Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Tutto è bene quel che finisce

Tutto è bene quel che finisce
100%
200 copie
completato
32%
34 copie
al prossimo obiettivo
Svuota
Quantità
Consegna prevista Giugno 2024
Bozze disponibili

Samuele è stanco.
Sono le otto e mezza del mattino, la bocca è secca, le palpebre hanno il peso del marmo e tutto attorno è di un bianco spento che solo un ospedale sa regalare. Già, l’ospedale. Quanti ne ha visti di posti simili, negli ultimi tre anni e mezzo? L’ultima porta del corridoio sembra inaccessibile, Samuele sa che basterebbe abbassare quella maniglia per trovarsi davanti la contraddizione ambulante della sua vita.
Suo padre.
Mario, giunto all’ennesimo ricovero, dentro settant’anni vissuti con la velocità di un cortometraggio.
Ci ha impiegato anni Samuele per arrivare alla conclusione che per sopravvivere al dolore degli altri ci si deve difendere. Come riuscirci? Scrivendo un manuale di sopravvivenza per chi è destinato a rimanere qui.
Perché questa curva a gomito non potrà durare per sempre.
Perché prima o poi qualcuno dovrà infilare il piede in mezzo alla porta.
Perché in fondo, anche se il domani potrebbe far paura, tutto è bene quel che finisce.

Perché ho scritto questo libro?

Tutto è Bene quel che Finisce è la storia di un padre, di un figlio e di una malattia terminale.
E’ la storia di una quotidianità totalmente trasformata: da semplice ragazzo ad autista, infermiere e addirittura psicologo. È stato difficile, terribile, altre volte ancora, tragicomico. Col tempo ho scritto una sorta di decalogo allargato a undici regole, del tutto opinabile. Come resistere alla malattia di chi ci sta vicino? Leggete il libro, questa è la mia versione.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Finalmente trovò il bagno. Chiuse la porta a chiave.

Il bisogno di stare qualche secondo da solo non era procrastinabile.

Forse avrei potuto scegliere un posto diverso, ma di meglio oggi non mi riesce.

Continua a leggere

Continua a leggere

Bene, apro l’acqua, la lascio scorrere, aspetto qualche istante e poi ficco la testa sotto per il tempo che sarà necessario.

La maglietta pareva fosse stata presa di mira da un idrante impazzito, ma con il caldo che faceva si sarebbe asciugata di lì a poco. Samuele poggiò le mani sui bordi del lavandino.

Lo specchio rifletteva alcune gocce rimaste impigliate fra i peli della barba. Si scrutò a lungo e quello che vide non gli piacque affatto. Non aveva una bella cera, doveva ammetterlo.

I peli crespi che tappezzavano il viso, si erano fatti via via sempre più grigi e molti erano bianchi. Stava invecchiando.

Il suo futuro ormai era segnato: nel giro di cinque anni avrebbe avuto una faccia non troppo dissimile da quella di un dalmata.

Le occhiaie, poi, erano terribili, nere e così marcate che dubitava su una loro possibile conversione.

Non era mai stato un portento con i numeri, e con le parole non è che andasse molto meglio. Spesso le usava a sproposito, accompagnate da uno sguardo che somigliava a quello di un naufrago che aveva accettato, suo malgrado, di vivere su un’isola deserta affollata di fantasmi e allucinazioni.

Diede un’ultima occhiata alla sua immagine riflessa, poi pensò: “Partire, fuggire. Potessi farlo, chiederei subito il foglio di via. Cristo, ma come mi sono ridotto?”

Riprese poi l’ascensore. Non c’era nessuno, potette così tranquillamente calare la mascherina fino al collo, nessuno lo avrebbe visto.

In fondo al corridoio, due infermiere spingevano a fatica il carrello delle colazioni.

