di pescatori che al cospetto di Terranfosa sembrano metropoli con i loro scogli piatti comodo giaciglio estivo per migliaia di bagnanti e le decine di locali e ristoranti.
Il tratto della costa di Pausilypon che ospita queste meraviglie è unico nel Mediterraneo. Conosciuto da Omero che vi ambienta il brano dell’Odissea di Ulisse che resiste alla tentazione del Canto delle Sirene Partenope, Leucosia e Legea. L’areale di vita delle sirene, secondo il Padre della letteratura, spaziava dalla vicinissima isola di Nisida fino all’isola di Capri. Territorio scelto da Virgilio come luogo della sua permanenza a Napoli prima frequentando la Scuola filosofica epicurea di Sirone, laboratorio ideale del concetto indefinito e indefinibile noto come “ napoletanità “ in qualità prima di allievo e successivamente di docente e dove pare abbia scritto l’Eneide capolavoro del classicismo latino. Luogo prescelto anche dalla aristocrazia romana che nel tratto di costa tra Pausilypon e Cuma edificò magnifiche ville e residenze tra le quali quella di Bruto, sempre a Nisida, dove fu concepito l’omicidio del padre Giulio Cesare. Perfino Dante ambienta nel non lontano lago d’Averno, l’accesso agli inferi accompagnato dal già citato Virgilio. Pausilypon, territorio dove inizia verso nord ovest il terribile vulcano dei Campi Flegrei, enorme sistema di crateri sottomarini e superficiali alcuni dei quali tuttora in attività e potenziale pericolo per un territorio cui il Vulcano ha regalato la straordinaria fertilità della terra che insieme alla particolare mitezza del clima ha offerto sponda e riparo fin dalle prime colonie greche. Fino all’attuale città di Napoli il cui nome storico deriva dalla sirena Partenope tuttora venerata in città quale simbolo di fecondità ed abbondanza.
Pausillypon, quindi, il cui nome significa “luogo dove cessano gli affanni”. Se partendo da questo luogo dell’amore si tracciasse un raggio di 25-30 chilometri, si delineerebbe all’incirca il perimetro della Città Metropolitana di Napoli, conurbazione di oltre tre milioni di abitanti con al centro il paradiso della Natura e della Sapienza che vi ho raccontato.
Ma Terranfosa era il regno dei De Rosa e basta. È stato così per oltre un secolo fino a quando siamo arrivati noi quattro e Marina.
2 L’equipaggio
Noi quattro siamo fondamentalmente due, Gianni il comandante ed io Attilio l’armatore di Marina. L’equipaggio è completato da Guglielmo, professore universitario in pensione, artefice della grande opportunità che ho sfruttato e Pierre acrobata subacqueo francese amante dei sud del mondo, del Mediterraneo e quindi di Napoli.
« Sono veramente contento che ci siamo potuti vedere stasera nonostante lo scarso preavviso. Ma c’è una cosa importante che devo dirvi. Sono mesi che non ci vediamo » esordì Guglielmo.
« Gugliè, quando mi hai chiamato ho notato subito la tua eccitazione e così quando mi hai proposto di incontrarci oggi per una chiacchierata davanti ad una birra non ho esitato un momento a proporlo ad Attilio. » disse Gianni.
« Professò è sempre un piacere vederti. Sei scomparso ultimamente e la chiamata di Gianni mi ha fatto piacere quando ho capito che non era la solita rottura di scatole relativa a Marina. »
« A proposito, come sta? Per un motivo o per l’altro non la vedo da un paio di mesi » chiese il professore.
« Eh come sta… Fa la bella vita a Mergellina a spese nostre. Da quando abbiamo deciso di sospendere le escursioni è cambiato il nostro rapporto. Si esce poco e solo per divertimento. Meno male che il tempo a settembre è stato bello. Per il resto ne abbiamo approfittato per risolvere qualche problemino, Attilio ieri è stato con lei tutta la giornata. Stiamo aspettando che arrivi il momento di portarla a Torre del Greco per passare l’inverno » replicò Gianni.
« E Pierre? Lo avete sentito ultimamente? »
« Sì, sì ci ho parlato io. Sta scoglionato per il lavoro e a Carole, a scuola, pare non vada meglio. Mi è sembrato un po’ depresso e dispiaciuto per la fregatura che gli ha fatto Gianni, come al solito. Prima lo ha illuso che sarebbe andato con Grazia a Parigi a trovarlo e poi è venuto meno. Niente di nuovo » risposi.
