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Veliant – Risveglio

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Consegna prevista Agosto 2025
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La vita ordinaria di Bruce viene sconvolta quando, un giorno in palestra, vede una figura mostruosa al posto del cane di Katharina, la personal trainer per il quale ha una cotta. Da quel momento scopre l’esistenza dei Sefyr, creature fantastiche presenti nel nostro mondo, ma che solo i Veliant riescono a vedere. Eppure, il risveglio avviene al massimo entro i cinque anni, perché a lui è capitato così tardi? Mentre cerca di capire cosa gli stia succedendo, si trova a dover difendere Ixith, un Sefyr antichissimo, dall’attacco dei Lechtar, un gruppo malvagio che vuole eliminare chiunque non sia un Veliant. Bruce verrà così catapultato in un mondo della quale ignorava l’esistenza, in un conflitto millenario per difendere il genere umano, ma soprattutto in un’avventura che, inevitabilmente, lo farà avvicinare alla ragazza alla quale è interessato. Riuscirà a capire perché si è risvegliato così tardi e che cosa lo rende speciale?

Perché ho scritto questo libro?

Ho passato un periodo della mia vita molto difficile qualche anno fa, la separazione dalla mia ex moglie e la rottura con la ragazza che ho amato dopo di lei, oltre che la perdita di altre persone care. Questo libro è stata la mia salvezza all’inizio per poter ricominciare, un modo per fare uscire i pensieri negativi e andare avanti. Con il tempo, Veliant ha terminato la funzione sanatoria, prendendo la sua direzione e diventando parte della mia vita, un pezzo di me che desidero condividere.

ANTEPRIMA NON EDITATA

PROLOGO

L’uomo si svegliò di soprassalto, il respiro affannoso. La testa pulsava violentemente e la vista era annebbiata. Si rese conto di essere seduto e provò ad alzarsi, ma non ci riuscì.

Si accorse di essere legato ai braccioli della sedia con delle robuste corde, e le caviglie erano anche loro bloccate con lo stesso sistema. Provò a parlare, ma dalla sua bocca uscirono solo dei mugugni, poiché era stato imbavagliato.

Dove si trovava? Si guardò intorno.

Vide di essere in una stanza illuminata solo da candele. Non vi erano finestre a rischiarare la stanza e permettere di percepire in quale momento della giornata ci si trovasse, ma solo una porta di fronte a lui.

Aveva ripreso conoscenza già da qualche minuto, ma il taglio sulla testa, ricevuto quando lo avevano aggredito, gli pulsava ancora e, inoltre, aveva un’emicrania fortissimo.

Il sangue era colato dalla ferita sulla fronte ed era secco sulla sua guancia, indice che fosse già passato del tempo da quando era successa l’aggressione.

Notte? Giorno? Non riusciva a distinguere lo scorrere del tempo in quelle condizioni, ne sapeva quando fosse stato catturato. Da quanto era loro prigioniero?

L’unica cosa di cui era sicuro, era il fatto che lo avessero catturato loro, e che sarebbero venuti a breve per ottenere informazioni.

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Non le avranno mai pensò.

D’un tratto, la porta si aprì cigolando, e un uomo entrò nella stanza.

Era incappucciato, quindi non riuscì a distinguere il suo viso, ma non era lui a preoccuparlo più di tutto, bensì la creatura ai suoi piedi.

L’aspetto era quello di un serpente, ma sapeva benissimo che non si trattava di un comune rettile. La sua pelle era nera come la notte più buia, con delle striature rosse irregolari su tutto il corpo. La testa, leggermente più grande rispetto al corpo, aveva narici marcate e occhi ampi e tondi, di colore giallo spento che, nonostante fossero senza pupilla, quando la testa della creatura si muoveva, davano l’impressione che una riga nera li attraversasse, come l’occhio di una vipera. Vi era inoltre incastonata una gemma color topazio dalla forma ovale. L’animale lo guardò e sibilò, mostrandogli due enormi zanne retrattili color avorio.