Ci sono fette biscottate e marmellata. Pesca o fragola?”, diceva la più giovane delle due, sporgendosi appena in una stanza di visi che Samuele non conosceva, mentre nell’aria si avvertivano deboli fragranze di tè e caffè. Il primo era destinato ai malati, il secondo spettava di diritto ai dottori, regola non scritta ma da sempre applicata.

Pochi passi per trovarsi nuovamente di fronte alla porta chiusa che conosceva bene.

Samuele si avvicino, poi la sfiorò con le dita: era fredda, come la sua pelle.

Che faccio? Entro? Magari ora c’è il dottore di turno che sta stilando l’ultimo rapporto.

Ma no, cazzo dico, a quest’ora lo potrebbe fare solo un’infermiera, e non so nemmeno se sia un suo compito. Quindi, se entro e non lo trovo da solo, potrei disturbare.

Forse è meglio aspettare un po’.

Sì, facciamo così, attendo qualche minuto guardando l’orologio e se non esce nessuno, significa che posso entrare; se invece esce qualcuno, beh, chiederò a loro.

Scusi, ha bisogno?”, si informò un prestante infermiere dal ciuffo biondo.

Io?”, fece di rimando Samuele.

Sì. Ho visto che parlava da solo e allora…”

Ah.”

Capita anche a me, non si imbarazzi.”

Il sorriso candido e abbronzato riconciliò per un attimo Samuele con il mondo. Non portava la mascherina e nemmeno una targhetta con il nome; farglielo notare non sarebbe stato per niente gentile. I capelli fluenti, potevano far pensare a un frequentatore abituale di stabilimenti balneari. Samuele ci mise poco a immaginarselo: mani ben curate che portano alla bocca un calice di Vermentino, nella sua testa partì pure un sottofondo musicale adatto, una canzone di Barry White.

My first, my last, my everything.
And the answer to all my dreams.
You’re my sun, my moon, my guiding star.
My kind of wonderful, that’s what you are

Sì, mi scusi, sono il figlio del Signor…”. E subito indicò la porta.

Il sorriso dell’infermiere si fece più dolce, quasi fraterno.

Capisco. È già passato dalla sala medici?”

No, pensavo di venire prima qui. Oggi forse è un po’ presto. E un problema?”

A quanto ne sappia, no.”

Forse…”

Vuole aspettare qualche minuto?”

Non lo so. Mi scusi, oggi è una giornata un po’ così.”

È naturale, mi creda, può stare tranquillo, se desidera, può sedersi su quella panchina.”

Gliela indicò con l’indice. “Ha ragione. La tensione mi taglia i nervi.”

Lo immagino, ma non si preoccupi.”

Sorrisero entrambi.

Nel giro di un battito di ciglia, il ciuffo biondo sparì in mezzo ad altri camici.

Samuele, sedendosi, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e con le mani si coprì il volto.

Per un momento diventò tutto buio, riprese a respirare.

Perché non posso rimanere così?

Non so nemmeno io come sono riuscito ad arrivare a oggi.

Prova a ricordare, Samu. Parlati, nessuno sentirà.

Aiutati, datti una mano, almeno questa volta.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Tutto è bene quel che finisce”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Carlo Albè
Carlo Albè, classe '81, lombardo d'origine ma emiliano d'adozione, scrive per necessità fin dall'adolescenza. Finora ha pubblicato otto romanzi, sempre da indipendente, venendo circa 13 000 copie.
Tra i suoi lavori più significativi segnaliamo Stabile Precariato, Ruggine, E' tutto loro quello che luccica e Gelem Gelem.
Dal 2013 ha unito l'attività romanzesca a quella di Contastorie, portando in tutta Italia i suoi spettacoli di teatro civile e collezionando oltre trecento repliche.
Tra i vari progetti di palco segnaliamo L'ultima apra la porta, Nato senza camicia e Quante Trame di vita.
Storyteller in erba, a gennaio ha pubblicato il suo primo documentario 9.1.50, collaborando con i Modena City Ramblers.
Carlo Albè on FacebookCarlo Albè on InstagramCarlo Albè on Wordpress
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors