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Un’altra verità

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Tommaso è cresciuto nella vergogna di aver avuto un padre drogato che, suicidandosi insieme alla madre, ha dato avvio al fallimento della grande azienda familiare D’Amato Costruzioni. Per farsi una nuova vita arriva fino a Milano, dove diventa un manager molto stimato, pur rimanendo incapace di scacciare le ombre del suo passato. Sarà una videocassetta registrata dal padre quando lui era solo un bambino a svelargli la verità sulla sua famiglia, legata alla malavita di Salerno, alla politica e alla sete di potere senza scrupoli del pericoloso Michele Perillo. Anche per Tommaso verrà il momento di sporcarsi le mani.

PROLOGO

Quando al giornale è arrivata la notizia che un uomo di nome Tommaso D’Amato risultava scomparso da una settimana, sono saltato dalla sedia.

Chi non è di Salerno non può capire cosa evochi quel cognome. Negli anni Sessanta, mentre il Paese conosceva la dolce vita e il boom economico, i D’Amato diventavano i re della città. Il racconto della loro ascesa ha una valenza magica per chi, come me, ha sentito quella storia centinaia di volte. Mio nonno, che per i D’Amato lavorò tutta la vita, mi raccontava di Giuseppe, il patriarca, ogni volta che a piedi o in macchina ci dirigevamo verso il lungomare da via dei Principati. I D’Amato brillavano come stelle del cinema e per tutto il tempo in cui la loro parabola è stata ascendente, anche la città ha vissuto un inspiegabile senso di ottimismo. Grazie alla loro storia, a quei tempi, si fantasticava di mille possibilità e di un mondo migliore, di un sogno americano in salsa salernitana che riempiva di speranza e orgoglio un’intera comunità, perché quel successo rappresentava una possibilità, una motivazione: anche a Salerno c’era qualcuno che ce l’aveva fatta.

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Da metà degli anni Quaranta e fino agli anni Ottanta, quando siamo nati io e Tommaso, i D’Amato sono stati i nostri Kennedy. Poi, proprio come per i Kennedy, si è abbattuta su di loro una maledizione che in pochissimo tempo ha fatto sì che scomparissero insieme ai nostri sogni e alle nostre illusioni.

Ogni volta che passeggio per via dei Principati un sorriso malinconico mi si stampa sul viso, stimolato dal ricordo del suono della voce di mio nonno che mi racconta di Giuseppe. Il mitico Peppino, il capostipite, che nell’immediato dopoguerra creò, in vent’anni, un piccolo impero. Peppino, all’epoca dello sbarco alleato a Salerno, trainava tutte le mattine un carro carico di sciuscelle, i frutti del carrubo, che in quegli anni abbondavano sulle colline intorno. Peppino, che non era più di primo pelo, sudava anche quando era freddo sia in salita sia in discesa proprio su via dei Principati, sulla via che andava e tornava dal porto. I suoi enormi sforzi furono notati dal capitano delle forze alleate McFly che alloggiava in un piccolo albergo situato in corso Vittorio Emanuele. All’alba, McFly attendeva il passaggio del carretto mostrando ai suoi collaboratori la determinazione e la fatica che quell’uomo metteva in campo tutti i santi giorni. Il capitano lo prese in forte simpatia e gli affidò un’importante fornitura di cruscami. In città ancora si parla dei dialoghi tra Peppino e McFly.

«Ué, Capità! Tutt’appost?»
«Yes, Peppino, everything okay, take care!»

In quell’atmosfera ricca di opportunità che era l’Italia del dopoguerra, Peppino D’Amato non era però interessato all’attività che aveva ereditato dalla sua famiglia. La sua passione era l’edilizia. Con l’aiuto dei fratelli aveva ristrutturato la casa dei genitori e si era costruito un magazzino per stoccare gli alimenti. Sulla base di queste piccole esperienze fece credere a McFly di essere un abile costruttore andato in rovina a causa della guerra e di avere a disposizione le migliori maestranze in città. McFly, che aveva pieni poteri, gli affidò la realizzazione degli alloggi temporanei per i suoi luogotenenti e altre opere che consentirono a Peppino di guadagnare cifre consistenti in Am-lira, la moneta messa in circolazione dall’esercito USA dopo lo sbarco in Italia. Fu così che Giuseppe D’Amato avviò la sua folgorante ascesa a metà degli anni Quaranta.

