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The Durham’s circle ballads, volume 1: Ballata di gelo e segreti

The Durham's circle ballads
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Consegna prevista Febbraio 2024
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Dorian Price è uno studente al primo anno all’università di Durham quando incontra per la prima volta Nivia Evans. Subito attratto da lui, scoprirà che questa ragazza nasconde moltissimi segreti e assisterà a un rituale di magia condotto proprio da lei. Pronto a conoscere tutta la verità, Dorian cercherà di starle accanto e di entrare nel suo mondo, ma Nivia non ha intenzione di rivelargli tutto, perché Dorian è umano, e gli umani le hanno tolto ogni cosa. Sua madre è stata uccisa da un cacciatore cinque anni prima e presto scoprirà chi di loro gliel’ha portata via. Tra kelpie aggressivi, un omicidio irrisolto e nuove emozioni, Dorian e Nivia dovranno fare i conti con il passato se vogliono veramente stare insieme. Perché l’amore non sempre basta per affrontare gli ostacoli che loro dovranno superare… o forse sì?

Perché ho scritto questo libro?

Ho sempre amato il paranormale sin da quando ero bambina, e quando mi è venuta l’idea per questa storia ci ho messo tutta me stessa. Questo libro rientra nel genere Paranormal romance/ Urban fantasy, con elementi che amo scrivere tra cui una storia d’amore impossibile, la magia e segreti nascosti, tutto ambientato nel mondo reale. I protagonisti hanno molto di me, e non sarò mai pronta a lasciarli andare. Perché questo, d’altronde, è solo il primo volume.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

Prologo

Gli angeli, non così felici in cielo come noi,

a lei e a me portarono invidia –

oh sì! E fu per questo (e tutti ben lo sanno

in questo regno in riva al mare)

che quel vento irruppe una notte dalla nube

raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee.

EDGAR ALLAN POE, ANNABEL LEE.

A dispetto del suo nome, Nivia odiava la neve.

Le ricordava qualcosa che avrebbe voluto dimenticare per sempre. Qualcosa che aveva rinchiuso in un cassetto della sua mente e di cui aveva gettato la chiave nell’abisso più profondo.

Era un peccato, perché da piccola adorava la neve.

Lei e sua madre erano solite costruire dei pupazzi, sciare e lanciarsi palle gelate contro. Victoria, sua madre, scoppiava in una risata cristallina ogni volta che la centrava in pieno viso.

Nivia all’inizio non ne era molto felice, ma poco dopo scoppiava a ridere anche lei. Il naso rosso per il freddo e i capelli spettinati per la corsa, bianchi e candidi proprio come lo era la neve.

Adesso odiava il colore dei suoi capelli, identici a quelli della madre.

Odiava l’inverno, odiava il bianco, odiava tutto ciò che potesse ricondurla alla neve.

Odiava il natale, odiava i regali e l’albero che da bambina era solita decorare con i suoi genitori.

Non era stata sempre così. C’era stato un tempo in cui aveva amato tutte quelle cose, in cui lei e sua madre si vestivano di bianco quasi ogni giorno e in cui adorava finire di decorare l’albero con la stella sulla punta.

Ma quella notte tutto era cambiato.

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La notte in cui il bianco della neve si era dipinto di rosso sangue.

Il sangue di sua madre, che lei non aveva mai dimenticato.

La sofferenza di suo padre, che riusciva ancora a cogliere nei suoi occhi dopo tutti quegli anni.

E le proprie mani che non smettevano di tremare, neanche dopo tutto quel tempo.

Cinque anni.

Cinque anni senza sua madre, senza la donna che aspirava a diventare, senza la donna che l’aveva amata più di chiunque altro. Cinque anni di inferno, di solitudine, di rabbia.

Nivia quella notte la ricordava bene, nonostante avesse provato a rinchiudere quel ricordo nella parte più profonda di sé.

La vedeva nello specchio in cui si guardava ogni mattina.

I capelli bianchi, gli occhi tra il verde e l’azzurro, ogni cosa di sé le ricordava sua madre e quella notte.

Un uomo che brandiva una spada dalla cui punta gocciolava il sangue di sua madre.

Suo padre che chiedeva pietà.

E lei, nascosta nella cantina del loro vecchio appartamento. Nascosta agli occhi di quell’uomo orribile che le aveva portato via sua madre.