Si contorse terrorizzato sulla sedia, senza staccare dalla creatura gli occhi sgranati di paura, e mugugnò, ma nessun suono si poté udire, per colpa dello straccio che copriva le sue labbra.

L’uomo incappucciato sorrise beffardo da sotto il cappuccio.

«Molto bene,» disse «finalmente ti sei svegliato. Non vedevo l’ora di poter fare due chiacchiere con te.»

L’incappucciato si avvicinò per togliergli il bavaglio, ma venne interrotto da un altro uomo, che entrò di corsa nella stanza: «Mio signore!» esclamò, appena fu dentro.

L’uomo con il cappuccio si fermò irritato: «Cosa vi avevo detto? Che non volevo essere disturbato per nessun motivo! Non ho molto tempo, e non posso permettermi che loro abbiano dei sospetti su di me!»

Il serpente si girò verso il nuovo arrivato e sibilò, frustando a terra la coda, che provocò un suono secco.

L’uomo deglutì: «Mi dispiace averla interrotta, ma è una situazione della massima urgenza! Ne abbiamo trovato uno!»

L’incappucciato si irrigidì: «Avete trovato un Sefyr Primo?» Domandò al suo interlocutore «Dove?»

Anche l’uomo legato alla sedia ebbe un sussulto.

«A Torino, capo. È stato avvistato mentre si aggirava nei vicoli della città. Abbiamo ricevuto la comunicazione pochi minuti fa e sono subito venuto ad avvisarla. Vuole che faccia partire la squadra da qui?»

«Sei stupido, forse?» Domandò l’incappucciato, alzando il tono di voce «Non possiamo permetterci di perderlo, o peggio ancora che loro gli mettano sopra quelle sudicie e indegne mani prima di noi!»

Fece un gesto di stizza e si mise a pensare, voltando le spalle al suo interlocutore «Chi sono i più vicini all’obbiettivo?» Domandò, infine.

«Klaus e la sua squadra, signore.»

«Qualche elemento valido libero per l’unione?»

L’uomo deglutì, nervoso: «Purtroppo non vicino a loro…»

«Maledizione!» Esplose l’incappucciato «Per una volta che ci siamo così vicini!»

Si voltò e si avvicinò all’uomo: «Di a Klaus che deve catturare il Sefyr Primo a qualsiasi costo. Che lo indeboliscano e lo tengano confinato finché non arriverà qualcuno per l’unione. Io non posso allontanarmi così tanto, o rischio che mi scoprano, e non posso buttare via tutto quello che sono riuscito a ottenere finora, quindi dovranno cavarsela da soli. Se non riuscissero a sottometterlo allora che lo trasportino fino da me. Mi occuperò personalmente di lui.»

L’uomo annuì e fece per andarsene, ma l’incappucciato lo fermò: «Un’ultima cosa» disse «se questa missione dovesse fallire, reputerò anche te responsabile.»

L’uomo abbassò la testa fissando il serpente ai piedi dell’incappucciato, che ricambiò lo sguardo, immobile.

«Si, mio signore.» Disse lui, andandosene il più velocemente possibile.

Nella stanza scese un irreale silenzio. Anche l’uomo legato alla sedia aveva smesso di dimenarsi quando aveva sentito l’argomento di discussione tra i suoi aguzzini.

«Dunque,» disse l’incappucciato, rivolgendosi all’uomo legato alla sedia «possiamo riprendere da dove ci hanno interrotto? Ci sono molte cose che voglio sapere da te.»

Tolse il bavaglio dalle labbra dell’uomo, che lo guardò sprezzante: «Non ti dirò assolutamente niente! Preferisco morire piuttosto che tradire i miei compagni!»

L’incappucciato esplose in una fragorosa risata: «Ma certo che morirai, questo è sicuro! Da te, dipende solo quanto rapido sarà.»

Si tolse il cappuccio e rivelò il suo volto all’uomo legato.

