Insomma, si è parlato e scritto a lungo d’amore, perché dovrei farlo io? A chi potrebbe interessare? Con quale utilità? Non ne ho idea, ma se l’amore non ha bisogno di spiegarsi, credo non debba dare troppe spiegazioni nemmeno io dal momento che è lui a guidare la mia voglia di riempire pagine. Ad ogni modo, voglio raccontarvi una piccola storia che nulla centra con il resto: ero al mio bar, di sera tardi, chiuso dentro con tre amici a giocare a carte. “Io penso tu non possa affidarti totalmente ad un’altra persona, mai, perché se si sposta, crolli” Sonia, d’un tratto, acciuffando il settebello. Il giro si sospese, nessuno sceglieva la sua mossa, ma un mare di riflessioni andava creandosi tra noi quattro. Io pensai a lei e risposi: “Hai ragione, ma quando ti ritrovi che daresti tutto per una persona è ormai troppo tardi, non te ne accorgi”. “Sì, ma non si arriva mai a dare il cento per cento” insistette lei. “A me è capitato” protestai. “Non sono d’accordo” ribatté Riccardo, “se così fosse, ora non saresti qua, non ti saresti rialzato”. Infine, anche Martina espresse la sua opinione e si ritrovava ad essere d’accordo con loro. Secondo voi si può amare senza dare il cento per cento? “Certo” fu la risposta unanime. Anzi, è dannoso, sbagliato, insano donarsi totalmente. Credo avessero ragione. Suppongo anche fosse vero che non si consegna mai totalmente la propria anima: se così fosse, si tratterrebbe di uno scacco matto.
Rimase un interrogativo irrisolto in quella notturna chiacchierata: cos’è, per voi, l’amore? Non lo chiesi, in realtà. Una domanda silenziosa, rimasta imprigionata nelle maglie della mia mente a cui, istintivamente, non seppi rispondere. Pensai a lei, continuava a sembrarmi la sola associazione plausibile sebbene fosse ormai parte del passato. Tuttavia, a voi voglio porre questo quesito, nero su bianco: cos’è l’amore? Ma soprattutto voglio fornire una risposta. E no, lei non c’entra nulla. Per me, l’amore, è Gilberto. Chi è, vi chiederete. Gibba era un cliente del mio bar, un piccoletto tutto sorriso che veniva sempre dopo pranzo per il suo caffè macchiato. Aveva quasi novant’anni, ma l’energia di un ventenne e la purezza di un bambino. Ciao pivello, mi salutava entrando, poi appoggiava il bastone – o il bacco, come lo chiamava lui – e dopo essersi aggrappato al bancone cominciava a raccontarmi qualche suo ricordo di un lontano passato. Gibba era il classico nonno dalle mille storie accattivanti, dolci, sognanti… il tono di voce caldo, il viso sereno, la bontà della sua anima. Era impossibile non perdersi dietro le sue parole. Un giorno, però, si superò: mi raccontò qualcosa che, effettivamente, mi sembrò la migliore risposta al fatidico quesito: cos’è l’amore? Pensate ad un uomo buono, un’anima candida, un cuore che ha conosciuto il sentimento più puro. Immaginate il suo fare gentile, il suo sorriso lucente, la sua voce…
Alla mia epoca si andava a ballare nelle balere, ma non erano come le discoteche di adesso. La musica era un po’ diversa e noi maschietti aspettavamo sempre il momento del lento: era in quei due minuti che concludevi o meno la serata. Era divertente perché ti avvicinavi ad una signorina per danzare, ma solo se eri bravo riuscivi proprio con quella che avevi puntato. Il maschio conduceva, la femmina seguiva e si stava vicini, magari guancia a guancia. Era bello, ed io ero un ballerino molto bravo, eh sì. Ero bruttino, un po’ basso, ma un grande ballerino. Andavo sempre con un amico a ballare ed ovviamente cercavamo di conquistare la più bella di tutta la balera. Se accadeva che i nostri occhi ricadessero sulla stessa ragazza, puntualmente la spuntava lui ed io mi ritrovavo a ballare con qualche amica. Una sera eravamo in ritardo e non riuscimmo ad entrare nel nostro locale preferito, mentre l’altro che ci piaceva era stato riservato per un qualche evento. Insomma, morale della favola siamo finiti a ballare nel posto peggiore della città. Appena entrati ci guardammo intorno per un po’ fino a quando i nostri occhi si posarono su di lei, la donna più bella che ebbi mai visto. Non appena mi accorsi che anche lui contava di condurla durante il lento, gli misi una mano sul petto e fui molto risoluto: “questa volta no, lascia che balli con me!”. Il mio amico non mi aveva mai visto così deciso e accettò. Lei mi concesse quel ballo e noi voltammo per due splendidi minuti in un bellissimo e romantico lento, il più bello della mia vita. Fu tutta questione di un istante, la musica terminò, noi ci allontanammo ed io avevo perso la mia occasione… Ma ero testardo, sì signore, Gilberto era un bel testone! La volta successiva costrinsi il mio amico a tornare nella brutta balera e, con mia sorpresa, lei era lì, se possibile ancora più bella della volta precedente. Un’altra volta il lento, di nuovo vicini a ballare. Il cuore andava a mille all’ora. Ma proprio come era successo la settimana prima, una volta finita la canzone, non riuscii a fare la mia mossa. “Ti prego ancora solo oggi” implorai il mio amico, “Va bene, ma se questa volta non la inviti per un gelato non ci torniamo più!”. Fu così che per la terza settimana di fila ci ritrovammo su quella stessa pista che detestavamo, sebbene mi avesse regalato i migliori lenti che avessi anche solo mai immaginato. Non volevo credere ai miei occhi: era lì di nuovo. Un terzo meraviglioso lento, la musica si apprestava a finire, non potevo sbagliare: “Mi chiedevo se ti andasse di andare a prenderci un gelato un giorno”, cuore in gola. “Oh, finalmente, pensavo non me lo avresti chiesto mai!”.