Un uomo di cui non sapeva il nome, né il motivo di quell’omicidio.

Un uomo che conosceva solo e soltanto in unico modo.

Il cacciatore.

Capitolo 1

Metanoia

Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee,

per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo,

all’improvviso, in maniera inaspettata,

prima che una sola parola venga pronunciata.

FEDOR DOSTOEVSKIJ

Dorian

‹‹Hai preso tutto?››

‹‹Papà, è la decima volta che mi fai la stessa domanda!››

‹‹Voglio solo essere sicuro che sia tutto perfetto!››

Dio, non ce la faccio più.

Sono di fronte il college, a pochi metri dall’ingresso, e mio padre continua a tartassarmi come se avessi ancora cinque anni.

Non lo mando a quel paese solo perché è mio padre.

E perché mi taglierebbe i viveri.

Papà mi dà una pacca sulla spalla e la stringe, abbastanza forte da costringermi a raddrizzarmi e a trattenere uno sbuffo che lo farebbe imbestialire. Adoro mio padre, è solo che a volte è… semplicemente troppo.

Mi sorride, e sono certo che gli scapperà una lacrima proprio qui, di fronte a tutti i miei futuri compagni di università, e che verrò preso in giro per il resto della mia vita.

Avrei dovuto dormire al campus quella notte, ma papà aveva insistito per accompagnarmi fino alla mia camera dove, una volta sistemate le valigie, avrei seguito l’orientamento con altri studenti.

Papà scuote la testa e mi lascia finalmente andare. Ne approfitto per lanciare una rapida occhiata al campus di Durham, ma per fortuna nessuno ha fatto caso a una matricola come me. Non ancora, almeno.

Mi passo una mano fra i capelli con fare nervoso. Non capisco perché sono così agitato. A scuola andava tutto bene, mi ero fatto degli amici, avevo una ragazza diversa ogni sera, perché l’ansia sta cominciando a divorarmi? Non poteva essere così difficile, no?

No. Ce l’avrei fatta, e sarei andato avanti, giorno per giorno, come avevo fatto negli ultimi cinque anni.

Alzo lo sguardo sul cielo privo di nuvole e una fresca brezza mi fa accapponare la pelle. Non per il freddo, bensì per la presenza che sento di avere accanto.

Mia madre è con me, so che c’è. E so che mi sta guardando da qualche parte, perciò la renderò fiera di me.

‹‹Non restare lì imbambolato, sbrighiamoci! Tra meno di un’ora hai l’orientamento!››

Prendo un respiro profondo e continuo a dirmi che ce la farò. Che tutto andrà per il verso giusto, perché è così che deve andare.

Non deluderò mio padre, non deluderò mia madre.

Non sono più il bambino di tredici anni impaurito che si nasconde dentro la credenza.

Sono l’uomo che mia madre avrebbe voluto che fossi.

Così mi decido a prendere le valigie e a seguire mio padre. Il campus è pieno di studenti che corrono ovunque, anche se le lezioni per noi del primo anno inizieranno il pomeriggio, giusto il tempo per l’orientamento. 

Percorriamo i corridoi del dormitorio con le valigie al seguito. Mio padre per poco non fa inciampare una ragazza nelle ruote della valigia. All’inizio sembra corrucciata e pronta a rispondere, ma appena mi nota mi sorride e scuote la testa. Ricambio il sorriso e la osservo mentre si allontana. Mio padre fischia e mi fa l’occhiolino, ma faccio finta di non averlo notato. È già imbarazzante così.

So di avere un compagno di stanza, ma adesso non c’è nessuno in camera, così poso la valigia sul letto e mi riprometto di sistemarla dopo le lezioni, non ho tempo di farlo adesso. Papà si guarda intorno con aria nostalgica, anche lui ha studiato a Durham. Quando gli ho detto che non avrei seguito i suoi stessi interessi ma che preferivo la letteratura alla legge abbiamo avuto una forte discussione, e solo dopo mesi siamo riusciti a parlarne senza urlarci contro. Adesso, papà si è arreso al fatto che sono più simile alla mamma di quanto voglia ammettere.

Sono cresciuto ascoltando le voci di Poe, Shakespeare, Shelley, Dostoevskij e tanti altri autori di cui mia madre mi leggeva i libri ogni giorno. Non ci assentavamo mai alla nostra breve ora fatta di tè e parole nere su bianco. Per noi, quel breve momento che passavamo insieme era sacro.