« Guagliù… venuto meno… Quello Daniele ha comprato casa a Roma e gli abbiamo dato una mano a sistemarla. Gli abbiamo portato pure tutte le sue ultime cianfrusaglie che aveva lasciato qua per la somma gioia della madre. Tra l’altro il lavoro nelle produzioni cinematografiche sta andando bene e finalmente ha trovato la sua strada. Pure ‘a guagliona che tiene vicino è piaciuta molto a Grazia. Come facevo ad andare pure a Parigi?»
«Eh comandà ho capito. Ma allora perché lo hai illuso al povero Pierre dicendogli che andavi un week end da lui?» ribattei per il puro gusto di provocare il mio grande amico cercando di trascinarlo in uno dei nostri famosi battibecchi.
« Che c’entra…, certo che mi avrebbe fatto piacere ma poi… Tra Marina, Grazia, Daniele e la cessione della fabbrica di camicie come facevo?» replicò piccato lui che non amava essere stuzzicato.
« Eh! Adesso ti devi abituare a fare il pensionato. Anche io quando ho lasciato l’università ho preso una bella botta ma tra Emma che si è sistemata in Inghilterra, la casa e qualche acciacco di Maria mi sono dovuto dare da fare… E tu Attì, come te la stai passando?» disse Guglielmo.
« Gugliè, sai bene che avevo deciso di puntare tutto su Marina quando 5 anni fa decisi di lasciare l’azienda dove lavoravo. Sono sempre convinto di avere fatto bene perché l’ambiente era diventato tossico e non si respirava una buona aria. Io sono disponibile ad affrontare tutto ma certamente non mi faccio venire l’ansia perché nelle aziende al giorno d’oggi, dei manager scadenti fanno ricorso alla violenza psicologica del tipo “ le cose stanno così e se le accetti, bene, altrimenti abbiamo la fila fuori la porta”. Che ti viene da pensare “ adesso a questo gli scasso una seggia in fronte oppure lo mando a cacare una volta per tutte e non se ne parla più? ” E così ho fatto ma adesso che abbiamo deciso di lasciare le escursioni perché troppo faticose fisicamente, non me la passo bene con le spese che porta Marina. Ma piuttosto, Gianni mi ha incuriosito dicendomi che ci dovevi parlare di una cosa importante. Di cosa si tratta?»
« Amici miei, si tratta di una opportunità o almeno di qualcosa che, ad intuito, ho percepito come tale. Voi tenete presente Terranfosa? » chiese Guglielmo.
« Niente di meno, un paradiso naturale rimasto intatto perché scomodissimo per arrivarci con quel sentiero nelle gole di tufo ripido e tortuoso. Con Gianni ci andavamo in gommone a pescare i ricci di mare che crescono in Grazia di Dio protetti dalla scogliera. Che mangiate! » dissi.
«Sul lato interno del fiordo ci sono i lastroni piatti di tufo sovrapposti e al di sotto i ricci crescono una bellezza. Io e Attilio ne abbiamo pescati centinaia. Però con Marina non ci siamo mai andati. Ci passiamo solo davanti all’imboccatura in navigazione.» replicò Gianni.
« Benissimo. Dovete sapere che anni fa ho avuto come allieva Caterina De Rosa che abitava con la famiglia nel piccolo borgo dove ci sta la piazzetta che una volta era una spiaggia.»
« Se non sbaglio tutto il borgo è abitato soltanto da quella famiglia, anzi furono proprio loro a costruire le casette scavando nelle rocce. Hanno costruito un piccolo paradiso isolandosi dal mondo pur restando in città. Sono tutti fratelli, zii e nipoti. Credo una trentina di persone.» dissi io replicando le voci raccolte tra amici, in città.
« Esatto ma il tempo è passato e Caterina mi ha spiegato che le cose oggi sono cambiate e il Covid ha accelerato il cambiamento ma andiamo con ordine. Caterina è una ragazza sveglia. Da studentessa all’università era una di quelle che davano grandi soddisfazioni ai professori. Sempre attenta e scrupolosa partecipava alle lezioni con vera passione per lo studio. Insomma uno studente modello. Inoltre è pure bellella assai con quei grandi occhioni neri spalancati che esprimono curiosità.»
« Ah professò, ammo capito tutte cose…» questa volta era Gianni a stuzzicare il vecchio amico.
« No invece non avete capito proprio niente, cretini! Sono stato un suo riferimento per il suo brillante percorso universitario, ha fatto anche la tesi con me ed anche dopo siamo rimasti sempre in contatto. L’ho orientata a cercare la sua strada ed aiutata quando le proposi l’opportunità di trasferirsi a New York prima come lettrice ed ora come docente di italiano. »
«Azz’ professò, ho saputo che hai venduto il pied ‘a terre a Milano…» Insinuai ironicamente.
« Che volete fare? Nella vita ci sono priorità da rispettare. Ma ritornando a Caterina, ha recentemente perso il papà e da qualche giorno è tornata a Napoli per andare a trovare la mamma e la nonna Nunzia che è la memoria storica e riferimento familiare per i De Rosa. Una specie di Matriarca. Per farla breve, Caterina mi ha chiamato invitandomi a casa sua una sera a cena perché voleva farmi conoscere la sua famiglia di origine.»
« Sei penetrato nella fortezza? In città corre voce che si tratta di un ambiente chiuso e anche i visitatori occasionali del luogo sono mal tollerati. Come se la semi inaccessibilità del posto abbia favorito anche una certa asprezza nei modi da parte di chi lo abita. Dai, racconta come è andata.» chiesi curioso.
« Attì è brava gente. Umile, semplice ed abituati ad accontentarsi di poco. Tieni presente che hanno avuto la fortuna di trovarsi in un angolo di paradiso con gli occhi delle persone addosso. Pensa solo alle ville dell’alta borghesia posillipina disseminate sulla collina e alle mire di chi avrebbe voluto impossessarsi di questo ben di Dio per usi privati o speculativi. Certo, Terranfosa è disagevole, la piazzetta quando c’è cattivo tempo di mare viene sormontata dalle onde della risacca anche se lo specchio di acqua è protetto dalla curvatura del fiordo. Pensa anche ai disagi che subiscono per portare i figli a scuola o per andare in città a fare la spesa magari con il cattivo tempo. Ma come vi dicevo, le cose sono cambiate.»
Guglielmo parlava e Gianni ed io vedevamo una luce nei suoi occhi che non faceva altro che alimentare la nostra curiosità.
«Intanto, pur essendo un nucleo chiuso, hanno sempre dato la possibilità a chi voleva, di andare via e di integrarsi a Napoli e nel mondo. Qui, mi ha detto Nunzia, doveva rimanere soltanto chi aveva piacere di farlo ed era disposto a condividere quello stile di vita. Quindi molti figli e nipoti hanno nel tempo lasciato Terranfosa. Caterina ne è un esempio recente ma mi hanno raccontato che era così anche in passato fin da quando tutto è iniziato con il capostipite Nicola e il fratello Salvatore. In questo modo molti di loro sono invecchiati e se in passato la principale fonte di reddito era la pesca delle alici, grazie alla quale hanno potuto costruire piano piano il borgo, negli ultimi decenni la comunità si sosteneva o con il lavoro in città dei sempre più pochi figli e nipoti rimasti oppure con le pensioni dei più vecchi. Oggi sono rimaste solo poco più che una decina di persone perlopiù vecchi e bambini esattamente come nei paesini dell’Italia interna. Tra questi c’è Tonino, unico figlio maschio di Nunzia con la moglie e i due figli giovanotti. Lui ha lavorato come timoniere su navi commerciali. Pensate che hanno dato una casa a Teresa, una vecchia fidanzata di un pronipote di Nunzia con i sue due bambini avuti dal ragazzo. Il giovane ha mollato la sua famiglia e se ne è scappato a Milano con un altra donna scomparendo dalla circolazione. Nunzia non ha esitato ad accogliere Teresa che fa la collaboratrice domestica in una casa di Posillipo e i due figli piccoli.»
«Terranfosa come un paesino dell’Irpinia, quindi?» dissi affascinato dal paragone.
«Esattamente, Attilio. Il colpo di grazia lo ha dato il Covid. Molti degli anziani non si erano vaccinati e l’epidemia ha dato un ulteriore colpo allo spopolamento del borgo. Tra le persone decedute per l’epidemia c’è stato don Vincenzo e la moglie Maria che avevano ereditato la casa patronale di don Nicola. Non so se avete presente il borgo ma è quella isolata, dall’altro lato della piazzetta, l’unica a tre livelli con un ampio terrazzo di accesso sul davanti.
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