Tempo dopo mi confidò che costrinse la sua amica a tornare in quella balera – che la detestavano anche loro! – solamente nella speranza di rincontrarmi. E la sera in cui le chiesi un gelato, si era imposta che sarebbe stata l’ultima in cui sarebbe tornata lì. Sembra assurdo, ma fu proprio ciò che accadde.
Se solo foste stati dietro al bancone del bar insieme a me, sorseggiando caffè in sua compagnia, ora sono certo vi commuovereste nel ricordare la felicità della sua espressione mentre raccontava di come aveva conosciuto sua moglie, un’infinità di anni prima. Commozione che, nel mio caso, si tramutò in copioso pianto quando appresi la triste notizia: “Gibba è mancato nella notte”. Non volevo crederci, mi sembrava così triste che quasi era impossibile fosse davvero accaduto. Scrissi un messaggio al figlio, per le condoglianze. La sua risposta mi regalò ulteriori lacrime ed un dolce sorriso: “Ciao Alessio, grazie per il pensiero. Purtroppo a distanza di poche ore è mancata anche mia mamma!”. Sebbene ancora non riuscissi a crederci, ora mi sembrava di trovare un senso a tutto ciò. Dopo un incontro che sembrava scritto nelle stelle, dopo un colpo di fulmine di appena due minuti di lento, dopo settant’anni di vita l’uno a fianco all’altra – l’uno per l’altra- se ne andavano insieme, a distanza di poche ore. Mi piace immaginare che se ne siano fuggiti insieme, mano nella mano, che la terra non potesse sopportare il respiro dell’uno senza la presenza dell’altra.
Beh ecco, se mi si chiede cosa sia l’amore, io chiaramente non so formulare una risposta, ma dal momento che mi vergogno un po’ a parlare di lei – poiché a nessuno è mai sembrato esistesse davvero quel sentimento nella nostra storia – allora mi sembra convincente raccontare di Gibba, rivivere il suo sorriso, dipingere con belle parole una storia che profuma d’amore come nient’altro. Ecco, se voi chiedeste a me cosa è l’amore, io vi racconterei di Gilberto. Ma dal momento che mi piace pensare di aver scandagliato gli abissi più profondi di questo stravolgente sentimento, vorrei raccontarvi una storia un po’ più ampia che mi riguarda in prima persona. In realtà, solo una piccola parte di essa. Ad essere totalmente sinceri, forse sarebbe sufficiente raccontare un po’ di lei e di ciò che ho provato. Se fossi stato in grado di definirla in un foglio, sarebbe bastata una poesia, qualche verso, ma ahimè non ne sono in grado. Potrei continuare a sfruttare meravigliosi aforismi d’altri e qua tacermi, ad esempio Madre Teresa di Calcutta disse che L’amore non si vive di parole, né può essere spiegato a parole. Quindi perché affannarmi tanto a scrivere? Forse per la stessa ragione che mi spinse a inseguirla, quella ragione che ancora una volta Shakespeare ha saputo descrivere meglio di me: L’amore è cieco e gli amanti non possono vedere le piacevoli follie che essi commettono. Ecco cosa vi apprestate a leggere: una piacevole follia commessa da un poeta fallito.
Riccardo Benna (proprietario verificato)
Una storia avvincente e intima, dove a dominare sono i colori e le emozioni. Un racconto vero. La genesi di un viaggio e di un amore, il loro epilogo, due binari paralleli che finiscono per intrecciarsi. Genova, Pisa, Siviglia e di nuovo Genova. Lei è un’apparizione, lui è stregato, amore e mistero reggono i fili dei loro destini e giocano con loro. Come andrà a finire?
I capitoli “Ultimo flamenco” e “Silenzio” sono perle rare ma, in generale, è davvero ottima tutta la storia: i tempi narrativi, molti passaggi per come sono stati scritti, molte delle riflessioni, soprattutto molti punti di vista descritti in maniera personale eppure senza l’arroganza di chi dice: “il mondo va così”.
Andiamo al quality test: la trama è ben strutturata? Sì. Parte piano e poi prende il volo. Non è nemmeno un difetto, si capisce che la parte precedente, il preambolo, fosse necessario per contestualizzare un minimo il viaggio ed introdurre (e, perché no, stimolare la curiosità verso) il personaggio secondario più importante. Forse il preambolo risulta più “caotico” (tra mille virgolette) perché segue il flusso dei pensieri, mentre la parte di Siviglia è più lineare anche… temporalmente.
Il ritmo è coinvolgente? Sì, e tutto ciò che ho scritto prima fornisce la più chiara risposta a questa domanda. Di fatto prende lo slancio, non è diverso dal ritmo del flamenco che verrà poi descritto. I personaggi sono ben sviluppati e credibili? Of course. Non c’è nemmeno da dirlo. Il libro è inutilmente prolisso? No, è piuttosto conciso. La scrittura? Sicuramente la scrittura è immediata e coinvolgente, intima, moderna, scorrevole. Le frasi non sono né troppo lunghe, né troppo corte, e generalmente ben costruite.
Mi è piaciuto. Trovo che il racconto autobiografico sia sempre fresco (anche beat, in alcuni luoghi) e sincero e lasci qualcosa in chi lo legge. È un buon lavoro, non è banale tirar fuori più di 100 pagine (e così buone) da due giornate senza essere prolissi (e senza essere James Joyce).