Poi, una notte, qualcuno me l’aveva portata via.

Papà era cambiato, così come la nostra vita. C’era stato un periodo in cui avevo odiato i libri, la musica e l’arte in generale. C’era stato un momento della nostra vita in cui avevamo odiato persino noi stessi.

Perché lei era stata presa e noi no?

Perché quando raccogli un fiore, scegli il più bello di tutti.

Le parole di papà mi tornarono in mente, ma a quel tempo ero solo un ragazzino che non capiva.

Quella persona ci aveva portato via mia madre, ed era ancora fuori, a piede libero. Libero di uccidere ancora e libero di far soffrire altri ragazzini come lo ero io.

E nessuno lo aveva mai trovato.

Scrollo le spalle per scrollare via anche quei pensieri negativi. Mamma non avrebbe voluto che pensassi a quella notte durante il mio primo giorno al college.

‹‹Lei sarebbe fiera di te.››

Sgrano gli occhi e li incastro in quelli verdi di mio padre, così diversi dall’azzurro che ho ereditato dalla mamma. Papà ha l’aria stanca, avrebbe bisogno di una bella vacanza, ma essere l’avvocato più influente del nostro paese richiede dei sacrifici. Shildon, con i suoi nemmeno dieci mila abitanti che si affidano a mio padre. Ci sono anche altri avvocati, certo, ma papà è il migliore in assoluto. Si è laureato con il massimo dei voti e porta avanti lo studio del nonno da anni.

Sono io quello diverso.

Mamma sarebbe davvero fiera di me?

‹‹Lo spero›› borbotto alla fine, nella speranza che non mi abbia sentito. Ma papà ascolta sempre tutto, e lo capisco dallo sguardo nei suoi occhi che sa cosa mi passa per la testa. Io e lui siamo sempre stati così, non abbiamo bisogno di parole per comprenderci. Non dalla morte di mamma.

Cerco ancora una volta di cacciare via quei pensieri dando le spalle alla stanza. Ce la chiudiamo diietro e raggiungiamo nuovamente l’ingresso. Riesco a intercettare Elizabeth, la ragazza di terzo anno che ci farà da guida per questa mattina, accerchiata da una trentina di studenti.

‹‹Buona fortuna›› mi saluta così papà, con un ultimo abbraccio. ‹‹Ti voglio bene, Dorian.››

‹‹Anch’io, papà.››

Papà mi sorride un’ultima volta prima di entrare in macchina. Lo vedo che aspetta qualche altro secondo, forse per essere sicuro che sia tutto davvero apposto, così gli sorrido a mia volta e gli do finalmente le spalle per raggiungere Elizabeth. Solo quando sento il rumore del motore sfrecciare via lascio uscire un sospiro di sollievo.

Elizabeth mi fa cenno di avvicinarmi con un sorriso a trentadue denti. È alta, con dei capelli castani incredibilmente lunghi che ha raccolto in due trecce, e indossa una camicetta che le stringe il seno prosperoso e un paio di jeans attillati. Faccio del mio meglio per mantenere gli occhi nei suoi, ma lo sforzo deve risultare nullo, perché Elizabeth mi lancia un’occhiata truce e mi dà le spalle troppo velocemente. Capisco che si sta abbottonando gli ultimi bottoni di quella camicia che non le permetterà neanche di respirare con il caldo che fa.

Anche se molto probabilmente pioverà molto presto. In Inghilterra piove quasi ogni giorno, non ricordo l’ultima volta che c’è stato un cielo soleggiato per tre giorni di fila.

‹‹Buongiorno!›› esclama Elizabeth, tenendosi stretta una cartella di un orripilante fucsia vivace. ‹‹Ora che ci siamo tutti possiamo iniziare. Venite con me!››

Do un’occhiata ai ragazzi e alla ragazze attorno a me. Molti dei miei vecchi compagni hanno preferito scegliere un’università più lontana da casa, io sono stato costretto a scegliere quella più vicina, per colpa di papà e della sua ansia. Non che mi dispiaccia, alla fine l’importante era avere un posto tutto per me. Starò qui tutto l’anno e tornerò solo per le vacanze. Papà sarà anche opprimente, ma mi piace passare del tempo con la mia famiglia.