Poi arrivarono altri cantieri negli anni Cinquanta e con il boom economico degli anni Sessanta e le diversificazioni nell’alberghiero si avviò la costruzione e la gestione di tre dei più importanti alberghi della Costiera Amalfitana. Gli anni da venditore ambulante erano alle spalle, Giuseppe D’Amato era uno stimato imprenditore insignito dal presidente della Repubblica della carica di Cavaliere del Lavoro.

 

A Salerno tutti volevano bene a Peppino e lavorare per lui era motivo di orgoglio.

Mio nonno Pietro, il padre di mia madre, è stato un capo cantiere alle dirette dipendenze di Giuseppe. Suo figlio Enzo, mio zio, è stato maître a Positano al Grand Hotel. Mio padre, dopo la laurea in Ingegneria, ha iniziato a lavorare per la D’Amato Costruzioni.

I D’Amato entravano in ogni conversazione che la mia famiglia teneva a tavola quando ci riunivamo tutti insieme la domenica, al pari della politica nazionale e del campionato di calcio.

Mio nonno Pietro aveva un terreno a Macchia Morese, una collina soleggiata a sud di Salerno, con un piccolo casolare di una sola stanza spoglia che accoglieva una cucina, un tavolo allungabile con sedie una diversa dall’altra, un divano con qualche bruciatura di sigaretta e un bagno senza piastrelle in cui spesso trovavo degli animaletti neri chiusi come ricci. Per tutta la mia infanzia e buona parte dell’adolescenza ogni domenica ero lì con i miei genitori, i miei nonni e mio zio. Da che mi ricordi nonno prendeva posto a capotavola, mio padre alla sua sinistra, zio Enzo alla sua destra. Accanto a mio padre c’ero io e a seguire mia madre. Nonna sedeva accanto a zio Enzo. All’altro capo del tavolo c’era una sedia vuota. Era il posto di zio Dario, morto in circostanze mai accertate quando io non avevo ancora compiuto tre anni. Era scomparso all’improvviso. Secondo la polizia era coinvolto in un giro di scommesse clandestine. I miei non hanno mai creduto a quella ricostruzione. Zio Dario era un giornalista del Mattino e secondo nonno stava portando avanti un’indagine pericolosa.

A ogni modo, che fosse primavera o inverno, la domenica alle 13:00 eravamo a tavola.

Anche Tommaso partecipò a uno dei nostri pranzi a Macchia Morese. Era l’estate del 1994.

2024-04-04

Il Mattino

Recensione firmata da Erminia Pellecchia, Il Mattino “Trama avvincente, ben congegnata e ben ritmata, ricca di intrecci e colpi di scena, col valore aggiunto di una scrittura fluida, resa piacevole dalle contaminazioni in lingua napoletana: e’ davvero un bel libro quest’opera prima”.
2023-04-24

Aggiornamento

Ciao! Sono davvero felice di comunicare che sabato abbiamo raggiunto i 200 pre-ordini! Un'altra verità sarà pubblicato, grazie, grazie, grazie!
2023-04-18

Il Mattino

Ciao a tutti! La campagna procede bene, oggi parlano di noi il Mattino e altri quotidiani online di Salerno e provincia!
Mi piace usare il plurale perché è una cosa che stiamo facendo insieme, senza il vostro contributo non saremmo ad un passo dai 200 preordini.
Grazie di vero cuore,
Gerardo
Ecco il link:https://www.ilmattino.it/cultura/libri/crowdfunding_bookabook_milano_libri_gerardo_petretti-7351041.html

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Romanzo avvincente con un ritmo serrato che ti “costringe” a leggere senza interruzione.
    In mezzo a corrotti e corruttori, brilla una struggente storia d’amore.

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Gerardo Petretti
È nato a Salerno nel 1981. Dopo la laurea in Economia aziendale all’Università Bocconi di Milano, si trasferisce prima a Roma e poi a Firenze, ricoprendo ruoli di responsabilità nel settore Hospitality. Nel 2010 è tra i soci che avviano la start up MagicSuite. Da tempo coltiva la passione per la scrittura, collaborando con quotidiani e riviste e occupandosi di social media. “Un’altra verità” è il suo romanzo di esordio.
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