Bene, apro l’acqua, la lascio scorrere, aspetto qualche istante e poi ficco la testa sotto per il tempo che sarà necessario.
La maglietta pareva fosse stata presa di mira da un idrante impazzito, ma con il caldo che faceva si sarebbe asciugata di lì a poco. Samuele poggiò le mani sui bordi del lavandino.
Lo specchio rifletteva alcune gocce rimaste impigliate fra i peli della barba. Si scrutò a lungo e quello che vide non gli piacque affatto. Non aveva una bella cera, doveva ammetterlo.
I peli crespi che tappezzavano il viso, si erano fatti via via sempre più grigi e molti erano bianchi. Stava invecchiando.
Il suo futuro ormai era segnato: nel giro di cinque anni avrebbe avuto una faccia non troppo dissimile da quella di un dalmata.
Le occhiaie, poi, erano terribili, nere e così marcate che dubitava su una loro possibile conversione.
Non era mai stato un portento con i numeri, e con le parole non è che andasse molto meglio. Spesso le usava a sproposito, accompagnate da uno sguardo che somigliava a quello di un naufrago che aveva accettato, suo malgrado, di vivere su un’isola deserta affollata di fantasmi e allucinazioni.
Diede un’ultima occhiata alla sua immagine riflessa, poi pensò: “Partire, fuggire. Potessi farlo, chiederei subito il foglio di via. Cristo, ma come mi sono ridotto?”
Riprese poi l’ascensore. Non c’era nessuno, potette così tranquillamente calare la mascherina fino al collo, nessuno lo avrebbe visto.
In fondo al corridoio, due infermiere spingevano a fatica il carrello delle colazioni.
“Ci sono fette biscottate e marmellata. Pesca o fragola?”, diceva la più giovane delle due, sporgendosi appena in una stanza di visi che Samuele non conosceva, mentre nell’aria si avvertivano deboli fragranze di tè e caffè. Il primo era destinato ai malati, il secondo spettava di diritto ai dottori, regola non scritta ma da sempre applicata.
Pochi passi per trovarsi nuovamente di fronte alla porta chiusa che conosceva bene.
Samuele si avvicino, poi la sfiorò con le dita: era fredda, come la sua pelle.
Che faccio? Entro? Magari ora c’è il dottore di turno che sta stilando l’ultimo rapporto.
Ma no, cazzo dico, a quest’ora lo potrebbe fare solo un’infermiera, e non so nemmeno se sia un suo compito. Quindi, se entro e non lo trovo da solo, potrei disturbare.
Forse è meglio aspettare un po’.
Sì, facciamo così, attendo qualche minuto guardando l’orologio e se non esce nessuno, significa che posso entrare; se invece esce qualcuno, beh, chiederò a loro.
“Scusi, ha bisogno?”, si informò un prestante infermiere dal ciuffo biondo.
“Io?”, fece di rimando Samuele.
“Sì. Ho visto che parlava da solo e allora…”
“Ah.”
“Capita anche a me, non si imbarazzi.”
Il sorriso candido e abbronzato riconciliò per un attimo Samuele con il mondo. Non portava la mascherina e nemmeno una targhetta con il nome; farglielo notare non sarebbe stato per niente gentile. I capelli fluenti, potevano far pensare a un frequentatore abituale di stabilimenti balneari. Samuele ci mise poco a immaginarselo: mani ben curate che portano alla bocca un calice di Vermentino, nella sua testa partì pure un sottofondo musicale adatto, una canzone di Barry White.
My first, my last, my everything.
And the answer to all my dreams.
You’re my sun, my moon, my guiding star.
My kind of wonderful, that’s what you are
“Sì, mi scusi, sono il figlio del Signor…”. E subito indicò la porta.
Il sorriso dell’infermiere si fece più dolce, quasi fraterno.
“Capisco. È già passato dalla sala medici?”
“No, pensavo di venire prima qui. Oggi forse è un po’ presto. E un problema?”
“A quanto ne sappia, no.”
“Forse…”
“Vuole aspettare qualche minuto?”
“Non lo so. Mi scusi, oggi è una giornata un po’ così.”
“È naturale, mi creda, può stare tranquillo, se desidera, può sedersi su quella panchina.”
Gliela indicò con l’indice. “Ha ragione. La tensione mi taglia i nervi.”
“Lo immagino, ma non si preoccupi.”
Sorrisero entrambi.
Nel giro di un battito di ciglia, il ciuffo biondo sparì in mezzo ad altri camici.
Samuele, sedendosi, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e con le mani si coprì il volto.
Per un momento diventò tutto buio, riprese a respirare.
Perché non posso rimanere così?
Non so nemmeno io come sono riuscito ad arrivare a oggi.
Prova a ricordare, Samu. Parlati, nessuno sentirà.
Aiutati, datti una mano, almeno questa volta.
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