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Una casa piena di quadri

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Consegna prevista Settembre 2025
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In “Una casa piena di quadri” regna il caos di Nessuno. Non c’è ordine, forse non c’è il caso. È un racconto senza inizio. O forse un racconto senza fine. I pensieri e le considerazioni di Nessuno sono liberi di rincorrersi. Nessuno è alla ricerca dell’attacco di panico perduto. Perché evitiamo di sgretolarci, di sentirci deboli, inermi? Capita di sentirsi vivi quando c’è la morte, e morti quando c’è la vita. Nessuno ha visto il buio nel giorno e la luce nella notte. Ma alla fine c’è un’unica grande consapevolezza, Nessuno è solo. Commentate, odiate, amate, deridete, ma siate voi stessi. Come Nessuno.

Perché ho scritto questo libro?

Per concederci un secondo tempo. Liberi di esprimerci, oltre il giudizio.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Dicono siano cinque le fasi del lutto:

Diniego

Rabbia

Negoziazione

Depressione

Accettazione

Aveva l’abitudine, nei pomeriggi afosi d’estate, di sdraiarsi sul letto, perdersi nei pensieri. Ascoltava Tchaikovsky. Iniziava sempre con l’ultima sinfonia, quel suono così pieno, rotondo, forte lo allontanava dalla realtà. Osservavo le sue mani muoversi in un movimento così leggero, così delicato. In quel momento sorrideva, in quel momento si sentiva vivo. Sentiva la grandiosità. La potenza. Passava la sua vita ad ascoltare gli altri, a sentirsi vivo attraverso gli altri, una condizione virtuosa direbbero in tanti, ma soltanto io riuscivo a scorgerne l’infinita solitudine. Quando lo vidi per la prima volta non seppi controllarmi, ebbi una fitta allo stomaco. Lo sguardo era penetrante, vivo ma puro e ingenuo. Passo la mia vita ad analizzare, osservare gli altri, ma questa volta qualcosa mi sfuggiva.

Non era la bellezza ad avermi reso insicuro, indeciso. Era la sua rara energia. Mi aveva travolto. E per la prima volta mi sentivo messo a nudo. Le nostre vite si sarebbero incrociate di lì a poco.

Papà come stai? Hai dormito bene? Lo osservavo. La malattia stava facendo il suo corso, ma non aveva intaccato il suo sorriso giovane, fragoroso. Non l’avevo mai visto piangere, lamentarsi. Ho sempre creduto fosse sorretto da uno spirito divino. Incapace di sentirsi fallibile, distruttibile. Tutto capitava per una ragione. Quanta tristezza nelle sue parole, quanto dispiacere, quanta solitudine.

L’unica cosa che potevo fare era sorridere.

Non mi era concesso piangere.

Quando scoprimmo la malattia, nessuno versò una lacrima. Nessuno assaporò il dolore, tutto rimase immobile, fermo per anni. I nostri pensieri, le nostre paure più nascoste volavano così in alto da non poter essere viste.

Il sole era troppo accecante…

Distesi nudi sul letto. I corpi ancora caldi, il respiro affannoso. Ci guardavamo, sorridevamo. Ci baciavamo. Le gambe erano ancora intrecciate. Il tempo era sospeso, immobile. In quel momento esistevamo noi, nient’altro. Mi prendeva la mano e la poggiava al centro del petto. Senti il mio cuore? Io lo sentivo battere. In quel momento batteva per me. In tutta la casa le uniche luci concesse erano due candele che posizionava in camera da letto. Proiettavano sul soffitto ombre geometriche. Ci fermavamo. Osservavamo. Pensavamo. Condividevamo gioie, paure, momenti felici. Ci raccontavamo. Ognuno disegnava la propria ombra, ognuno sceglieva quale forma geometrica essere. Sceglieva se essere luce o ombra.

Eravamo noi. Ingenui, puri, nudi. Nella nostra nudità ci sentivamo capiti, protetti, al sicuro.

—-

Infinite strategie per evitare di incorrere in pericoli, evitare di provocarmi dolore.

Non vivere, ma subire.

Pur di essere amati si scende a compromessi. Non si hanno gli strumenti per prendere delle decisioni che vadano bene per se stessi

Scusami se non ti ho rispettato.

Scusami se sono andato oltre.

Mi dispiace per tutto.

Mi dispiace per me.

 

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Il bambino che fischia.

Due fischi si, un fischio no. Erano queste le indicazioni che mi erano state date ed erano l’unico modo che Giulio aveva per comunicare. Io nella mia testa invece avevo mille parole, tanti pensieri e mi veniva difficile comunicare soltanto con un fischio. Lo trovavo limitante a volte impossibile, eppure inconsciamente sapevo che Giulio mi capiva anche soltanto con uno sguardo, con un sorriso o con un gesto fermo del corpo. Avevamo 4 anni, lì imparai cosa volesse dire amare.

Eravamo due bambini, io quello sorridente sovrappeso, accogliente, lui magrino, lo sguardo assente, ma con un’infinita voglia di parlare. Chissà come voleva comunicare quando fischiava, a volte sembrava felicità, a volte tristezza, a volte nervosismo e io imparai pian piano ad ascoltare e a decodificare quel linguaggio.

Cos’è la paura?

Alla ricerca dell’attacco di panico perduto

Cosa ti senti? Cosa provi? Quali sono le tue emozioni.

Ma che ne so! 

Allora, mi dica perché è qui?

È stata questa la prima domanda a cui ho risposto con una timida e ingenua frase: perché ho paura di prender l’aereo. Siamo così abituati ad essere uno nessuno e centomila (questa è la citazione letteraria) che quando ci è rivolta una domanda secca, diretta che ci riguarda nel profondo, l’unica cosa che sappiamo fare è mentire.

Questa è una storia come tante altre, come quelle che ascolto nei cinque minuti prima di entrare dalla mia psyco killer. Perché io così la chiamo la mia analista, donna brillante, geniale, ma che un po’ di follia deve masticarla anche lei.

—-

Ma tanto siamo tutti circondati da iceberg più o meno grossi, abbiamo tutti ferite, crepe più o meno profonde. Ogni tanto capita di affondare, ogni tanto invece noncuranti del resto del mondo saliamo su una scialuppa di salvataggio e guardiamo dall’esterno ciò che accade, aspettando che si compia per l’ennesima volta il miracolo di Jack e Rose.

Alla fine di questo percorso immagino che lo strato melmoso uscirà tutto.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Carlo Barbarossa
Dal 1989 mi è sempre piaciuto "parlare", osservare, comunicare, ma non sempre è stato facile. Nella mia vecchia casa di Cosenza in Calabria (ora vivo a Milano), c’è un’enorme libreria con tantissimi libri, colori, pensieri. Credo lì sia iniziata la mia passione per la lettura e la scrittura, per le storie degli altri che forse raccontavano un po’ la mia. Madre insegnante di lettere, padre ingegnere: il dualismo ha permesso di aprire più occhi che hanno visto, e ancora hanno voglia di vedere. A Milano ho uno studio creativo di comunicazione, Wunderplace. Il nome prende ispirazione dalla Wunderkammer, o anche nota come Camera delle Meraviglie: un luogo dove bellezza, straordinario e curiosità convivono. Spoiler: la mia casa è realmente piena di quadri! Credo da lì abbia inizio tutto.
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