Un’espressione di puro stupore si dipinse sul volto di quest’ultimo.

Prima che potesse aggiungere altro, l’uomo in fronte a lui allungò una mano verso la creatura ai suoi piedi, e un lampo nero comparve per una frazione di secondo, facendo scomparire il serpente.

Immediatamente, l’uomo legato alla sedia cominciò a urlare.

CAPOTOLO 1: BRUCE

«E anche per questa settimana è finita.»

Bruce stava terminando di sistemare il suo furgone dopo l’ennesima giornata lavorativa. Era abbastanza soddisfatto del proprio impiego da corriere per una grossa ditta di consegne internazionale, girare varie città della provincia per consegnare pacchi era un po’ come essere Babbo Natale tutto l’anno, e lui era sempre stato una persona alla quale piaceva vedere il sorriso della gente e, nel suo piccolo, renderla felice.

Prese lo zaino dall’abitacolo, chiuse le porte del mezzo di lavoro e si diresse verso la timbratrice. Come spesso gli capitava, era uno degli ultimi a lasciare l’azienda; quindi, non incontrò nessuno dei suoi colleghi.

Uscì dalla zona adibita ai mezzi di lavoro e proseguì fino ai parcheggi dei dipendenti, dove trovò ad aspettarlo la sua macchina.

Il sole era basso nel cielo, anche se mancava un po’ al tramonto. La temperatura era mite nonostante l’autunno inoltrato, e il vento non soffiava quella sera. Anche se la temperatura non era proibitiva, Bruce indossava comunque il suo giubbotto di pelle nero, più per abitudine che per ripararsi dal freddo. Si tolse gli occhiali da sole stile a goccia dorati che metteva quando doveva guidare e assaporò per qualche secondo la sensazione del sole sul viso.

Anche se la sua azienda era situata in una zona esterna della città ancora piena di edifici, in lontananza si vedevano dei campi verdi e, quando non passavano troppi veicoli, un delicato profumo di fiori si espandeva nell’aria.

Non quella sera però.

Il traffico era intenso, e l’unico odore che sentiva era quello dello smog dei veicoli che sfrecciavano nella strada di fronte a lui. Un po’ deluso si rimise gli occhiali, entrò nell’abitacolo della sua utilitaria blu vecchia di qualche anno, e l’accese. Appena girò la chiave nel blocchetto il motore scoppiettò, facendo uscire un denso fumo nero quando partì, oltre che un forte odore di bruciato.

Dannata carretta pensò appena trovo una buona occasione ti cambio immediatamente.

Si immise nel traffico serale con fatica e si diresse verso la palestra alla quale era iscritto.

Ormai era diventata la sua routine lavorare e andare ad allenarsi, da quando la sua ragazza lo aveva lasciato per il suo migliore amico… Quel giorno aveva perso in un colpo solo le due persone più importanti della sua vita, quelle intorno alla quale aveva fatto girare buona parte delle sue decisioni come, per esempio, dividere un affitto per abbattere i costi e andare via da casa dei suoi genitori, in modo da avere finalmente la sua indipendenza.

Aveva condiviso la casa con il suo amico per un po’ di tempo, finché non aveva conosciuto colei che, in breve tempo, era diventata il centro del suo mondo… per la prima volta si era innamorato, e per un paio d’anni le cose erano proseguite benissimo.

Aveva lasciato l’appartamento che condivideva con il suo migliore amico per andare a vivere con lei, ma nonostante questo il loro rapporto non era cambiato, anzi, si era semplicemente aggiunta la sua ragazza, e loro tre avevano iniziato a condividere tantissime esperienze, quasi sempre insieme… vacanze, progetti… E quando le cose sembravano, almeno secondo lui, perfette, gli era crollato il mondo addosso.

Aveva scoperto, che quello che considerava come un fratello gli aveva fatto un torto enorme, complice di colei che pensava fosse l’amore della sua vita.

