A Salerno tutti volevano bene a Peppino e lavorare per lui era motivo di orgoglio.
Mio nonno Pietro, il padre di mia madre, è stato un capo cantiere alle dirette dipendenze di Giuseppe. Suo figlio Enzo, mio zio, è stato maître a Positano al Grand Hotel. Mio padre, dopo la laurea in Ingegneria, ha iniziato a lavorare per la D’Amato Costruzioni.
I D’Amato entravano in ogni conversazione che la mia famiglia teneva a tavola quando ci riunivamo tutti insieme la domenica, al pari della politica nazionale e del campionato di calcio.
Mio nonno Pietro aveva un terreno a Macchia Morese, una collina soleggiata a sud di Salerno, con un piccolo casolare di una sola stanza spoglia che accoglieva una cucina, un tavolo allungabile con sedie una diversa dall’altra, un divano con qualche bruciatura di sigaretta e un bagno senza piastrelle in cui spesso trovavo degli animaletti neri chiusi come ricci. Per tutta la mia infanzia e buona parte dell’adolescenza ogni domenica ero lì con i miei genitori, i miei nonni e mio zio. Da che mi ricordi nonno prendeva posto a capotavola, mio padre alla sua sinistra, zio Enzo alla sua destra. Accanto a mio padre c’ero io e a seguire mia madre. Nonna sedeva accanto a zio Enzo. All’altro capo del tavolo c’era una sedia vuota. Era il posto di zio Dario, morto in circostanze mai accertate quando io non avevo ancora compiuto tre anni. Era scomparso all’improvviso. Secondo la polizia era coinvolto in un giro di scommesse clandestine. I miei non hanno mai creduto a quella ricostruzione. Zio Dario era un giornalista del Mattino e secondo nonno stava portando avanti un’indagine pericolosa.
A ogni modo, che fosse primavera o inverno, la domenica alle 13:00 eravamo a tavola.
Anche Tommaso partecipò a uno dei nostri pranzi a Macchia Morese. Era l’estate del 1994.
Filomena Melella (proprietario verificato)
Romanzo avvincente con un ritmo serrato che ti “costringe” a leggere senza interruzione.
In mezzo a corrotti e corruttori, brilla una struggente storia d’amore.