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Un amore (im)possibile

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Filippo è alle prese con il suo ultimo romanzo, di cui però fatica a trovare una degna conclusione. Un giorno la realtà corre in aiuto della finzione: Ture, un amico a cui si è ispirato per scrivere il personaggio principale del suo libro, muore precipitando da una terrazza, in una dinamica che ricorda perfettamente quella a cui va incontro il protagonista del romanzo.
Filippo decide così di smettere di arrovellarsi il cervello per trovare un finale adeguato, ma di assistere con scrupolo a ogni avvenimento della vita quotidiana. Perché se è vero che la finzione è in grado di far vivere molteplici realtà, spesso migliori di quella autentica, è altrettanto vero che in certi casi la semplice realtà è già di per sé una valida storia.

LA TERRAZZA
L’ufficio postale di corso Italia tracima di gente. Per lo più vecchi, sonnecchianti e assiepati su file di sedie in attesa del proprio turno. Sembrano da una vita lì dentro, il viso è segnato solo dal tempo, non certo dalla noia.
L’aria è pesante e stantia, un piccolo ventilatore alita il suo vento caldo in faccia al direttore, un uomo sdisiccato [Una persona molto magra] che fissa i clienti con estrema insofferenza.
Il rumore dei timbri di una volta è sostituito adesso dal nevrotico picchiettare dei tasti del computer che vede le impiegate, grasse come damigiane e visibilmente alienate, ripassare in silenzio la propria vita per capire cosa sia andato storto.
Di tanto in tanto una voce rompe quell’atmosfera mortifera per lamentarsi della lentezza degli impiegati, della signorina ad esempio che, ancora dopo cinquantasette minuti, non riesce a chiudere la pratica a quella coppia di cristiani. Allora il direttore, chiu siddiato [Più annoiato] che diligente, si alza e, flettendosi come una canna che resiste a una burrasca, si sistema dietro l’impiegata, le mummuria [Mormorare] qualcosa, poi ritorna al suo posto, rassicurando il cliente con parole vuote.

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In un angolo, dietro una calca di schiene sudate e basculanti, Filippo Cutrera si sta domandando, in questo preciso istante, cosa ci faccia lì dentro. Nascosto da un cappuccio che tiene lasco sulla testa, ha l’aria dell’impostore, o comunque di uno di quei figuri che stridono con il quadro d’insieme. Gioca con una penna, facendola scivolare di dito in dito, e pensa nel frattempo al probabile finale del suo romanzo. O, più specificatamente, quando questo potrà ritenersi terminato.
Una leggera pioggerella nel frattempo comincia a vellicare il vetro opacizzato dalla polvere. Si sta annuvolando. Un brontolio disturba la quiete atarassica dei vecchi che indirizzano meccanicamente gli sguardi al cielo. Inevitabilmente, parte la solita solfa sul tempo. C’è un cristianu [Un ragazzo], un meccanico, con la divisa gnasciata [Sporca]. di grasso, che studia il cielo e sentenzia che la giornata sarà tutta così, con alti e bassi.
«Taliai [Guardare] il meteo stamane…» dice esprimendo un certo scetticismo al riguardo «precipitazioni per l’ora di pranzo, dicono.»
«Vedrete che scampa tra poco» risponde qualcuno.
Il vellichio diventa in breve uno scroscio d’acqua che spara spilli in luogo di gocce. I clienti che hanno finito le operazioni, superato lo scoglio della porta girevole, si trattengono nel disimpegno moquettato e ingrasciato [Lurido] dell’ufficio postale. La strada si vede appena, le gocce precipitano con una tale impetuosità che sembra scheggino l’asfalto.
Una ragazza, all’improvviso, corre per cercare riparo e si ferma davanti alla finestra dell’ufficio postale, presumibilmente sotto il balcone delle assicurazioni. Ha la giacca sulla testa ma non le è stata granché d’aiuto. È completamente ’nzappanata [Bagnata]; i pantaloni, infatti, sono imballati attorno alle gambe e le scarpe sono lasche tanto si sono infracidite.
Appena fa per togliersi la giacca, lo stupore squarcia quel velo bilioso e melanconico dentro cui lo scrittore è avvinto.
Filippo, infatti, la riconosce immediatamente. Il cuore erompe in gola, le mani sudano copiosamente, ma soprattutto è invaso da un senso d’impotenza e d’inadeguatezza che, da un certo punto di vista, sono la ragione per cui ha iniziato a scrivere il suo ultimo romanzo. Tonia è lì, a pochi metri. È sufficiente che si volti a guardare attraverso il vetro e i loro occhi non potranno non incrociarsi.
Invece comincia a spiovere. La gente defluisce verso l’uscita come un’unica massa uniforme e snodabile. La ressa si apre a imbuto su corso Italia, tenendo un passo sostenuto, la testa incassata tra le spalle e un braccio sollevato con cui ci si schermisce dall’acqua.
Tonia è scomparsa.
Filippo si guarda intorno, nel punto sotto il quale si riparava ci sono due ragazze che si fregano le braccia per il freddo.
Ma non c’è tutto questo freddo, pensa.
Per un attimo dubita di averla vista. Che la sua sia stata una semplice visione, una suggestione zampillata fuori dal romanzo, un’immagine, uno spiddu, lì per dirgli qualcosa, per ricordargli qualcosa?

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Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Questo primo capitolo stuzzica la curiosità di leggere i seguenti. La sicilianità e nello specifico la ‘catanesianità’ ironica che traspare dall’uso di termini dialettali accarezza il lettore e lo accompagna nella lettura passo dopo passo aumentando il suo appetito. La lettura è scorrevole seppur risulti piacevole soffermarsi sulle parole scelte con perizia da parte dell’autore, per coglierne il significato. La trama che si intravede, fitta di possibilità, fa venire voglia di leggere ancora… Quindi: aspettiamo il proseguo!

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Adriano Fischer
è nato a Catania, dove tuttora vive e lavora. Docente di diritto e di economia, gestisce Il Gruppo di Polifemo, una rivista online di approfondimento culturale. Ha già pubblicato Assenze (2014), Bella Cohen (2017), Dissipatio G.M. (2018), Italia s’è mesta (2020).
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