Un giorno, tornato a casa da lavoro, la sua ragazza dormiva sul divano, con il cellulare tra le mani. Il suo telefono era scarico, e aveva dunque deciso di prendere quello della sua compagna per chiamare sua madre. Non era mai stato un problema per loro condividere i propri cellulari, non avevano nulla da nascondere ed entrambi si fidavano ciecamente dell’altro, al punto che Bruce non lo aveva quasi mai preso, soprattutto senza chiederglielo; eppure, quella volta lo aveva fatto, solo per non svegliarla. Forse era stato il destino, forse una mera casualità; ma appena aveva sbloccato l’apparecchio, si era trovato davanti a una cosa che non si sarebbe mai aspettato.

Una conversazione tra lei e il suo migliore amico, nel quale, le cose che aveva letto, difficilmente sarebbero mai uscite dalla sua mente. I due avevano una relazione alle sue spalle.

La cosa lo distrusse completamente. Prese le sue cose e se ne andò via, senza più volere vedere né l’uno, né l’altra.

Ci aveva messo alcuni anni a riprendersi completamente e, nonostante un periodo di psicoterapia, ancora portava addosso le cicatrici di quella disavventura.

Seppur ora stesse meglio rispetto a qualche tempo prima, si ritrovava spesso a pensare a cosa avrebbe potuto fare di più o dove avesse sbagliato, come stava facendo anche in quel preciso momento.

Scacciò il pensiero ripetendosi il suo solito mantra, insegnatogli dalla sua psicologa, che gli aveva dato la forza di andare avanti.

Chi ama davvero non tradisce, hai fatto il possibile, se voleva sarebbe rimasta.

Il pensiero lo fece sentire meglio.

Il traffico si intensificava mano a mani che si avvicinava alla palestra, dato che a quell’ora la maggior parte delle persone aveva finito di lavorare e tornava a casa.

Il problema di vivere in una grande città pensò.

Era cresciuto con la sua famiglia in un piccolo paese di provincia fino all’età adolescenziale, quando suo padre era prematuramente morto a causa di un malore improvviso.

Sua sorella era più piccola di lui, e quindi Bruce le aveva fatto da fratello maggiore e da padre. Sua madre aveva poi trovato un’opportunità lavorativa a Torino, e loro si erano trasferiti con lei. Nonostante questo, le spese per una donna sola con due figli erano insostenibili, e Bruce aveva dovuto interrompere gli studi per poter aiutare la sua famiglia con le spese. Da allora aveva fatto svariati lavoretti, fino a trovare quello che era diventato il suo ormai da diversi anni.

D’un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione.

Nascosto tra i bidoni dell’immondizia, poco distante da lui, vide un gatto. Eppure, l’aspetto del felino era diverso da ogni animale avesse visto prima. La creatura aveva il pelo di colore viola acceso, con orecchie allungate e verdi al suo interno. Le zampe sembravano a punta invece che le solite di un gatto. Sulla coda Bruce scorse una sorta di gemma rotonda, di colore rosso rubino, mentre una più piccola era incastonata sulla fronte, seppur più piccola rispetto a quella sulla coda, dello stesso colore. Il muso era esile, e gli occhi gli sembrarono blu come la notte e senza pupilla.

Il giovane sgranò gli occhi. Che cos’era quell’essere?

Il suono di un clacson lo riportò alla realtà, e si accorse di aver invaso la corsia opposta alla sua. Girò il volante ed evitò per un soffio la vettura che veniva verso di lui dalla direzione opposta, ricevendo gli insulti dell’altro conducente.

Si accostò a bordo strada con il cuore che batteva all’impazzata e guardò nella direzione dove aveva visto quello strano gatto. Non c’era niente.

Devo essermelo sognato, si disse la stanchezza gioca brutti scherzi.

Salì in macchina, ancora frastornato, e si diresse verso la sua meta.

Intravide in lontananza la palestra pochi minuti dopo, che diventava sempre più grande mano a mano che si avvicinava a essa.

