Le ombre nere sotto il suo sguardo erano ormai diventati un tratto distintivo da quando era apparso il protagonista di quel nuovo caso.
Ancora non sapeva nemmeno che volto avesse il suo incubo.
Respirò profondamente prima di appoggiare entrambi i gomiti sul piano della scrivania e di lascar ricadere la testa tra le mani, come se non gli appartenesse, come se non fosse niente più che un peso morto.
Spense la sigaretta schiacciandola sul fondo della tazza che utilizzava come posacenere.
Lanciò un’occhiata distratta alla bottiglia abbandonata alla sua destra che lo fissava invitante.
“Al diavolo!” sbottò all’improvviso, lanciandosi all’indietro e allontanandosi dalla scrivania. Sentì lo schienale della sedia adattarsi sotto il suo peso. Le ruote cigolarono accompagnando il suo movimento.
McGregor si stiracchiò allungando le braccia verso il soffitto e intrecciando poi le mani dietro la nuca.
Si era sempre reputato una persona intelligente, decisamente sopra la media, ma questa volta aveva trovato qualcuno più furbo di lui, qualcuno che sapeva come muoversi, che riusciva a farlo correre senza venir mai a capo di nulla, proprio come un criceto paffuto nella sua ruota di plastica.
Fece vagare attorno lo sguardo, lentamente, soffermandosi appena sulle sagome familiari che lo circondavano.
La lampada accesa sul bordo della scrivania disegnava lame di luce sul pavimento e i muri dell’ufficio, mentre il buio conquistava gli angoli più remoti della stanza.
Lo schedario addossato alla parete, con i suoi cassetti aperti a metà dal quale spuntavano fogli ingialliti proiettava un’ombra squadrata sul tappeto che ricopriva il centro della stanza. Strizzando gli occhi era a malapena in grado di distinguere la sottile linea nera che incorniciava la laurea in criminologia tanto faticosamente conquistata quasi quindici anni prima.
Allungò una mano verso il primo cassetto in basso a sinistra e lo aprì estraendone un pacchetto semivuoto di Marlboro Red.
Non fumava quasi mai in ufficio, ma in quel momento il suo corpo richiedeva prepotente il suo tributo in nicotina.
Di nuovo.
Spenta una, accesa un’altra.
Afferrò l’accendino abbandonato sopra i fascicoli sparsi davanti a lui, si portò la sigaretta alle labbra e l’accese, aspirando avidamente.
Fumare lo aiutava a calmare la mente. Mentre soffiava nebbiose spirali di fumo i suoi pensieri si facevano più chiari.
Riportò l’attenzione sulle fotografie che stava esaminando: scatti della scena del crimine.
Sollevò le sopracciglia.
Dopo anni di lavoro sul campo sul suo stomaco era cresciuto rigoglioso uno spesso strato di pelo che coltivava quotidianamente innaffiandolo con buone dosi di cinismo, sfiducia nel genere umano e qualche bicchiere di whisky, ma ogni volta che posava gli occhi su quelle immagini un brivido gli percorreva la spina dorsale in tutta la sua lunghezza e un moto di disgusto cresceva prepotente alla bocca dello stomaco.
Come qualcuno potesse fare una cosa del genere ad un suo simile sfuggiva del tutto alla sua comprensione.
Stava osservando Larry Truman, o meglio quello che rimaneva di lui: il suo corpo era stato ritrovato in un parco giochi a qualche isolato di distanza dalla stazione di polizia, e non per caso.
Poche ore prima del ritrovamento una lettera era stata recapitata all’ufficio di McGregor, era quasi ora di cena e il detective aveva già indossato il cappotto per tornare dalla sua famiglia quando si era trovato a fissare una rudimentale mappa del tesoro disegnata a mano, cosparsa di tante piccole X nere e di una rossa, più grande. La scientifica non aveva tardato molto a confermare il sospetto che la traccia vermiglia non fosse inchiostro ma sangue.
Insieme alla mappa era stata allegata una lettera scritta con un’ordinata ed elegante calligrafia.
Buonasera Detective…
Era così che iniziava.
“Buonasera Detective…” ripeté McGregor, masticando le parole tra i denti come si trattasse di un boccone particolarmente amaro.
Seguendo le indicazioni contenute nella busta avevano iniziato una caccia al tesoro, molto, molto particolare. E avevano ritrovato il Signor Truman. Pezzo dopo pezzo.
Era stato subito chiaro a che cosa corrispondessero le X nere e serviva troppa immaginazione per indovinare cosa avrebbero trovato nel luogo contrassegnato con quella rossa.
Quando avevano finito di scavare nel box pieno di sabbia, costruito in mezzo agli scivoli per bambini, non era stata una sorpresa incontrare lo sguardo vitreo di Larry: a quanto pare per quello psicopatico la testa era il tesoro più grande.
Si passò una mano sul volto, schiacciando la base del naso fra pollice e indice e cercando di concentrare solo in quel punto il mal di testa battente che si stava risvegliando ancora una volta.
Fece un altro tiro dalla sigaretta consumata, la cenere ancora accesa cadde soffice e senza rumore sul taccuino che conteneva tutte le sue considerazioni sul caso.
Imprecò, passando il dorso della mano sui fogli ingombri di inchiostro e cancellature.
Il suo sguardo fu attirato da una parola che spiccava in mezzo alle altre e che lo tormentava più di qualsiasi altra: movente.
Sapeva che Larry Truman sarebbe stato solo l’inizio, lo sapeva come si sa che pioverà soffermandosi a guardare un cielo plumbeo.
Li aspettava qualcosa di terribile. Cosa non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma nell’aria c’era odore di sangue. Si passò di nuovo la mano sul viso, come se quello bastasse a lavare via stanchezza e cattivi presagi, prima si consultare l’orologio allacciato al polso sinistro.
Le 21 e 30.
Mary, la sua dolce metà, avrebbe nuovamente messo su i musi per il suo ennesimo ritardo.
Lo squillo improvviso del cellulare spezzò il silenzio dell’ufficio e lo fece trasalire.
“Detective McGregor.” Rispose.
“Ne abbiamo trovato un altro.”
Cinque parole, erano solo cinque semplici parole, ma bastarono a far sprofondare nell’orrore quella parte di subconscio acquattata ai confini della mente.
Davanti agli occhi gli balenò in un flash fin troppo vivido l’immagine della testa di Truman che lo fissava senza vita dalla sua tomba di sabbia.
“Dove?” chiese, la voce che sembrava estranea alle sue stesse orecchie.
“Non lontano dalla centrale, capo.” Rispose il poliziotto “Deve venire qui. Non riesco neanche a descrivere quello che…”
Non lo lasciò terminare, una parte di lui non voleva sentire quello che inevitabilmente prima o poi avrebbe dovuto vedere.
“Ho capito.” Tagliò corto “Mandami la posizione esatta del luogo, vi raggiungo subito.”
“Si, capo.”
McGregor riagganciò, spostando lo sguardo sulle foto del cadavere mutilato di quella che ormai sapeva per certo era la prima di una serie di vittime.
Lo schermo del telefono si illuminò nuovamente: gli avevano inviato le indicazioni per raggiungere la casa del diavolo.
Spense con calma la sigaretta, si alzò piano dalla sedia e sistemò in vita la pistola d’ordinanza.
Si infilò lo spesso cappotto nero di panno e mentre calava il cappello sulla testa scrisse a Mary: la loro serata sarebbe stata rimandata a data da destinarsi.
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