Mi soffermo su una ragazza che non sta ascoltando minimamente Elizabeth –come me, d’altronde-, ma che ha il capo chinato su un block notes e le cuffie nelle orecchie. Non riesco a vederla in faccia, ma non posso non rimanere colpito dai suoi capelli.

Onde candide come la neve.

Per un momento immagino come sarebbe accarezzare quelle onde morbide e mi chiedo se siano soffici proprio come la neve che ricordano, poi mi rendo conto che si è creato uno strano silenzio attorno a me e che c’è decisamente qualcosa che non va. Alzo lo sguardo su Elizabeth che ha gli occhi puntati proprio su di me, così come tutti gli altri ragazzi tranne quella su cui mi ero soffermato.

‹‹Trovato qualcosa di più interessante del campus, Price?››

Schiudo le labbra per rispondere con un impulsivo porca miseria, sì! Ma poi la richiudo all’ultimo e scuoto la testa. La ragazza dai capelli color neve si toglie le cuffie e si guarda intorno, preoccupata forse anche lei dal silenzio, ed è allora che incontro un paio di occhi che mi rapiscono sedutastante.

Non sono né azzurri né verdi, ma uno spettacolare mix dei due colori. Assomiglia alla dea greca dei ghiacci, Chione. Cazzo, quanto è bella.

‹‹Hai fatto colpo subito eh, Evans?›› sghignazza Elizabeth, senza rendersi conto di avermi appena fornito un’importante informazione. Il suo cognome, che ovviamente cercherò su ogni social esistente.

‹‹Come? Non ti ascoltavo›› risponde lei, posando le cuffie nella tracolla con lo stemma di… un attimo, è lo stemma di Serpeverde quello che vedo?

Comincio a essere davvero intrigato.

‹‹L’ho notato, Niv. Riprendiamo, c’è abbastanza tempo per gli ormoni di tutti.››

Niv?

Niv Evans?

No, deve essere un diminuitivo. Nives? Nive?

Nivia?

Non so perché, ma quest’ultimo mi fa ronzare le orecchie. Credo che sia Nivia. Nivia Evans.

Me lo appunto sul cellulare per non dimenticarlo.

Poi corrugo le sopracciglia, rendendomi conto che Elizabeth ha usato uno strano tono con questa ragazza, come se la conoscesse già.

Ma Evans è al primo anno come me, o non starebbe seguendo –più o meno- l’orientamento, giusto?

Forse andavano alla stessa scuola, magari si conoscono per questo.

E da quale scuola proviene?

D’accordo, se non la smetto sono sicuro che mi verrà un’orribile emicrania.

Stavolta cerco di non farmi notare, le lancio rapide occhiate curiose ma faccio attenzione anche alle parole di Elizabeth. Ci porta al bar dell’università, alla mensa, in piscina e in palestra e, una volta all’aria aperta, finisce il tutto con le associazioni studentesche.

Nivia, Nives o Nive Evans non sembra per nulla interessata a niente di tutto ciò, come se il pensiero del primo giorno all’università non la scalfisse nemmeno.

Mi piego leggermente per sbirciare lo schizzo nel suo block notes. È la torre del campus, disegnata in pieno stile gotico proprio com’è nella realtà. Solo adesso riesco a concentrarmi su altro. Indossa una gonna in pieno stile dark academia con tanto di camicia e mocassini. Al collo porta una medaglietta dorata su cui ci sono incise delle parole che non riesco a distinguere. Sembra latino, ma non ne sono sicuro. Sono troppo lontano.

Credo di aver appena avuto un colpo di fulmine.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Claudia Cristiana Corbo
Mi chiamo Claudia Cristiana Corbo, sono nata il 26 aprile del 2001 ad Agrigento, ho due gatti che amo con tutta me stessa e che considero i miei cuccioli e frequento il corso di studi di Lingue e letterature a Palermo. Sono cresciuta con mio padre e mia nonna che sin da piccola mi leggevano delle bellissime favole, da "La piccola fiammiferaia" a "La regina di ghiaccio". Ho sempre amato quindi sia la lettura che la scrittura. Sono le mie passioni sin da quando ne ho memoria, il rifugio sicuro in cui esprimere le mie emozioni e tutto ciò che sento.
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