Era un ragazzo alla quale il fisico non era mai interessato particolarmente, come dimostrava il suo addome non troppo scolpito, ma da quando era stato lasciato aveva incominciato ad andare in palestra e sentiva di stare meglio. Soprattutto, almeno in quell’ora e mezza di allenamento, non pensava a nulla se non a se stesso.

Sistemò la macchina in uno dei parcheggi adiacenti alla struttura e si diresse verso l’ingresso. L’atrio era spazioso, con un accesso alla sala allenamenti e uno ai piani superiori, divisi da un grosso banco accettazioni dove in quel momento non era presente nessuno. Tutto l’ambiente era illuminato da luci al neon, con pareti di colore rosso e bianco ricoperte di poster pubblicitari di prodotti di fitness e il prezziario della palestra. Bruce salì la scala situata alla sua destra e si diresse subito negli spogliatoi. Si cambiò rapidamente indossando un paio di pantaloncini da calcio bianchi, riportanti lo stemma della sua squadra preferita su una gamba e il numero “11” sull’altra, e una maglietta nera smanicata. Essendo leggermente robusto, gli faceva difetto sulla pancia. Posò il cellulare e tutti i suoi averi nello zaino, che ripose insieme ai vestiti in uno degli armadietti adibiti all’uso degli iscritti. Sui pantaloni aveva fatto cucire due tasche, per poter tenere le chiavi e, occasionalmente, il cellulare per sentire la musica. Quella sera però aveva preferito non utilizzarlo, poiché quasi scarico. Ritirò le chiavi dell’armadietto in tasca e poi tornò giù nell’atrio.

La palestra era particolarmente piena a quell’ora, poiché la maggior parte degli iscritti erano impiegati e Bruce sapeva che avrebbe fatto fatica a completare velocemente i suoi esercizi, ma non gli importava. Vi era un altro motivo per cui aveva scelto quella struttura.

Il suo sguardo scrutò ogni angolo dell’edificio finché non la vide: Katharina, la personal trainer. Di qualche anno più giovane di lui, era una ragazza davvero splendida. Era più alta di almeno dieci centimetri rispetto a lui e aveva un fisico asciutto e scolpito. Le sue forme, anch’esse plasmate dagli anni di esercizio, erano sinuose, con un seno prorompente e un fondoschiena scolpito. I suoi capelli biondo platino, lunghi fino a metà schiena, e i suoi occhi azzurro ghiaccio la rendevano, nell’immaginario di Bruce, una figura quasi angelica. Non era mai riuscito a scambiare più di qualche parola con lei, un po’ per via della sua timidezza e paura di relazionarsi con le ragazze per colpa di ciò che gli era successo, e un po’ perché Katharina non dava confidenza a nessuno. Era sempre concentrata su ciò che faceva e non si sbilanciava mai, anzi, guardava tutti dall’alto verso il basso. Sembrava che gli importasse solo del suo volpino, al punto da portarselo addirittura sul lavoro.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Maycol Re
Mi chiamo Maycol, classe 1990. Abito a Savigliano, un piccolo comune della provincia di Cuneo in Piemonte, che mi piace definire un'isola felice, nel quale sono nato e cresciuto. Da quando ho memoria leggo e sono sempre stato curioso di tutto, infatti a 16 anni ho creato la trama per un libro Fantasy, rimasto per ora nel cassetto. Nonostante la vita non mi abbia sorriso molto, ne in amore ne in altri ambiti, ho un figlio che è la mia più grande gioia. Quando non sono con lui dedico il mio tempo alla lettura, alla scrittura e, quando posso, al volontariato, essendo autista soccorritore da circa 10 anni. Inoltre, mi definisco un appassionato cinefilo e amo le serie TV. Sono anche un amante della buona cucina, e mi piace preparare per amici e parenti. Vorrei, con i miei libri, trasmettervi dei valori e raccontarvi storie che vi rimangano impresse nella memoria.
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